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GLI ECONOMISTI E LA PREVISIONE DELLE CRISI. DI FAMIGLIA

Nell’estate del 2007, ad un convegno in Svizzera, presentavamo per la prima volta il nostro lavoro Inheritance Law and Investment in Family Firms, scritto insieme a Andrew Ellul e di prossima pubblicazione sull’American Economic Review. Il lavoro mostra come leggi restrittive sull’eredità, che obbligano il testatore a lasciare una elevata frazione dei suoi beni a ciascuno dei suoi eredi legittimi, abbiano in genere effetti negativi sull’investimento delle imprese familiari intorno al momento della successione. La conclusione principale del nostro lavoro è che ridurre la quota di legittima ha effetti benefici sull’investimento delle imprese familiari (ne avevamo parlato anche su lavoce). Il problema è molto rilevante in Italia dove la quota di legittima è molto elevata. E proprio per motivare la rilevanza del nostro lavoro, avevamo messo nella presentazione del lavoro un lucido che illustrava la complicata situazione della divisione patrimoniale della famiglia Berlusconi, in cui 5 figli nati da due diversi matrimoni si contendevano i beni del premier. Leggiamo su Repubblica dell’11 febbraio che il governo Berlusconi sta studiando una proposta per ridurre la quota di legittima per attenuare i problemi legati alla sua successione. Dopo le norme ad personam, adesso quelle ad familiam. Come cittadini siamo un po’ perplessi dal vedere che il Parlamento vagli quasi esclusivamente norme legate ai problemi del premier. Come economisti, siamo molto soddisfatti. A chi dice che gli economisti non sanno prevedere le crisi e dare consigli utili per affrontarle sappiamo ora come rispondere. Quelle globali forse no, ma quelle familiari alla grande.

UNA PRECISAZIONE DI MARIO SENSINI

Ahimé. Da giornalista vecchio stile, oserei dire da vero cane da guardia, Roberto Ceredi mi ha beccato. Mi cospargo il capo di cenere ed ammetto di aver sciato un paio d’ore con due ministri e qualche parlamentare a Sestola, e pure di essermi sciroppato il convegno "La Montagna per l’Italia, l’Italia delle Montagne", organizzato dai Parlamentari Amici della Montagna e dal Consiglio dei Maestri di Sci.
Mi duole che ciò abbia sollevato la sua indignazione: a me, e credo anche ai colleghi che erano a Sestola e che hanno lavorato, come ai nostri giornali, ha risparmiato se non altro di prendere un buco.
Vorrei comunque tranquillizzare Ceredi. Non uso passare le mie vacanze o fare gite con ministri o parlamentari. Anche se, forse proprio perché sono il presidente pro-tempore del GIS, lo sci club dei giornalisti italiani, fondato nel 1934, affiliato alla Fisi e riconosciuto dal Coni, sugli sci sfiderei chiunque.
Ai parlamentari, a Sestola, le abbiamo suonate. Sabato prossimo tocca ai Vigili del Fuoco del Lazio e agli autofilotranvieri dell’Atac di Roma, a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Anzi, visto che ci siamo potremmo chiudere questa spiacevole vicenda con una bella gara di slalom gigante, o anche di fondo, tra i giornalisti e gli economisti de lavoce.info. Sempreché vogliate sporcarvi le mani con noi e non abbiate paura di prenderle. Sportivamente vostro,
Mario Sensini
Presidente del Gis (Giornalisti italiani sciatori)

Ringraziamo Mario Sensini della sua garbata precisazione e auguriamo al Gis di cogliere vittorie nei confronti di tutte le categorie con cui si misurerà. Effettivamente i giornalisti convenuti a Sestola non hanno soltanto sciato ma hanno anche lavorato. Ce ne siamo accorti dai servizi nei tg di sabato 30 gennaio e dai giornali di domenica 31 che hanno dato ampio spazio al conferimento del titolo di maestro di sci ad honorem al ministro dell’Economia e alle sue dichiarazioni, quasi sempre inserite nelle cronache del World economic forum; un felice asse Davos-Sestola.
R.C
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TREMONTI, DOPO LO SCI IL CALCIO

