Lavoce.info

Categoria: Banche e finanza Pagina 68 di 114

I COSTI DEL DEFAULT FRA TEORIA E REALTÀ

Il debito pubblico si differenzia da quello privato, per la mancanza di una procedura ben definita per punire uno stato che non ripaga i debiti. Le ripercussioni si pagano in termini di reputazione, commercio estero e accesso ai mercati internazionali. Ma sono effetti che durano pochi anni. Per la teoria economica la ristrutturazione del debito sembrerebbe meno costosa di quanto si pensi. Forse perché è stata sempre accompagnata a un deprezzamento del tasso di cambio. Cosa impossibile per la Grecia.

ALLA RICERCA DELLA CREDIBILITÀ PERDUTA

Le agenzie di rating sono da tempo sotto accusa. Perché hanno sopravvalutato di proposito titoli di dubbia e spesso scadente qualità. In questi giorni, poi, hanno bocciato il programma di riforme della Grecia ancor prima che fosse reso noto, aggravando la crisi del paese. Tutta colpa del conflitto di interessi che le attanaglia, si sostiene da più parti. In realtà, non svolgono neanche la funzione di stabilizzare il mercato, offrendo informazioni tempestive agli investitori. E di questo dovrebbe tener conto la nuova regolamentazione.

CDS, UN FARO NELLA CRISI

I Cds danno molte informazioni sulla natura di una crisi, su come la percepisce il mercato e sul costo degli interventi per contrastarla. Anche nel caso della Grecia. Da dicembre del 2008 le ragioni di lungo periodo della crisi non si sono modificate e la probabilità annua di default è fissa intorno al 4 per cento. Per abbatterla, servono finanziamenti a lungo termine con un piano che consenta di sfruttare la riduzione dello spread prevista nei prossimi anni. Un insegnamento per il Portogallo.

LETTERA APERTA ALL’AVVOCATO BENESSIA

Caro Avvocato Benessia,
grazie ai verbali del Comitato di gestione della Compagnia di San Paolo del 14 aprile pubblicati ieri dal Corriere della Sera, sappiamo finalmente quale deve essere il profilo ideale del candidato Presidente del consiglio di gestione di Intesa-Sanpaolo. Si deve trattare di persona “… espressione della cultura torinese, torinese per nascita e famiglia, diplomato alla maturità presso il liceo Massimo D’Azeglio e laureato all’Ateneo torinese”. Oppure di persona “…nata a Torino, che ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel locale Ateneo ed è stato vincitore, primo in graduatoria della borsa di studio Luciano Jona dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino”.
Insomma lo abbiamo capito: per essere dei bravi banchieri bisogna essere torinesi dentro. Ammettiamo, tre torinesità non sono facili da trovare riunite nella stessa persona. Siamo perciò più che mai partecipi, caro avvocato, delle sue ambasce ora che, dopo la rinuncia di Domenico Siniscalco, lei si trova una casella vuota che sarà difficile riempire. Ma non si disperi. I numeri sono dalla sua parte. A Torino risiedono 126.075 dazegliani con entrambi i genitori nati a Torino. L’89,2 per cento di questi adora i gianduiotti, il 73,2 ingurgita la bagna càuda almeno tre volte al mese (e utilizza 600 mg di citrosodina a testa). Un buon 60 per cento (per l’esattezza il 61,3 per cento) mangia due volte al dì i grissini torinesi. C’è un 22,4 per cento di accaniti bevitori di “birre torinesi doc”. Un 4,2 per cento ha gustato le palle di toro fritte servite da Luciana Lettizzetto a un selezionato pubblico sotto la Mole e l’1,2 per cento partecipa al coordinamento “Torino Pride”. Dimenticavamo: se proprio faticasse a trovare tra questi qualcuno disposto a fare il banchiere, ci sono i turisti svedesi di nome Tore, i visitatori della Chiesa di San Salvatore a Torino di Sangro e i sostenitori del boss Salvatore Torino. Insomma, avvocato, non si disperi: di persone con la stoffa del banchiere ce n’è. Le suggeriamo anche un test per valutare le loro competenze, sempre che a queste lei sia interessato: chieda loro di verificare i numeri di cui sopra.  

SE LA CRISI DI ATENE ENTRA IN BANCA

Lungi dall’essere risolta, la crisi greca ha messo a nudo tutte le debolezze della costruzione monetaria europea. Una volta messo in moto, il processo di integrazione comporta una serie di costi, oltre che di importanti benefici. Ma tornare indietro sarebbe molto rischioso e costoso. Meglio dunque andare avanti fino a quando l’Europa sarà un vero stato federale. Solo allora si potrà considerare la Grecia alla stregua di Los Angeles, che non ha banche né depositanti da salvare, ma solo un bilancio da sanare.

SALVIAMO LA GRECIA. DA SE STESSA

Il governo greco ha chiesto all’Unione Europea e all’Fmi di attivare i 45 miliardi di aiuti concordati. Ma è ancora possibile salvare a Grecia? E quanto costerebbe? Lasciato a se stesso, il paese è condannato al ripudio del debito pubblico. Eppure, la crescita del debito è in larga misura dovuta alla spesa per gli interessi e l’apertura di linee di credito internazionali potrebbero migliorare le cose. E non costerebbe neanche molto. Dopo il primo anno di aiuti, però, si dovrebbe lasciare la Grecia al proprio destino, preparando una ristrutturazione ordinata del debito.

