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Categoria: Banche e finanza Pagina 83 di 114

LO STATO DELLE BANCHE

Lo Stato ha assunto un ruolo da protagonista negli assetti proprietari degli intermediari. Ciò comporta molti rischi e incognite. I recenti decreti salva-banche varati dal governo prevedono correttamente che a tutela del contribuente le azioni pubbliche siano privilegiate nella distribuzione dei dividenti. Manca però un esplicito divieto del diritto di voto. Né si dice niente sulla durata della presenza statale, che dovrebbe essere temporanea e rigidamente delimitata. E le banche dovranno difendere la loro autonomia costruendo una governance virtuosa.

RIAPRIRE IL CANTIERE DELLE REGOLE *

L’applicazione delle regole di Basilea 2 avrebbe portato a un consistente aumento dei requisiti patrimoniali delle banche e non avrebbe comunque consentito l’utilizzo di strumenti come cartolarizzazioni e derivati per finalità di mero risparmio di capitale di vigilanza. Mettendo forse in difficoltà il modello di business di molte banche d’affari. Per questo gli Stati Uniti ne hanno ritardato l’introduzione. Fino alla crisi di oggi. Che accelera la necessità di completare quelle norme. Perché l’innovazione finanziaria è un processo inevitabile.

ECONOMISTI E PREVISIONI

Dare addosso agli economisti sembra sia diventato uno sport nazionale. Lo ha fatto il Ministro del Tesoro che li ha invitati a tacere, già li criticava Eugenio Scalfari ai tempi del governo Prodi (essenzialmente perché non risparmiavano critiche anche a quel governo), ora inaspettatamente si aggiunge al coro anche Lei, Professor Sartori, che dal pulpito del Corriere della Sera tuona per la seconda volta in pochi giorni contro gli economisti per non aver saputo prevedere la crisi finanziaria e quindi consentire di evitarla (anche se da una cosa non segue l’altra – Cassandra insegna). Lei non se la prende con tutti gli economisti (nel mucchio è ovvio che qualcuno avrà previsto giusto) ma solo con quelli di rilievo, nessuno dei quali secondo lei “… ha davvero visto in tempo e capito a fondo i fatti e misfatti di Wall Street”. Fa eccezione Paul Krugman, che però secondo Lei non sarebbe abbastanza economista (assomiglia piu’ a uno scienziato politico?). E si chiede: “Mi sono sbagliato?”
Sì, caro Sartori, si è sbagliato. Per capire perché, occorre intendersi su che cosa sia una previsione. Uso la sua definizione per comodità: “dato un ben circoscritto e precisato progetto di intervento, quale ne sarà precisamente l’effetto? Riuscirà come previsto o no? Se no, perché no?”. Dice bene, dato un ben circoscritto progetto etc., e lei infatti cita il “mattarellum” come esempio su cui Lei si è esercitato a prevederne con ragione gli effetti nefasti. Purtroppo la crisi finanziaria non è il mattarellum. Non c’è nessun “precisato progetto di intervento” a cui si possa imputare la crisi. Vi sono molti elementi che congiuntamente hanno prodotto la miscela della crisi finanziaria: la politica monetaria eccessivamente espansiva di Greenspan dopo l’11 settembre, la bolla immobiliare (sostenuta anch’essa dalla politica monetaria della FED), la riduzione dei coefficienti di capitalizzazione delle banche d’affari e numerosi altri – incluso l’assetto privato di Fannie Mae and Freddie Mac e la natura pubblica delle garanzie che essi offrivano sui mutui. L’importanza di questi elementi e il loro potenziale destabilizzante sono stati messi in evidenza da tanti economisti. Uno per tutti: Robert Shiller e i suoi scritti sulla bolla immobiliare o sull’“esuberanza irrazionale” dei mercati americani. Ovviamente nessuno ha previsto che ad agosto di quest’anno la crisi sabebbe precipitata in una crisi di fiducia e che questa ad ottobre sarebbe potuta degenerare in corsa agli sportelli. Si poteva prevedere tutto ciò con congruo anticipo, in particolare il timing di questi eventi? No. Così come Lei non ha previsto e non poteva prevedere che i politici italiani avrebbero adottato il mattarellum. Ciò che Lei ha fatto è analizzare le possibili conseguenze di quella legge servendosi dello strumentario analitico che la sua disciplina Le mette a disposizione. Prevedere gli effetti di “un progetto di intervento” una volta adottato è una cosa, prevedere l’ adozione di un determinato progetto di intervento è cosa diversa e molto più complessa: richiede che si prevedano le mosse e le astuzie di Bossi, quelle di Berlusconi, il potere contrattuale degli altri partiti, etc. È opera improba anche per un politologo del Suo calibro. Infatti non ci ha provato: ha aspettato che facessero e poi ha sentenziato quali sarebbero state le conseguenze. E ha fatto la cosa giusta. Ma se uno dovesse applicare a Lei e alla scienza politica quello che Lei chiede alla scienza economica e agli economisti, allora ci avrebbe dovuto avvisare con congruo anticipo che i politici di casa nostra avrebbero partorito il mattarellum. Non lo ha fatto.
Se prevedere è quello che dice lei, allora gli economisti lo fanno di routine. Con riferimento alla crisi e “ai ben precisati progetti di intervento”, molti economisti hanno capito e previsto che il piano Paulson, nella versione iniziale, non avrebbe funzionato perché non interveniva nel capitale delle banche (vedi l’articolo di Luigi Zingales “Why Paulson is wrong”). L’amministrazione americana ha modificato il provvedimeno di conseguenza. In tanti abbiamo anticipato che provvedimenti adottati in via isolata dai paesi europei, senza un serio coordinamento sarebbero stati inefficaci come risposta alla crisi. Chissà, forse anche per questo alla fine i governi hanno convenuto su una serie di misure comuni. Da tanti anni, da quando è stata adottata la moneta unica, andiamo predicando che bisogna avere un’istituzione che faccia vigilanza per l’intera Europa. Lo facciamo perché prevediamo che sia questo l’assetto istituzionale migliore per prevenire l’emergere delle crisi e per gestirle se la prevenzione non fosse sufficiente. L’abbiamo fatto sulle riviste e non pretendo che Lei le legga, ma l’ha fatto Francesco Giavazzi tante volte dalle colonne del suo giornale, e quello suppongo che Lei lo legga (da ultimo Marco Pagano).
Tutto questo, mi darà atto, è prevedere secondo la sua definizione; nè più nè meno. E, mi pare che sia chiaro dagli esempi, queste previsioni sono fatte per cercare di prevenire. Che effettivamente ci si riesca è un altro paio di maniche. Qui entra in gioco la politica e anticiparne le mosse è più compito Suo che degli economisti.