Il Ministro Tremonti non è nuovo a cambiamenti di opinione improvvisi. Pochi mesi dopo aver introdotto la Robin Hood tax per tassare le banche per i loro eccessivi profitti è stato costretto ad approntare i Tremonti-bonds per ricapitalizzare alcune di esse (rimanendo peraltro assai offeso dal fatto che le due principali banche italiane abbiano snobbato i T-bonds). Dopo avere accusato la Unione Europea di essere -con la sua eccessiva burocrazia, l’invadente regolamentazione e l’euro troppo forte- la causa del declino economico italiano e la quinta colonna di una presunta invasione cinese di merci e persone, adesso il Ministro Tremonti ha scoperto un grande amore per l’UE. E ha proposto di creare una Nazionale della UE. “Dopo l’Erasmus sarebbe fantastico avere una squadra di calcio comune” (Corriere della Sera, 2 febbraio 2010). Il Ministro è certamente a suo agio con lo sci ma di calcio ne mastica evidentemente poco. Nel calcio la tradizione è (quasi) tutto. E’ per la tradizione che il Regno Unito conserva ancora gelosamente il privilegio di avere 4 squadre “nazionali” che competono separatamente a Europei e Mondiali. Senza che nessuno abbia mai sentito il bisogno di avere la squadra del regno Unito. Nel calcio le identità nazionali sono tuttora fortissime e siamo certi che le partite della nazionale UE sarebbero come un All-Star game: non se le filerebbe nessuno. Ma c’è una cosa che ci incuriosisce: che ne pensa della proposta Tremonti il neo-candidato alle elezioni provinciali di Brescia, Renzo Bossi, indimenticato Team Manager della Nazionale Padana?

IL MALE OSCURO DELL’ECONOMIA ITALIANA

L’Italia è un grande, bel paese
dove dolce è il vivere e cortese,
pur piove, ma poi risplende il sole,
l’aria risuona di musiche e parole.

Da tempo tuttavia il PIL è stracco
si cresce poco, non si va all’attacco,
sembra d’esser tornati nel Seicento,
quando il declino seguì al Rinascimento.

C’è un male oscuro che ci rode tutti
la navicella più non fende i flutti,
noi pigri, pingui e rilassati,
gli altri paesi c’ hanno sorpassati.

Negli anni ‘80 fu buono il consuntivo,
grazie invero al debito eccessivo,
ma si costrusse lungo le spiagge e i fiumi,
crebbe il sbilancio assieme alli consumi.

Siam divenuti alquanto benestanti,
ma ora i soldi più non son bastanti
e il consumare, ancor non s’è compreso,
richiede si produca quello che vien speso.

Giunse la crisi e non più si può far senza,
dell’efficacia ed anco di efficienza;
qui, come diceva il Gino, è tutto da rifare,
perché la nostra barca sta per arenare.

Dunque se in futuro vuolsi restare vivi
si dovrà, tosto, riuscir più produttivi
a cominciar dai pubblici serventi,
restii a fatiche ed alla pausa attenti.

Più rapida giustizia, più reddito al lavoro
il Sud alla riscossa, all’istruzion ristoro,
un equo fisco e poi la TAV si faccia,
guerra a chi evade, al criminal la caccia.

Ecco che serve per scongiurar ruina,
per risalir la china,…. scordandosi la Cina.
Il male oscuro fa accapponar la pelle,
ma noi ce la faremo, a riveder le stelle!

Sì lo confido, sperare m’è conforme,
quindi, tranquillo, attendo le riforme,
ma pur se sono afflitto dai malanni,
finirà che campo ….almen fino a cent’anni.

TREMONTI È UN MAESTRO. DI SCI

Continua a mietere riconoscimenti il ministro Giulio Tremonti. Dopo essere stato insignito del nuovo titolo di “uomo dell’anno nell’economia italiana” dal direttore del Sole 24 Ore Gianni Riotta, il ministro dell’Economia verrà incoronato sabato 30 gennaio Maestro di sci ad honorem dal presidente dell’Associazione nazionale maestri Luciano Magnani. Non sono note al momento le motivazioni del premio e non sappiamo se i meriti di Tremonti siano da ascriversi allo slalom, alla discesa libera (specialità che paiono ispirarlo anche in politica) o semplicemente al nome evocativo  di bianche vette alpine come le Tre Cime di Lavaredo. Sappiamo invece che la cerimonia si svolgerà a Sestola (Monte Cimone) a conclusione del primo Criterium sulla neve dei parlamentari italiani che nell’occasione si misureranno con i membri del Gis, Giornalisti italiani sciatori. Qualche giornalista vecchio stile, di quei pochi che preferiscono fare i cani da guardia dei politici anziché organizzare con loro gite sociali, arriccia il naso davanti a questa inattesa iniziativa del presidente dell’associazione sciistica Mario Sensini, prestigiosa firma del Corriere della Sera. Difficile immaginare i reporter del New York Times o della Cnn in gita con i congressmen di Washington. Ma da noi le cose stanno diversamente. Da anni i cronisti parlamentari frequentano a Roma le palestre e i club di deputati e senatori e la cosa non fa scandalo, anche perché nessun giornale la racconta. E poi, a Sestola, i tre giorni di vacanza non saranno soltanto a base di discese, cene e vin brulé ma sono previste anche attività molto serie. Come recita il programma, alle 18.00 di sabato 30 “Convegno La montagna italiana, l’Italia della montagna, Cinema Belvedere di Sestola, con la partecipazione del Ministro degli esteri Frattini, Ministro dell’Economia Tremonti, Consulente per la montagna On. Manuela di Centa e tante altre autorità”. Ne sentivamo tutti il bisogno.

CHE PAGELLA, MINISTRO BONDI!

Il ministro per i beni e le attività culturali, l’onorevole Sandro Bondi, nella puntata di Porta a Porta del 11.1.2010, ha sostenuto che la riforma fiscale proposta dal governo, tesa a spostare il carico fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette, dai redditi ai consumi, è una misura di equità sociale, perché "significa imporre maggiori tasse sulle classi sociali più elevate, più ricche, che consumano di più". Ma ministro, avrebbe replicato qualunque prof delle medie, ciò significa confondere una variazione assoluta con una relativa, è un errore da quattro in pagella! I ricchi possono ben consumare di più dei poveri, ma se si sposta il carico fiscale da un’imposta progressiva ad una proporzionale la cui aliquota media è inferiore a quella che ora pagano i ricchi, l’effetto è regressivo, non progressivo. E’ per l’appunto il caso nostro, visto che l’aliquota più elevata Irpef è al 43 per cento (dopo i 75.000 euro di imponibile) mentre l’aliquota dell’Iva è al massimo e per la maggior parte dei beni al 20 per cento. Non solo, ma se i ricchi risparmiano più dei poveri, i risparmi non sono tassati o sono tassati meno dei consumi (di nuovo il caso nostro) allora un’imposta su consumi ad aliquota uniforme è per forza regressiva. Esempio. Prendiamo un tizio A che guadagna 1000 euro al mese; verosimilmente spenderà tutto il suo reddito, e se l’aliquota media sui consumi è al 20 per cento, pagherà dunque 200 euro al mese di imposte. Prendiamone ora un altro B che ne guadagna 5000, e supponiamo che ne spenda 4000 e ne risparmi 1000. Questo pagherà dunque di imposte 800 euro al mese. Ma se i risparmi non sono tassati, l’aliquota media sul reddito del primo è del 20 per cento mentre quella del secondo è del 16 per cento; l’imposta è regressiva, l’aliquota media decresce al crescere del reddito. Certo, questo non è necessario, dipende anche da cosa consumano ricchi e poveri e da come sono tassati i diversi panieri di consumo. Per dire, se i 1000 euro di A vanno tutti in beni alimentari, mentre i 4000 di B vanno per 1500 in beni alimentari e per 2500 in beni di lusso, potremmo ottenere un’imposta progressiva tassando, per esempio, al 6 per cento i beni alimentari e al 34 per cento i beni di lusso; il gettito per lo stato sarebbe lo stesso che con un’aliquota uniforme del 20 per cento, ma il povero avrebbe un’aliquota media sul reddito del 6 per cento e il ricco del 19 per cento. Occorre però ricordare che l’Iva ha dei vincoli comunitari: vi è un’aliquota normale (in Italia il 20 per cento), una o due aliquote ridotte (in Italia 4 per cento e 10 per cento) su un paniere definito e non modificabile di beni primari, non vi sono aliquote maggiorate sui beni di lusso. Dunque, tralasciando altre considerazioni, inclusi i problemi di evasione e incentivo, un passaggio dall’Irpef all’Iva per forza ridurrebbe la progressività del sistema tributario.

INDICIZZARE LE PENSIONI ALLA CRESCITA ECONOMICA

In Italia oggi non c’è una forte constituency a favore di riforme che favoriscano la crescita anche perché le pensioni sono una variabile indipendente, la cui dinamica prescinde completamente dall’andamento dell’economia. Quando l’economia va bene, i pensionati non partecipano ai guadagni di produttività e, dunque, le pensioni perdono valore rispetto ai salari, dando origine al fenomeno delle cosiddette “pensioni d’annata”. Quando le cose vanno male, invece, la spesa previdenziale aumenta ulteriormente la sua quota sul prodotto interno lordo, sottraendo risorse a politiche di contrasto alla povertà e alla disoccupazione. Nel 2009, ad esempio, la quota delle pensioni sul pil è aumentata di quasi un punto. Era già la più alta quota in Europa. Lo sarà ancora di più.
Eppure il benessere degli anziani dipende molto dalla crescita dell’economia. La mancata crescita comporta, ad esempio, un progressivo ridimensionamento dei servizi sanitari. Quindi senza crescita anche i pensionati finiranno per stare peggio.  Bene che ne siano consapevoli fin da subito.
E’ fondamentale che questa crescente fascia di popolazione partecipi in modo ancora più evidente ai vantaggi della crescita economica e sostenga quelle politiche che servono a migliorare la qualità e quantità dell’assistenza sanitaria pubblica e a permettere che pensioni relativamente generose possano essere pagate nonostante i cambiamenti demografici in atto.
Un modo per far lo è indicizzare le quiescenze in essere alla crescita economica. In Svezia, che ha adottato un regime pensionistico molto simile al nostro, le quiescenze in essere crescono di anno in anno in base al tasso di inflazione più la differenza fra il tasso di crescita potenziale dell’economia (che viene utilizzato nel calcolare il livello iniziale delle pensioni quando ci si ritira dalla vita attiva) e il tasso di crescita effettivo. Da noi si potrebbe prendere come riferimento la crescita del monte salari contributivo, la base con cui si finanziano le pensioni. E’ un modo al contempo per rendere il sistema sostenibile, quindi equo dal punto di vista intergenerazionale, e di favorire politiche che ci facciano tornare a crescere.

MONUMENTO AL DIRITTO ITALIANO

L’Italia è un paese disseminato di monumenti commemorativi. Re, generali, condottieri, eventi, degni di essere ricordati, non sempre per ragioni nobili. Sono più rari i monumenti che commemorano un sistema di pensiero. Ora ne abbiamo uno, straordinario. E’ un monumento fatto di carta. E’ divenuto visibile la mattina dell’8 gennaio 2010, una data che sarà in sé da ricordare, nelle pagine interne del Corriere della Sera. Le pagine 18,19 e 20, per la precisione. Occorre darsi la pena di andare a guardarlo, è talmente grandioso da non potere essere adeguatamente descritto con parole, men che meno con poche righe. Ci provo comunque, ma solo per sollecitare il desiderio di una visione diretta: si tratta di un elenco, stilato da un tale Commissario, delegato per una tale Emergenza, in certe tali Province. Un elenco di migliaia e migliaia di nomi. Illeggibili, perché stampati con un carattere di una piccolezza tale da essere stato creato per l’occasione, immagino con il concorso di molte tipografiche sapienze e intelligenze. Una distesa di moscerini d’inchiostro, uno sciame di cavallette, una battigia di sabbia grigia, che invade tre intere paginate del glorioso quotidiano. Ne ha disposto la pubblicazione sul Corriere un tale comma, di un tale articolo, di una tale norma di legge. Lo scopo dell’operazione è incomprensibile con gli strumenti della ragione umana. Nessun essere umano pensante, in alcuna parte del mondo conosciuto, potrebbe concepire una tale insensatezza per un qualsivoglia scopo pratico. Quindi lo scopo non può che essere estetico. E’ un’opera d’arte. Un monumento. In memoria del diritto italiano.