DUE ANNI DI GOVERNO: ECONOMIA E FINANZA

Come ha agito il governo durante la crisi? È importante stabilire i fatti. La caduta del reddito nazionale dal picco precedente alla crisi al successivo punto di minimo è stata del 6,5 per cento in Italia; nella media dei paesi dell’area dell’euro è stata di oltre un punto più contenuta. In Germania il calo è simile all’Italia mentre in Francia è poco più della metà. I dati della produzione industriale raccontano una storia simile: dal picco al minimo la produzione crolla di un quarto in Italia e Germania e del 20 per cento in Francia e nella media dei paesi dell’euro. L’impatto della crisi è stato quindi altrettanto severo in Italia quanto in Germania e più severo che nella media dell’area dell’euro e in Francia – nonostante l’assenza da noi di fallimenti bancari, verificatisi invece Oltralpe. La scelta del governo è stata di alzare il bavero, aspettare e sperare che la bufera passasse, adottando provvedimenti minimi per fronteggiare l’impatto sul mercato del lavoro (ad esempio con l’estensione della cassa integrazione in deroga: vedi la relativa scheda) e stemperare il rischio di panico sulle banche, con interventi più di natura simbolica che di effettiva sostanza (i cosiddetti Tremonti bond). L’intento annunciato era di evitare impatti sulla finanza pubblica, oltre quelli inevitabili sul rapporto debito/Pil dovuti al calo del Pil e quelli sul disavanzo dovuti agli ammortizzatori sociali. Infatti, in Italia le misure di stimolo fiscale durante la crisi sono nulle, diversamente da Francia e Germania che hanno varato pacchetti dell’ordine di un punto di Pil. Si è quindi scelto di accettare un maggior impatto della crisi per evitare un aggravamento dei conti pubblici in un paese già fortemente indebitato. Alcuni benefici di questa politica si apprezzano oggi guardando alla esperienza della Grecia.
Ma, oltre ad aver evitato di adottare politiche fiscali anticicliche di qualche significato, il governo ha omesso qualunque politica economica. Se il primo atteggiamento aveva una sua ragion d’essere sul piano economico, il secondo è difficile da giustificare. Estendendo lo sguardo all’indietro, al decennio antecedente la crisi, fatto 100 il Pil del 2000, l’Italia perde 6 punti di Pil rispetto alla media degli altri paesi dell’euro e anche rispetto alla Francia; il divario nella produzione industriale è ancora più marcato e supera i 10 punti con la Germania. È come se la sola l’Italia negli otto anni prima di Lehman Brothers, fosse stata colpita da una crisi economica della stessa entità di quella gravissima sperimentata nell’ultimo anno e mezzo. In queste circostanze l’aspettativa legittima era che il governo, già dal suo insediamento avvenuto prima dello scoppio della crisi, varasse un piano di riforme per facilitare la ristrutturazione delle imprese, alleggerirle del peso della burocrazia, incoraggiarne la creazione, migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, dotandolo di istituti propri per facilitare la riallocazione dei lavoratori e quindi la stessa ristrutturazione delle imprese. Misure spesso dal costo nullo per l’erario, ma con effetti rilevanti sui tassi di crescita di medio periodo. Niente di ciò è avvenuto. Ora sembra che le riforme siano ritornate all’ordine del giorno. Ma non è chiaro come quelle di cui si parla – federalismo fiscale, intercettazioni, semipresidenzialismo – possano aggredire il problema economico dell’Italia: evitare che ogni otto anni essa paghi, per l’inerzia della sua classe dirigente, l’equivalente di una grave crisi economica planetaria.

IL FALLIMENTO CHE L’EUROPA NON PUÒ PERMETTERSI

L’Unione Europea riforma il suo sistema di regolamentazione finanziaria, con l’istituzione di tre autorità di vigilanza a livello europeo. La proposta è il superamento delle logiche nazionali e dunque un enorme passo avanti. Potrebbe però essere un errore concentrarsi solo sui poteri da attribuire alle nuove istituzioni, soprattutto per la posizione che potrebbe assumere il futuro governo britannico. Meglio allargare la discussione ai problemi di efficacia e governance. Anche perché un fallimento avrebbe gravi conseguenze su tutto il processo di integrazione economica.

COME INSEGNARE L’ABC DELLA FINANZA

Proprio la crisi ci ha dimostrato come la scarsa conoscenza di nozioni economiche e finanziarie di base sia diffusa in larghi strati della popolazione, sia negli Stati Uniti sia in Europa. E ciò porta a prendere decisioni sbagliate sui mutui come sulle pensioni. Le conseguenze sono disastrose non solo a livelli microeconomico, ma anche macroeconomico. Per questo gli Usa hanno lanciato alcuni programmi per l’alfabetizzazione finanziaria nelle scuole. Ma non basta: corsi di questo tipo si dovrebbero tenere anche nelle aziende.

DUBBI DA UN MATRIMONIO

Pubblichiamo il testo del discorso pronunciato da Tommaso Padoa-Schioppa il 21 dicembre 2007 al London Stock Exchange Christmas Party. Nel suo intervento, l’allora ministro dell’Economia spiegava le ragioni che lo avevano portato a preferire per Borsa italiana una soluzione diversa dall’alleanza con il mercato della City. Le recenti vicende , con conseguenti ripensamenti sull’opportunità della fusione, riportano d’attualità quelle considerazioni.

Pagina 68 di 114

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén