La Cina ha conosciuto negli ultimi vent’anni una crescita dirompente, che ha portato il paese asiatico a superare i suoi problemi di povertà e a integrarsi sempre più nell’economia mondiale. E’ un successo che influenza tutto il mondo, ma che dà luogo anche a diffuse preoccupazioni, per lo più ingiustificate. Molti paesi infatti possono beneficiare dello sviluppo cinese, a patto che sappiano far tesoro di un insegnamento: le economie devono rimanere flessibili e pronte a garantire efficaci reti di protezione sociale ai perdenti.
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Le misure invocate in difesa del made in Italy sono miopi e non tengono conto delle caratteristiche del processo di integrazione delle nostre imprese nel mercato internazionale. Il protezionismo non crea quasi mai le condizioni per il proprio superamento. E’ sbagliato condizionare gli incentivi al mantenimento di una quota “sostanziale” di attività in Italia. Perché la delocalizzazione ha fornito alle aziende più dinamiche un importantissimo vantaggio competitivo. Invece di favorire questo processo, lo seppelliamo di vincoli e ne aumentiamo i costi.
La tutela del risparmio si realizza con regole efficaci e severe. Ma soprattutto generando fiducia in un funzionamento trasparente e competitivo dei mercati finanziari. La legge approvata alla Camera non raggiunge questo obiettivo. La trasparenza come “bene pubblico” non è adeguatamente valorizzata. Si rinuncia a una seria riorganizzazione delle competenze di vigilanza. E per prevenire il conflitto di interessi tra banca e industria, si impongono vincoli di finanziamento agli imprenditori che partecipano al capitale degli intermediari.
Il mercato europeo del corporate e investment banking non è impenetrabile. Il successo di attori regionali europei fa ritenere che vi sia ancora spazio per operatori italiani che sappiano cogliere la sfida. I costi legati alla fusione di grandi gruppi, per esempio l’emergere di posizioni dominanti in alcune regioni, sarebbero di gran lunga compensati dai benefici che ne conseguirebbero per l’intera economia. Una specializzazione nelle attività all’ingrosso potrebbe anche favorire il processo di crescita dimensionale delle medie imprese italiane.
Il dibattito degli ultimi mesi sembra dare per scontato che la presenza di banche straniere sia dannosa per il nostro sistema economico. Mentre l’esperienza mostra che è vero il contrario. Nel paese di destinazione dell’investimento estero si ha una crescita dell’efficienza complessiva del sistema bancario, con effetti positivi sullÂ’intera economia. Se invece si crede che il sistema bancario italiano non sia ancora pronto per fronteggiare la concorrenza delle grandi istituti europei si apre un’altra questione: perché considerare terminata la sua ristrutturazione?
Gli ultimi dati aggiornati da Cap Gemini confermano che in Italia i costi dei servizi bancari sono più alti rispetto agli altri paesi Ocse. Riproponiamo ai nostri lettori un intervento che documentava i costi della mancata concorrenza in Italia e alleghiamo le nuove tabelle tratte dallo studio Cap Gemini.
Negli ultimi dieci anni, i prezzi dei servizi assicurativi in Italia sono aumentati quattro volte di più della media europea. Accade perché nel nostro paese manca una cultura assicurativa diffusa. Ma soprattutto perché la concorrenza nel settore non è molto efficace. E dunque deve essere rafforzata. Mantenendo la vigilanza sulle condotte delle imprese, con interventi strutturali che rafforzino l’apertura dei mercati e la trasparenza dell’offerta. E per l’assicurazione Rc auto appare indispensabile intervenire ulteriormente sulla struttura dei costi.
LÂ’anatocismo non è da guardare a priori con ostilità . In un conto corrente bancario è indissolubilmente legato alla presenza dellÂ’interesse. E se si regolano le frequenze di capitalizzazione ci si devono attendere nuovi equilibri nei quali i tassi di interesse debitori a capitalizzazione trimestrale vengono soppiantati da equivalenti e più elevati tassi a capitalizzazione annuale. La regolamentazione dellÂ’anatocismo non si giustifica dunque per una questione di prezzo del denaro, bensì per ragioni di trasparenza e di controllo. Costanza Torricelli commenta l’articolo; la controreplica degli autori.
Si può discutere sulla scelta di conferire alla Banca d’Italia un ruolo di regista e non di arbitro nel processo di concentrazione bancaria. Ma i dati mostrano che la forte potestà di coordinamento è stata utilizzata anche per tenere sotto controllo il potere di mercato delle nuove banche, evitando danni a consumatori e imprese. Tuttavia, resta scarsa la concorrenza all’interno del settore, con una ridotta mobilità della domanda, legata anche agli elevati costi di chiusura del rapporto. Ai quali si potrebbe iniziare a ovviare con alcuni semplici accorgimenti.
L’Autorità garante della concorrenza avvia un’indagine sui costi che gli utenti devono affrontare se decidono di cambiare banca. La presenza di costi di cambiamento non implica di per sé un comportamento abusivo delle norme antitrust, però conferisce alle imprese potere di mercato e procura quindi maggiori profitti a scapito di clienti ed efficienza economica. La soluzione consiste nell’eliminare gli ostacoli alla mobilità dei consumatori. Ma il conflitto istituzionale tra Banca d’Italia e Agcm in materia di assetto del settore e di concorrenza rischia di complicare tutto.