Massimo Presbite

 

ANNO 2010: PARTE LA RIFORMA FISCALE (per terre assai lontane … o no?)

Dicon che sei matura,
Riforma delle tasse,
ma so che l’è ben dura
a renderle più basse.

Dovrei rimescolare
l’Irpef delle famiglie
onde privilegiare
chi campa figli e figlie.

Dovrei tagliare l’Irpef
a tanti pensionati
che,  per riforme e crisi,
son becchi e  bastonati. 

L’Ires va diminuita”
invocano le imprese
“oppur sarà finita,
siamo pel collo appese!”.

L’Irap dovrei ridurre,
o meglio cancellarla;
le schiere verdi e azzurre
non sanno sopportarla.

Un grido di dolore
si leva da ogni voce
per smuovere il mio cuore,
che non è di un rapace.

Accoglier quelle istanze
si può, abbattendo spese,
ma busso a tante stanze
e sento solo offese.

Quindi non c’è che alzare
tasse da qualche parte,
e qui: lacrime amare,
nell’azzeccare l’arte!

Potrei considerare
dei sindacati il detto:
“Rendite finanziarie?
Se ne riduca il tetto!”.

Potrei calar la scure
sui grossi patrimoni,
ma poi chi mi difende
dai tanti paperoni?

L’Iva potrei aumentare,
ma su quali consumi?
Se non l’alimentare,
balocchi oppur profumi?

Già mi figuro matto
a muover le pedine
d’ un fisco ormai strafatto
di leggi e di leggine.

Se poi guardo un po’ avanti,
giusto per  farmi male,
vedo gli occhi ghignanti
del fisco federale.

Sai che? Io prendo tempo
e dico al carrozzone:
“Volete la riforma?

Apro la discussione!”

Se poi qualcun ci fosse
che coglie l’occasione
per domandar: ”Che mosse
contrarie all’evasione?”,

io gli dirò bel bello:
“Non faccia il sapientone!
Non è il problema quello,
bensì la soluzione”.

LA GRANDE ATTESA PER LA GRANDE RIFORMA FISCALE

Il ministro del Tesoro ha annunciato tra gli obiettivi del prossimo anno il rilancio di una grande riforma fiscale che superi la logica dei “rattoppi” degli ultimi anni. Benissimo. Non c’è dubbio che il sistema tributario italiano avrebbe bisogno di una seria e ponderata revisione. Non solo incombe una riforma in senso federale che deve essere ben meditata anche per evitare ulteriori incrementi nella pressione tributaria. Ma questa, oltre che già elevata, è soprattutto mal distribuita. Il prelievo si concentra infatti quasi esclusivamente su pochi cespiti e pochi contribuenti. Tartassiamo i fattori produttivi, lavoro e capitale, e tassiamo troppo poco patrimoni e rendite. L’opposto di quello che dovrebbe fare un paese che ha seri problemi di crescita e ancor più seri problemi di equità. Sempre di più, l’Italia è un paese dove chi nasce ricco resta ricco, mentre chi vuole legittimamente e legalmente arricchirsi con i frutti del proprio impegno e del proprio lavoro non ha la possibilità di farlo. Ma è importante che il ministro si ricordi che la principale riforma necessaria in Italia è la lotta all’evasione e a tutte le forme presenti nel nostro sistema fiscale di elusione e erosione. Non è possibile immaginare che si possa costruire un sistema fiscale più giusto e efficiente finché tra il 50 e il 75%, a secondo delle stime, dei redditi da lavoro autonomo, piccola impresa e liberi professionisti risulta nascosto al fisco. Non è possibile continuare a tollerare che il 50% delle imprese italiane risulti permanentemente in perdita o che il numero dei contribuenti che dichiarano più di 100.000 euro all’anno sia minore del numero delle automobili immatricolate che costano più di quella cifra. Lo stesso sbandierato successo dello scudo (capitali rientrati a consuntivo pari a quasi il 10% del PIL) da un’idea dell’enormità del fenomeno in Italia. Va anche sottolineato che finora i provvedimenti del governo in campo tributario, tra condoni, riduzione dei controlli sui redditi da lavoro autonomo e abolizione dell’Ici, non sono particolarmente incoraggianti. Ma aspettiamo le nuove proposte per discuterne.

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