Domenica erano rarissime le Borse aperte: solo Tel Aviv e qualche mercatomedio-orientale. Tel Aviv è la più importante perchè alcuni start-up, ad esempio nel campo delle biotecnologie, sono quotati sia lì che a New York. Domenica Tel Aviv ha aperto con una perdita dell’8 per cento. Quel segnale ha trasformato la dinamica politica della giornata. Sabato era stato un giorno molto deludente: il comunicato del G7 di venerdi sera era vago e l’incontro dei ministri delle finanze con Bush era stata solo una"photo occasion". Ministri e governatori erano partiti da Washington convinti che ciascun paese avrebbe dovuto arrangiars da sé: erano stanchi e ci avrebbero pensato lunedi mattina. Gli operatori erano delusi; molti si preparavano a cambiar mestiere; lunedì, dicevano alcuni, non servirà neppure andare in ufficio. Il dato proveniente da Tel Aviv ha cambiato tutto, obbligando i politici a considerare seriamente la prospettiva di un meltdown globale dei mercati finanziari. Il coordinamento europeo che fino a quell’ora sembrava impossibile, improvvisamente è diventato una possibilità concreta. Il risultato: tre provevdimenti (la garanzia sull’interbancario, i fondi per le ricapitalizzazionie l’attenuazione del mark-to-market) che hanno salvato le economie del mondo.
Una parte del merito va anche a Gordon Brown che ha spiegato ai suoi colleghi perché questi provvedimenti erano essenziali e come realizzarli. Ma se domenica-come qualcuno aveva proposto- i mercati fossero rimasti chiusi il segnale non vi sarebbe stato e più difficilmente il meltdown sarebbe stato evitato.
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I governi europei non si sono accordati per un’azione coordinata contro la crisi, come richiesto dall’appello lanciato su questo sito e sottoscritto sin qui da oltre 300 economisti europei. Ogni Paese sta quindi adottando in modo indipendente le proprie politiche per arginare la crisi finanziaria. In Italia, sulla falsariga dei provvedimenti presi dal governo Brown nel Regno Unito, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che prevede la possibilità per lo Stato di ricapitalizzare le banche in difficoltà sottoscrivendo azioni senza diritto di voto e una garanzia pubblica sui depositi bancari, che va ad aggiungersi a quella già prevista dal fondo interbancario. L’assicurazione pubblica sui depositi è solo una protezione supplementare dei depositi, il cui utilizzo effettivo scatterebbe solo nel caso in cui il fondo interbancario non avesse fondi sufficienti per pagare i correntisti. Il valore di questa misura risiede più nel suo aspetto di rassicurazione dei risparmiatori che in quello di protezione effettiva, ma in questi tempi di sfiducia generalizzata, anche segnali come questo possono essere utili. E’ utile è anche il primo provvedimento, cioè la possibilità offerta alle banche, che in questo momento non riuscirebbero a ricapitalizzarsi sul mercato, di farlo con i fondi pubblici. Positiva anche la scelta delle azioni senza diritto di voto, al fine di ridurre le interferenze dello Stato nella gestione delle banche. La valutazione dei provvedimenti adottati dal governo è dunque favorevole.
L’unica perplessità che rimane è l’assenza di un esplicito orizzonte temporale o delle condizioni sotto le quali lo Stato si impegna a rivendere ai privati le azioni sottoscritte. Anche le azioni senza diritto di voto consentono a chi ha partecipazioni rilevanti di condizionare la gestione. Si partecipa ad assemblee (straordinarie o degli azionisti di risparmio) e si può sempre minacciare di ritirare il proprio capitale forzando il management in una direzione piuttosto che in un’altra. Il Ministro Tremonti ha detto che non ci saranno nazionalizzazioni. Bene. Ma non possiamo dimenticare che la politica, in Italia, ha storicamente avuto un forte desiderio di controllo del sistema bancario. Non possiamo dimenticare i tempi non troppo lontani in cui i partiti si spartivano le Presidenze e i Consigli di Amministrazione delle banche. E non riusciamo neanche a dimenticare che proprio il Ministro Tremonti propose, alcuni anni fa, di porre sotto il controllo della politica le fondazioni bancarie. Questo governo sembra che abbia la nostalgia dei bei tempi passati in cui c’erano il maestro unico, il grembiule e il sussidiario. Speriamo non abbia anche nostalgia delle Bin, le banche di interesse nazionale.
