L’ecatombe silenziosa di anziani di questa estate dimostra che la famiglia non può più sopperire all’intervento pubblico nel fornire assistenza ai non-autosufficienti. Invece di proporre nuovi programmi da nomi altisonanti e privi di alcun finanziamento, occorre pensare a strumenti universali che consentano la cura degli anziani più bisognosi senza fare affidamento unicamente sui familiari. Da finanziare a livello nazionale, con una più accorta allocazione delle indennità di accompagnamento e con la riduzione della spesa per le pensioni di anzianità .
Categoria: Conti Pubblici
La recente proposta del ministro Sirchia di incentivare le polizze assicurative per l’intra moenia rischia di generare effetti opposti rispetto alla auspicata “interazione virtuosa” tra pubblico e privato. Nella situazione attuale, le maggiori entrate finirebbero nelle casse delle cliniche convenzionate e non in quelle delle aziende sanitarie pubbliche
Nel giro di tre anni le fede di questo governo nelle virtù taumaturgiche delle sue politiche economiche è bruscamente calata. Nel Dpef 2002 si prefigurava una crescita reale del PIL sopra il tendenziale di un punto l’anno per tutto il periodo 2002-2006; nel Dpef 2003 il contributo della politica economica alla crescita era stimato in 0,2 punti nel 2003 e 0,6-0,7 punti in ciascuno dei tre anni successivi. Nel Dpef 2004 si presume che le azioni di politica economica avranno effetti ancora più modesti: 0,2 punti l’anno nel 2004 e 2005, 0,3 nel 2006, 0,5 nel 2007. Ritorno coi piedi per terra o rinuncia a qualsiasi azione riformatrice?
La politica di razionalizzazione del personale scolastico del Ministro della Pubblica Istruzione Moratti porterà presumibilmente a una riduzione del numero di docenti per studente. Ma nessuno sembra tenere conto del fatto che questa scelta potrebbe avere costi sociali elevati dati i forti squilibri regionali presenti nel nostro Paese e il ruolo da noi giocato dal background familiare nel rendimento dell’istruzione
Perché le parole “privatizzazione” e “liberalizzazione” sono bandite dal Documento di programmazione economico-finanziaria? L’assenza di linee guida su questi argomenti è stupefacente. Se non un governo di centro-destra chi dovrebbe compiere significativi passi avanti nell’affidarsi maggiormente al mercato, liberalizzando e privatizzando?
Il Dpef 2004-2007 non serve a capire lo stato di attuazione dei programmi di governo, né gli impegni e i programmi futuri. Ma non possiamo fare a meno del Dpef. Piuttosto il Dpef va ripensato per aumentare la trasparenza dei conti pubblici e per tener conto dell’evoluzione della nostra finanza pubblica verso un assetto federale.
Uno degli scopi dellÂ’introduzione del Dpef (nel 1988) era separare il momento in cui si fissano gli obiettivi sul disavanzo pubblico da quello in cui si definiscono in modo preciso i provvedimenti da inserire nella manovra di finanza pubblica. Prima di allora gli obiettivi venivano stravolti durante la sessione di bilancio in Parlamento e, quasi sempre, si ricorreva allÂ’esercizio provvisorio.
Investimenti in grandi opere e ricerca fuori dalla spesa pubblica e quindi dai vincoli imposti dal Patto di Stabilità : è una ricetta che non garantisce il rilancio dellÂ’economia, come dimostra il caso-Giappone. Può diventare invece un’ottima scusa per abbandonare il rigore nei conti pubblici. Perché la “regola d’oro” funziona bene solo se la si applica come nel Regno Unito, ovvero mantenendo la sostenibilità della politica fiscale.
La spesa del settore pubblico per R&S è sullo stesso livello degli altri Paesi. Mancano invece gli investimenti privati e in particolare quelli dell’industria manifatturiera. I motivi? Imprese troppo piccole, che operano in settori a scarso contenuto tecnologico, oltre al basso livello di istruzione della forza lavoro. La soluzione non è allora nei generosi incentivi ai privati, ma in una politica di valorizzazione del capitale umano. E rinunciando a proteggere le produzioni industriali più tradizionali.
Per risolvere i guai prodotti dal Patto di stabilità non è sufficiente riavviare il programma di investimenti pubblici in infrastrutture europee transnazionali. Sono difficili da realizzare, il loro impatto macroeconomico è modesto e riguardano solo una parte del capitale pubblico. Né danno maggiore trasparenza ai bilanci pubblici. Da ampliare, invece, il ruolo della Bei.