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Categoria: Concorrenza e mercati Pagina 53 di 85

C’è un futuro per la Fiat in Italia?

Il sistema produttivo che la Fiat intende applicare su larga scala richiede l’utilizzo a ciclo continuo degli impianti, il consenso da parte della forza lavoro, le certezze sulla gestione dei rapporti sindacali. La vicenda di Pomigliano ha rimesso in discussione il progetto “Fabbrica Italia”. Le scelte provocatorie della Fiat mirano ad ottenere una risposta chiara sulla possibilità di portare avanti il progetto. Lo spazio di trattativa è sempre più ristretto. Senza un accordo, si rischia il ridimensionamento della capacità produttiva in Italia.

Competitività del paese

Commento dopo le modifiche apportate dal parlamento

Articolo 43 su semplificazione amministrativa: l’’unico cambiamento è che la semplificazione non si applica, oltre che agli adempimenti di natura tributaria come già previsto nella versione originale, anche a quelli di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica.

Catricalà, Fini e il futuro dell’Italia

L’Antitrust è la più importante e delicata fra le autorità indipendenti. Per questo la nomina del presidente spetta per legge ai presidenti di Camera e Senato. Sorprende quindi che Antonio Catricalà abbia accettato di abbandonarne la presidenza per trasferirsi alla Consob. Anche perché difficilmente potrà lì adottare il metodo che ha introdotto all’Antitrust. Resta poi il nodo di chi andrà al vertice dell’Autorità garante del mercato e della concorrenza. Gianfranco Fini si è detto convinto della necessità di più concorrenza in Italia. Speriamo che non si smentisca.

Un ministro comprensivo

La manovra prevede per i farmaci non più coperti da brevetto la rimborsabilità solo dei quattro prodotti offerti al minor prezzo sulla base di gare organizzate dalle Asl. Le proteste di Farmindustria sono state subito raccolte dal ministro della Salute. Eppure agendo su questo segmento del mercato non si erodono le rendite necessarie a pagare i costi della ricerca. Gli ostacoli alla concorrenza e alle liberalizzazioni non sembrano arrivare dunque dai vincoli imposti dalla Costituzione, ma dall’intreccio tra interessi corporativi e disponibilità della politica ad ascoltarli.

Ma quel compenso non è equo

L’estensione indiscriminata del cosiddetto equo compenso per la copia privata a tutti i dispositivi provvisti di memoria hardware altera irrimediabilmente il principio di proporzionalità tra l’entità del prelievo e le riproduzioni per uso personale realizzate dagli utenti. Perché il provvedimento resti nell’ambito del diritto d’autore e non configuri un mero aiuto di Stato alle grandi case discografiche e cinematografiche, è necessario introdurre limitazioni che assicurino trasparenza nella ripartizione del compenso e un’adeguata protezione dei consumatori.

Chi vince e chi perde con l’euro debole

La grave instabilità all’interno dell’Unione Europea si è tradotta in un drastico indebolimento della moneta unica. Mentre l’eccessivo indebitamento degli Stati rischia di riportarci indietro a Lehman Brothers. Ma, se l’Unione si salva, un euro deprezzato finirà per aiutare la ripresa e rinforzare la competitività dell’azienda Italia nei settori con maggiore intensità di lavoro. Una buona notizia non solo per i bilanci delle aziende, ma anche per i nostri due milioni di disoccupati.

Ricchezza per aria

Lo spettro delle frequenze radio è un bene di proprietà pubblica. Quando arriva nelle mani di operatori che sanno come utilizzarlo, si ottengono benefici collettivi per i cittadini, risparmi per le tasche dei consumatori e incassi per lo Stato. Non in Italia. Come mostra anche l’ultimo esempio delle reti digitali riservate da Agcom a emittenti regionali. Se solo un terzo di quello spettro venisse usato per la telefonia mobile, il governo potrebbe incassare circa 4 miliardi di euro. Gli ostacoli alla tv via cavo, concorrente agguerrito per la banda larga.

Una rete per le piccole imprese

Nasce una rappresentanza della piccola impresa e del lavoro autonomo, R.ete. imprese Italia. Mette assieme le cinque associazioni storiche degli artigiani e dei commercianti e rappresenta nel suo complesso oltre due milioni e mezzo di imprese. Ha davanti alcune sfide, come quella di riuscire a rimanere un soggetto effettivamente autonomo dai partiti senza cedere a tentazioni di neocollateralismo, mentre resta da definire dove si fermerà il processo di aggregazione di altre realtà associative. Ma ancora più importante è il nodo dei rapporti con Confindustria.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio i lettori, anche per la condivisione delle loro esperienze personali, che aiutano a farsi un’idea su cosa è successo durante la crisi del vulcano. I commenti si dividono fra pro (marco ferrari, gia-set, axl, paolospin, Mattia, silvana) e contro (alessandro molinaroli, Ricardo_D, willycoyote) Ryanair. Decisamente una società che si ama o si odia. È importante ribadire due cose. Se ci sono comportamenti illeciti, vanno denunciati e sanzionati. Per il resto, se le politiche aziendali di Ryanair non piacciono, non si è obbligati a volare con loro. Ma il punto principale dell’articolo non voleva essere questo. Il punto è chiedersi se, come recita l’Enac nel suo sito (testualmente, refuso incluso): “Nello svolgimento della propria attività istituzionale di regolazione e controllo del settore aereo l’Ente promuove lo sviluppo dell’Aviaizone  Civile, garantendo al Paese, in particolare agli utenti ed alle imprese, la sicurezza dei voli, la tutela dei diritti, la qualità dei servizi e l’equa competitività nel rispetto dell’ambiente.*” O quanto piuttosto si perseguano obiettivi che ben poco hanno a che fare con gli interessi dei consumatori, ma rispondono a logiche politiche. È una questione che investe tutte le autorità di vigilanza. Le nomine in questi enti vengono spesso fatte con una logica che premia l’appartenenza sulla competenza e sull’indipendenza. Authorities indipendenti e fedeli al loro mandato sono una componente fondamentale per una moderna democrazia ben funzionante. Appunto.

* http://www.enac-italia.it/L’Enac/La_Missione/index.html

 

RYANAIR, ENAC, CONSUMATORI E TASSE IMPLICITE

L’Enac, l’ente governativo che regola il trasporto aereo civile in Italia, ha multato Ryanair per 3 milioni di euro a seguito della mancata assistenza ai passeggeri rimasti a terra durante il blocco dei voli causato dall’eruzione del vulcano islandese. Non sono in grado di giudicare né le colpe della compagnia aerea né l’adeguatezza della sanzione. È giusto che chi viola i diritti dei consumatori paghi. Tuttavia, l’Enac ha sostenuto che “la quasi totalità delle altre compagnie aeree risultano invece aver prestato la dovuta assistenza”: “quasi” non significa tutte. Se altre non lo hanno fatto  –le esperienze personali suggeriscono che i disservizi sono stati diffusi, anche a causa dell’enormità dell’evento– devono essere trattate con la stessa severità. Diversamente, si alimenta l’impressione che l’Enac abbia ingaggiato una guerra contro Ryanair (e le altre compagnie low-cost), osteggiandone le politiche di imbarco (la vicenda dei documenti di riconoscimento dello scorso dicembre) e sorvegliando con particolare solerzia il suo operato. Ryanair fa volare ogni anno milioni di Italiani a prezzi imbattibili, con tassi di puntualità superiori della media dei concorrenti. Indurre la compagnia a lasciare il mercato italiano sarebbe una disdetta per milioni di consumatori, oltre che per i dipendenti della compagnia e per l’indotto. D’altra parte, farebbe felici i “campioni nazionali” su cui il Governo ha investito tanta credibilità, Alitalia in primis e, in misura minore, Trenitalia. Purtroppo, i provvedimenti del Governo riguardo alle politiche per la concorrenza vanno nella direzione di proteggere gli incumbents, con buona pace per i consumatori. Personalmente, non ho nessuna nostalgia di quando si volava sono con compagnie di bandiera. Le tariffe più alte che paghiamo nei settori con poca concorrenza sono vere e proprie tasse implicite  a favore dei produttori. Politiche che scoraggiano le compagnie low-cost ad operare in Italia riducono la concorrenza e sono assimilabili ad aumenti di queste tasse implicite. Non se ne sente il bisogno, particolarmente adesso che le tasse “esplicite” sono destinate a crescere.

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