EPISODIO V: LE ASPETTATIVE COLPISCONO ANCORA

Se l’Europa non coordina le politiche finanziarie, abbandonando l’ortodossia, si creeranno aspettative di una crisi ben peggiore di quella del 1929. Per i prossimi due anni, allora, il Patto di stabilità dovrebbe costringere i governi ad aumentare sensibilmente tutti i deficit, ben al di là del 3 per cento, se necessario. Politiche di bilancio aggressive, se temporanee, hanno il pregio di ricostruire la fiducia e limitano la caduta della domanda aggregata. Ed è l’ora di impegnarsi in riforme che richiedono investimenti proficui nel lungo periodo, anche se costosi nel breve.

ADDIO BASILEA 2

L’adozione di meccanismi come la ricapitalizzazione e l’assicurazione esplicita delle passività bancarie vanno salutati con favore, pur ricordando che altro non sono che trasferimenti di ricchezza dai contribuenti agli azionisti delle banche. Prima però di gettare a mare un sistema di adeguatezza patrimoniale sofisticato ed evoluto come Basilea 2, occorre valutare con attenzione se i problemi sperimentati in questi mesi non possano in realtà essere superati più agevolmente rivedendo aspetti relativamente più semplici, quali il meccanismo delle riserve e quello dei rating.

BANCHE, MERCATI, MA SOPRATTUTTO FIDUCIA

Una delle conseguenze più rilevanti della crisi finanziaria è la sfiducia dei risparmiatori verso le banche. Le conseguenze che ne derivanno hanno un costo che ricade sull’intera società. Un aiuto per comprendere il fenomeno viene dalle scienze cognitive. Che ci mostrano come negli ultimi anni gli investitori si sono sentiti spiazzati dalla costante mutazione di nomi e prodotti finanziari. E ci spiegano che sarà lungo il periodo di tempo necessario alle banche per riconquistare la fiducia dei clienti.

