Come ha agito il governo durante la crisi? È importante stabilire i fatti. La caduta del reddito nazionale dal picco precedente alla crisi al successivo punto di minimo è stata del 6,5 per cento in Italia; nella media dei paesi dellarea delleuro è stata di oltre un punto più contenuta. In Germania il calo è simile allItalia mentre in Francia è poco più della metà. I dati della produzione industriale raccontano una storia simile: dal picco al minimo la produzione crolla di un quarto in Italia e Germania e del 20 per cento in Francia e nella media dei paesi delleuro. Limpatto della crisi è stato quindi altrettanto severo in Italia quanto in Germania e più severo che nella media dellarea delleuro e in Francia nonostante lassenza da noi di fallimenti bancari, verificatisi invece Oltralpe. La scelta del governo è stata di alzare il bavero, aspettare e sperare che la bufera passasse, adottando provvedimenti minimi per fronteggiare limpatto sul mercato del lavoro (ad esempio con lestensione della cassa integrazione in deroga: vedi la relativa scheda) e stemperare il rischio di panico sulle banche, con interventi più di natura simbolica che di effettiva sostanza (i cosiddetti Tremonti bond). Lintento annunciato era di evitare impatti sulla finanza pubblica, oltre quelli inevitabili sul rapporto debito/Pil dovuti al calo del Pil e quelli sul disavanzo dovuti agli ammortizzatori sociali. Infatti, in Italia le misure di stimolo fiscale durante la crisi sono nulle, diversamente da Francia e Germania che hanno varato pacchetti dellordine di un punto di Pil. Si è quindi scelto di accettare un maggior impatto della crisi per evitare un aggravamento dei conti pubblici in un paese già fortemente indebitato. Alcuni benefici di questa politica si apprezzano oggi guardando alla esperienza della Grecia.
Ma, oltre ad aver evitato di adottare politiche fiscali anticicliche di qualche significato, il governo ha omesso qualunque politica economica. Se il primo atteggiamento aveva una sua ragion dessere sul piano economico, il secondo è difficile da giustificare. Estendendo lo sguardo allindietro, al decennio antecedente la crisi, fatto 100 il Pil del 2000, lItalia perde 6 punti di Pil rispetto alla media degli altri paesi delleuro e anche rispetto alla Francia; il divario nella produzione industriale è ancora più marcato e supera i 10 punti con la Germania. È come se la sola lItalia negli otto anni prima di Lehman Brothers, fosse stata colpita da una crisi economica della stessa entità di quella gravissima sperimentata nellultimo anno e mezzo. In queste circostanze laspettativa legittima era che il governo, già dal suo insediamento avvenuto prima dello scoppio della crisi, varasse un piano di riforme per facilitare la ristrutturazione delle imprese, alleggerirle del peso della burocrazia, incoraggiarne la creazione, migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, dotandolo di istituti propri per facilitare la riallocazione dei lavoratori e quindi la stessa ristrutturazione delle imprese. Misure spesso dal costo nullo per lerario, ma con effetti rilevanti sui tassi di crescita di medio periodo. Niente di ciò è avvenuto. Ora sembra che le riforme siano ritornate allordine del giorno. Ma non è chiaro come quelle di cui si parla federalismo fiscale, intercettazioni, semipresidenzialismo possano aggredire il problema economico dellItalia: evitare che ogni otto anni essa paghi, per linerzia della sua classe dirigente, lequivalente di una grave crisi economica planetaria.