Nei giorni scorsi il governo ha varato un piano di intervento le cui linee guida sono pienamente condivisibili, e che certamente ha rassicurato molti risparmiatori italiani. Purtroppo le dichiarazioni rese oggi pomeriggio dal Presidente del Consiglio rischiano di avere leffetto opposto. Esse contengono due gravi errori.
Il primo errore consiste nellaccennare alla possibilità di sospendere le contrattazioni sui mercati, salvo smentire confusamente tale dichiarazione pochi minuti dopo. Chiudere i mercati in questo momento è come spezzare il termometro al capezzale di un malato con la febbre alta: così si finisce per non sapere più neanche quanto sia grave la sua malattia. Inoltre, imporre la chiusura dei mercati equivarrebbe a produrre la totale illiquidità dei titoli in un momento in cui tutto ciò che può dare liquidità è essenziale: ciò accescerebbe solo il panico in coloro che sono incerti se vendere o no i propri titoli, e farebbe sospettare ai risparmiatori che il governo stesso sia in preda al panico e alla confusione.
Il secondo grave errore è stato quello di consigliare ai risparmiatori di comprare azioni ENEL ed ENI. Non spetta al Presidente del Consiglio dare suggerimenti su quali società in cui investire i propri risparmi, specie considerato che in queste società lo Stato è lazionista di controllo. Ciò rischia di turbare gravemente il normale funzionamento del mercato.
Cè da augurarsi che la Consob intervenga immediatamente, con grande chiarezza e decisione su entrambe le questioni. Il suo silenzio sarebbe gravemente colpevole, e fonte di ulteriore disorientamento per i risparmiatori. Cè anche da augurarsi che in futuro ci sia maggior cautela da parte degli esponenti del nostro Governo: in questi giorni, una loro frase incauta può avere conseguente drammatiche. È lultima cosa di cui abbiamo bisogno.
Il Ministro Tremonti ha minacciato di dimettersi se dovesse passare lemendamento, inserito ad opera di due parlamentari nel decreto sullAlitalia, che metterebbe al riparo una serie di managers implicati in recenti e non dimenticati scandali finanziari. La scelta del Ministro e un passo importante verso la moralizzazione delleconomia italiana. Ne potrebbe compiere unaltro, con lo stesso spirito e nella stessa direzione. Riveda quella norma contenuta nel decreto del Ministro del Tesoro (1998, n° 516) che fissa le incompatibilità con lesercizio della funzione di amministratore presso un intermediario finanziario per chi ha subito una condanna definitiva. Renda questo criterio più stringente e lo ampli anche a chi ha procedimenti a carico in corso o subito condanne non definitive. E vero che si rischia di rovinare la carriera di un innocente, ma ben peggiore è il rischio dati i tempi della giustizia italiana di lasciar gestire per anni a un potenziale truffaldino i soldi degli altri.
Il 3 ottobre la Sapienza di Roma, il più grande ateneo dItalia e dEuropa, ha eletto il proprio rettore. Luigi Frati, da 17 anni preside di Medicina e Chirurgia1. diventa il terzo rettore consecutivo della Sapienza di Roma con uno o più figli nella sua stessa università. Nel suo caso, entrambi sono stati chiamati (ed uno di questi nella sua stessa facoltà) quando egli era già preside. Ma in facoltà gli fa compagnia anche la moglie, ex insegnante di lettere al liceo, ora ordinaria di Storia della Medicina. Proprio in questi giorni si sta svolgendo sul sito repubblica.it lennesima raccolta firme di accademici per chiedere maggiori finanziamenti alluniversità. Ma prima di chiedere soldi al contribuente, non sarebbe più credibile dare unaltra immagine di sé al paese? Se la maggioranza del più grande ateneo italiano elegge per tre volte consecutive un rettore che si circonda di parenti, non è legittimo nutrire qualche dubbio su come verranno spesi questi fondi? Per rispondere a questa domanda forse può aiutare la visione di questo video delle Iene sulla festa di nozze della figlia del neo-rettore, svoltasi (incredibile ma vero) nellAula Grande della Sapienza
Nel dibattito in corso sulla crisi si intersecano e si confondono due piani:
a) Le misure da adottare per evitare che la crisi di fiducia tra banche dilaghi in crisi di fiducia verso le banche;
b) Le misure da adottare per migliorare la regolamentazione dei mercati alla luce di quanto imparato dalla crisi. Le prime misure sono il problema delloggi e non vi è moltissomo tempo per dibattere sui dettagli. Lapprovazione in seconda battuta del Piano Paulson da parte del congresso risponde a questa necessità. Approvato il piano e rassicurati i mercati sulla sua implementazione vi è uno spazio per meglio definirne alcune modalità, ma questo spazio è contenuto nel tempo. Se anche l’Europa riuscisse ad adottare misure analoghe in tempi ragionevoli le chance di successo nel bloccare la crisi si accrescerebbero di molto.
Vi è invece molto più tempo per rivedere i meccanismi di regolamentazione, negli Stati Uniti e in Europa, per correggerne i difetti che si sono manifestati durante la crisi. Qui il tempo disponibile occorre prenderlo tutto per pensare accuratamente cosa fare. Vi sono tre ragioni per questo:
1. Qualunque nuova regolamentazione non serve a fermare la crisi in atto ma a prevenire quelle future; il suo successo dipende da una buona comprensione di cosa non ha funzionato negli strumenti di regolamentazione disponibili.
2. La storia insegna che la reazione alle crisi è liper-regolamentazione del mercato. Accadde dopo la Grande Depressione con una severa repressione finanziaria e il costo è stato molto elevato (pensiamo alle quotidiane lamentale degli imprenditori italiani sulladifficoltà di ottenere finanziamenti dalle banche).
3. Non abbiamo solidi principi guida sul disegno e il dosaggio della regolamentazione dei mercati finanziari; la regolamentazione è guidata dallesperienza e dagli sviluppi empirici. Sappiamo però anche che una regolamentazione lasca espone a instabilità finanziaria; ma anche che la regolamentazione che elimina le crisi elimina anche leconomia. Il giusto dosaggio richiede unaccurata ponderazione.
Per giorni e giorni i politici europei e il governo italiano hanno sostenuto che l’Europa è sostanzialmente fuori dalla crisi finanziaria che sta falcidiando banche e assicurazioni negli Stati Uniti. Forse questo messaggio rassicurante serviva a coprire il fatto che le autorità europee, da quando la crisi è iniziata, non hanno fatto pressochè nulla per fronteggiare un possibile contagio. Sappiamo da questo fine settimana che l’Europa, come era prevedibile, è invece pesantemente investita dallo tsunami finanziario. I governi di Belgio, Olanda e Lussemburgo sono intervenuti massicciamente per ricapitalizzare Fortis, colosso bancario e assicurativo del Benelux, di fatto nazionalizzandola. Il governo tedesco sta valutando se intervenire per salvare Hypo Real Estate, banca della Baviera esposta nei mutui ipotecari, in procinto di portare i libri in tribunale. I governi inglese e irlandese sarebbero pronti a intervenire per salvare la Bradford and Bingley, colosso dei prestiti ipotecari. Si tratta in tutti questi casi di interventi estemporanei, misure tampone di socializzazione delle perdite che scaricano un costo elevato sul contribuente. Negli Stati Uniti, nonostante il periodo elettorale, i due candidati alle presidenziali hanno trovato un accordo per un piano di emergenza. Criticabile per quanto sia è un piano. L’Europa deve dare prova di analoga determinazione nel bloccare l’estensione della crisi. La prima cosa da fare sarebbe quella di affidare a una agenzia indipendente, se non alla BCE, le responsabilità di vigilanza sul sistema bancario. Sarebbe un segnale importante ai mercati. Vorrebbe dire che si vuole porre rimedio ai difetti di coordinamento fra banche centrali nella supervisione su banche che operano in paesi diversi e che si vogliono scongiurare i casi in cui il supervisore viene condizionato o catturato da chi dovrebbe essere oggetto della sua supervisione.