NON FERMATE QUELLE OPA

La crisi finanziaria ha fatto crollare il valore delle azioni di molte società quotate in borsa. E benché quelle scalabili siano in Italia davvero poche, si cercano strumenti per rendere più difficili le offerte pubbliche di acquisto. Per esempio, rimuovendo la passivity rule, la norma che impedisce al management della società bersaglio di intraprendere azioni per ostacolare il successo dell’Opa. Ma una limitazione simile non tutela i piccoli azionisti. A trarne beneficio sono in genere i gruppi manageriali oppure gli azionisti di controllo. Regole speciali per i fondi sovrani.

COSA MANCA NEL SALVATAGGIO EUROPEO

Se sono chiare le linee generali degli interventi decisi dai governi europei per contrastare la crisi finanziaria, poco ancora si sa sui dettagli del piano. Ma si tratta di dettagli molto importanti, che vanno dai criteri per decidere in quali banche iniettare capitale alla durata dell’implicita nazionalizzazione. Inoltre il piano non affronta un punto chiave: come affrontare l’eventuale salvataggio di grandi banche sovra-nazionali. Affrontare questo punto potrebbe darci finalmente l’occasione di creare un’autorità di vigilanza per l’area dell’euro, a cui affidare la tutela della stabilità di queste banche.

UN PIANO ANCHE PER I CITTADINI

Il piano europeo per uscire dalla crisi va nella giusta direzione. Ma potrebbe incontrare l’ostilità dell’opinione pubblica, per le ingenti risorse pubbliche dirottate verso un sistema bancario che negli ultimi dieci anni ha realizzato enormi profitti. Tre proposte a vantaggio dei cittadini europei: aumentare la concorrenza nel sistema bancario per ridurre i costi e migliorare i servizi. Prevedere un programma di aiuto per famiglie in difficoltà con le rate del mutuo. E riduzioni fiscali per i redditi più bassi. Servirebbe anche a rendere la recessione meno duratura.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio dei commenti alla mia proposta di estendere temporaneamente la garanzia statale ai prestiti interbancari. Prima di replicare, osservo che i governi europei sembrano essersi resi conto che il cuore della crisi di liquidità è nel mercato interbancario e che lì occorre intervenire. Coerentemente, stanno estendendo la garanzia statale ai depositi interbancari. Questo, unitamente alle altre misure adottate e alle variazioni intervenute nella politica di rifinanziamento della BCE, sta dando i primi risultati: le borse hanno reagito positivamente e i tassi d’interesse sull’interbancario hanno iniziato a ridursi. Siamo ancora lontani dal ritorno alla normalità, ma un primo passo è stato fatto. 
Non mi soffermo su coloro che sono a favore della mia tesi, mentre provo a rispondere a chi solleva obiezioni. Tra questi, qualcuno osserva che occorre proteggere coloro che hanno contratto mutui con le banche. Sono d’accordo, tanto che in un mio articolo precedente non ho risparmiato critiche alla convenzione ABI – Governo sulla rinegoziazione dei mutui, che comporta una significativa limitazione della concorrenza a danno della clientela. L’intervento da me proposto per il mercato interbancario non è incompatibile con misure che rendano meno onerose le rate dei mutui per i debitori: ad esempio l’indicizzazione degli interessi al tasso di policy fissato dalla BCE piuttosto che all’Euribor, che è molto più volatile.
Altri ritengono che sia meglio abbandonare al loro destino le banche, che non meritano alcun sostegno. In questo caso non sono d’accordo: non perché abbia particolare simpatia per le banche, ma perché una crisi del sistema bancario ha costi sociali molto alti. Il fallimento di una grande banca o di una quota consistente del sistema bancario espone i risparmiatori a perdite rilevanti e le imprese alla riduzione delle fonti di finanziamento, con ricadute negative sull’attività produttiva e sull’occupazione. Inoltre, il dissesto di una istituzione rischia di trasmettersi al resto del sistema, tramite una crisi di fiducia e a causa della rete di esposizioni reciproche. Perciò è nell’interesse di tutti mantenere la fiducia nella solvibilità del sistema bancario. Inoltre, le operazioni di salvataggio non impediscono necessariamente che i manager responsabili di cattiva gestione vengano sanzionati.

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