Negli ultimi dieci anni in Italia si è investito poco, soprattutto da parte del settore pubblico. Secondo le stime, la rinuncia è costata al paese 8 punti di Pil. Compensati in parte da export e consumi interni, che sono ora i più colpiti dalla pandemia.
Autore: Walter Tortorella
Economista, è Capo Dipartimento Economia Territoriale e Dipartimento Servizi ai Comuni della Fondazione IFEL. Esperto di politiche pubbliche e sviluppo economico è stato Direttore del Centro Documentazione e Studi dei Comuni Italiani dell’ANCI, Direttore Ufficio Studi della Fondazione Cittalia ANCI Ricerche e Direttore dell’Ufficio ANCI di Bruxelles. Consulente di organizzazione e formazione per la pubblica amministrazione centrale e locale, ha un’ottima conoscenza degli aspetti gestionali che regolano i processi decisionali di strutture complesse. Valutatore di progetti di sviluppo locale, è autore di numerosi articoli in materia di public management, politiche di sviluppo, investimenti pubblici, fondi UE diretti e indiretti. Tra le sue pubblicazioni più recenti: “Città d’Italia. Le aree urbane tra crescita, innovazioni ed emergenze” Il Mulino, 2010; “Lo Stato dei Comuni”, Marsilio, 2012; “Città intelligenti. Metodi, politiche e strumenti”, Maggioli, 2013; “Città metropolitane. La lunga attesa”; Marsilio, 2014; “Partenariato pubblico privato e project financing. Come uscire dalla crisi”, Maggioli, 2015; Politica di coesione e questione urbana”, Carocci, 2015; “Finanziare la crescita” (con M. Nicolai), Rubbettino, 2016. Dal 2011 cura il rapporto IFEL-ANCI “La dimensione territoriale nelle politiche di coesione”.
In Italia c’è un preoccupante silenzio sul tema fondi Ue. Ma i dati confermano difficoltà di spesa che richiederebbero un ripensamento dell’intera impalcatura funzionale della politica di coesione, anche in vista del negoziato sul bilancio dell’Unione.
I fondi europei per lo sviluppo e la coesione nel nostro paese sono spesi poco e male. Colpa dell’eccessiva frammentazione dei progetti, con una distribuzione delle risorse che risponde più a logiche antirecessive e contingenti che a un disegno strategico di quale Italia vorremmo nei prossimi dieci anni.