Lofferta della Cai è stata ritirata. Significa che Alitalia non ha alternative concrete se non la liquidazione. E una cosa grave. Diverse volte, abbiamo denunciato i costi elevati di questa operazione, anche se, probabilmente, il costo del fallimento è ancora più elevato. Lo scopriremo nei prossimi giorni. Quali sono ora le alternative? Intanto il Commissario deve decidere se continuare a far volare o meno gli aerei di Alitalia. Ha le possibilità di farlo. Ha anche le possibilità di attingere a risorse finanziarie specifiche e privilegiate, con garanzie particolari per chi fornisca queste risorse finanziarie. Auspichiamo che il Commissario decida di farlo. E possibile soprattutto su quelle tratte in cui Alitalia guadagna direttamente denaro, in particolare la Milano -.Roma. Unanalisi precisa di quali rotte sono vantaggiose la può fare soltanto Alitalia. È chiaro che Alitalia non può chiudere domani. Bisogna anche decidere cosa fare dei suoi asset. Se la cordata italiana ha effettivamente chiuso i battenti le uniche alternative potranno essere allestero. Le ipotesi più verosimili sono Air France o Lufthansa. A condizioni purtroppo ancor più penalizzanti di quelle ipotizzate per la Cai e ora rifiutate. La trattativa sarà difficile. Ora il pallino è in mano al governo e ai piedi (per venire qui o andarsene) degli investitori stranieri. Non ci resta che sperare che siano ancora interessati al mercato aereo italiano che è ricco e può dare grandi soddisfazioni. Ci vuole ora un operatore serio e motivato, in grado di cogliere questa opportunità.
1. Ora che il prezzo del petrolio sembra ritornare a livelli "normali" e secondo alcuni potrebbe anche crollare, ora che gli "speculatori" contro cui lei si era tanto accanito sembrano aver preso di mira i petrolieri forzando con le loro subdole manovre il prezzo del petrolio artatamente verso il basso, che farà, restituire il "maltolto" con un Robin Hood subsidy?
2. Pochi giorni fa ci raccontava che sempre quei maledetti speculatori "pompavano" il prezzo del petrolio per rifarsi dalle perdite sui mercati finanziari; ma com’è che oggi hanno deciso di fare perdite su entrambi i fronti, deprimendo le borse e anche il prezzo del petrolio?Che siano diventati scemi?
Ieri è stata una buona giornata per il capitalismo. Dopo il salvataggio con una garanzia pubblica di Bears Stern in primavera e di Fannie Mae e Freddie Mac il mese scorso, si era diffusa l’impressione che il governo americano avrebbe salvato chiunque: oggi le banche, domani le case automobilistiche e le linee aeree, dopo domani chissà. Invece, con grande coraggio, il segretario del Tesoro statunitense Henry Paulson ha detto basta. Il costo è stato elevato, il fallimento della terza/quarta banca d’investimento al mondo, ma il mercato ha impiegato meno di cinque minuti a capire. E Bank of America ha comprato Merrill Lynch senza alcuna garanzia pubblica e ad un premio di 70 per cento sull’ultimo prezzo di mercato. Oggi la cintura di liquidità di cui ha bisogno AIG sarà anch’essa offerta dal mercato. Il Tesoro e la Fed si limitano ad un’opera di coordinamento utile e che non costa nulla. E’ una svolta importante, la vittoria del mercato. Con buona pace di chi ripete che ciò che accade negli Stati Uniti è la prova che il è capitalismo finito.
17 settembre, postilla
Ieri avevamo tirato un respiro di sollievo. La coraggiosa decisione del tesoro americano di lasciar fallire Lehman, sembrava rappresentare una svolta: banche, case automobilistiche, linee aeree, assicurazioni, avrebbero dora in poi dovuto arrangiarsi da sole. Oggi il governo americano ha dovuto smentirsi. E una cattiva notizia perché significa che la situazione finanziaria continua ad essere molto grave. Ma è anche una buona notizia perché dimostra che leconomia del mondo è nelle mani di persone responsabili che non decidono guidate dallideologia (come pure qualcuno ieri, a Washington, suggeriva), ma dal buon senso.
Fg