Il 29 marzo mattina ho dato un’occhiata on line ai movimenti recenti del mio conto corrente bancario (Banca Intesa San Paolo). Ho subito notato una piccola serie di annotazioni curiose: un assegno compare come versato e in entrata, quattro giorni dopo ricompare in uscita (“impagato”) e di nuovo in entrata, ma accompagnato da una commissione di 7 euro (“in Ct segnalati impagati”). Dovendo comunque passare per l’agenzia, decido di chiedere delucidazioni al direttore, che conosco come persona gentile e competente. Il direttore controlla subito l’assegno incriminato e mi comunica che il doppio giro non era nato da mancanza di copertura sul conto da cui l’assegno era stato tratto, ma solo da problemi di gestione dei codici ABI della Banca Regionale Europea (BRE). Questa è entrata a far parte del gruppo UBI già nell’aprile 2007, ma dichiara: “il 25-26 gennaio 2010 si è concluso con successo il piano di ottimizzazione territoriale a seguito del quale Banca Regionale Europea conta ora 225 filiali distribuite sul territorio di riferimento”. Evidentemente, l’ottimizzazione non deve essere del tutto riuscita. Ma il problema non è questo. Chiedo al direttore della mia agenzia perché debba essere il cliente di Banca Intesa San Paolo (cioè io) a pagare per la mancata ottimizzazione di BRE. Mi viene spiegato che un assegno “impagato” di piccolo taglio deve essere inviato materialmente alla banca da cui è tratto (se è di taglio superiore ai 3000 euro viene inviato comunque e non si paga nulla!). Questa attività , affidata a un service provider esterno, ha un costo, da cui l’addebito di 7 euro sul mio conto. Mi viene anche detto che posso chiedere io stesso il rimborso dei 7 euro a chi mi ha dato l’assegno (peraltro, incolpevole e ignaro di tutto) o alla BRE. Faccio presente che mi sarei aspettato una mossa della mia banca a tutela del suo cliente. Un sorriso imbarazzato del direttore mi fa capire quanto sono ingenuo. Dovrei sapere che banca non morde banca! È così facile rifarsi sui propri clienti: c’è anche il caso che non se ne accorgano. Ma l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ne sa nulla?