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Categoria: Banche e finanza Pagina 85 di 115

UN PIANO B PER GLI STATI UNITI

Il piano Paulson non funziona. Serve dunque un programma alternativo, che dirotti il denaro pubblico dal sostegno diretto di Wall Street o del cittadino comune a un pacchetto di investimenti in grado di rimettere in moto l’economia. Basato su una idea: permettere una ristrutturazione efficiente dei debiti. Lo Stato dovrebbe limitarsi a definire un quadro normativo che consenta alle famiglie di rinegoziare i mutui sulle case che hanno perso oltre il 20 per cento del loro valore. E alle banche insolventi di chiedere una speciale forma di bancarotta.

BUCHI NELL’ACQUA

Alitalia insegna: anche in periferia soldi pubblici nelle società di diritto privato. L’aumento di capitale straordinario varato dalle province di Massa-Carrara e Lucca per evitare la bancarotta di Gaia, società a capitale pubblico che gestisce il servizio idrico, è un caso emblematico. Ai contribuenti l’operazione costerà 20 milioni. Almeno due le lezioni che ne possiamo trarre: il settore è vulnerabile dal punto di vista finanziario ed è necessario definire regole contabili più rigorose. A maggior ragione quando a prendere le decisioni sono manager provenienti dalla politica. Perché potrebbero servirsi delle aziende per scaricare i problemi delle esangui casse comunali.

SALVIAMO LE BANCHE E SALVIAMO I MUTUI

L’impegno dei governi europei per varare misure adeguate a contrastare la crisi, potrebbe non essere sufficiente. E’ importante intervenire anche sui mutui, aiutando le famiglie in difficoltà perchè indebitate per pagarsi la casa. Negli Stati Uniti Hillary Clinton ha proposto piano di acquisto e finanziamento dei mutui. Con le dovute differenze, anche i governi europei potrebbero pensare a politiche di sostegno per rinegoziare determinate categorie di prestiti immobiliari.

I QUATTRO PICCHI DELLA REGOLAMENTAZIONE

Autorità di vigilanza e banche centrali hanno troppi conflitti di interesse se perseguono più obiettivi contemporaneamente. E oggi il sistema offre un grado di protezione inadeguata agli investitori e mantiene un ulteriore strato di regolazione nazionale che fa perdere competitività a tutta l’industria finanziaria. Una struttura equilibrata potrebbe essere a quattro picchi. La regolamentazione e vigilanza sarebbe organizzata, a livello orizzontale, per finalità. E in modo federale, a livello verticale, con una struttura simile al sistema europeo di banche centrali.

DA WALL STREET ALLA STRADA

Non basta il piano Paulson per arrivare a una rapida conclusione della crisi. Le cui conseguenze si allargano velocemente da Wall Street all’economia reale. E allora i confronti con la Grande Depressione non sono più solo un esercizio accademico. Sicuramente la Fed e l’amministrazione americana non ripeteranno gli errori del passato. Ma la situazione è anche decisamente più complessa e le soluzioni più difficili. Gli Stati Uniti non arriveranno a un tasso di disoccupazione del 25 per cento come negli anni Trenta, ma al 10 per cento forse sì.

UN’OPPORTUNITA’ PER L’EUROPA

Anche se il provvedimento varato dal governo italiano per la ricapitalizzazione delle banche è largamente condivisibile, resta sul tappeto il problema dell’eventuale salvataggio delle grandi banche transnazionali europee. Che hanno un ruolo chiave sia nell’integrazione dei mercati finanziari europei che nella loro stabilità sistemica. La Bce ha affrontato bene uno dei due aspetti della crisi, il problema di liquidità. In Europa manca però una istituzione che possa mettere in atto una risposta organica. Così dopo il fallimento dell’Ecofin, i paesi membri procedono in ordine sparso. Ma la definizione di regole condivise è questione non più eludibile.

IL RISCHIO DI SCARICARE IL RISCHIO

La corsa dei governi europei a garantire i depositi della clientela presso le banche non sembra l’obiettivo giusto: la crisi ha sinora colpito il sistema interbancario. Vi è un problema di aspettative e le banche non si prestano più liquidità. Una situazione molto delicata che apre nuovi scenari. E che potrebbe richiedere anche soluzioni estreme, come l’estensione della garanzia statale ai depositi interbancari.

ALLA RADICE DELLA TEMPESTA PERFETTA

Dopo anni di deregulation e decenni di scarsi controlli, di sfiducia nei sistemi di prevenzione e di vigilanza sugli intermediari, la crisi del credito è scoppiata negli Stati Uniti e da lì si è estesa a tutto il mondo sviluppato. Le origini del problema sono dunque chiare. Il piano approvato dal Congresso punta a rimediare agli effetti e non alle cause della crisi. Per essere efficace dovrebbe invece ri-regolare i mercati e aiutare le famiglie incapienti con mutui. Tanto più che un programma di agevolazioni immobiliari alle famiglie avrebbe molteplici effetti positivi.

A SPESE DEL CLIENTE

Si dice che in America il capitalismo è sfrenato, mentre da noi si concedono meno prestiti, si cartolarizza di meno e non c’è stata la bolla immobiliare. Per questo le nostre banche sono più solide. Ma se gli americani sono un popolo di consumatori indebitati, gli italiani sono un popolo di risparmiatori. Ed è su questo versante che si fanno gli affari e qualche malefatta. Infatti, nel mezzo di una crisi finanziaria con epicentro del rischio nel settore bancario, i portafogli delle famiglie italiane sono zeppi di depositi e obbligazioni bancarie, nazionali e non.

IL CORAGGIO DI CAMBIARE LE REGOLE

Le risposte comunitarie alla crisi finanziaria sono ancora deboli e incerte. Bisogna rivedere l’organizzazione della vigilanza nell’area dell’euro. Ad esempio, i soli paesi che convergono sull’esigenza di trovare criteri comuni potrebbero istituire propri collegi di controllo sui gruppi che operano nei loro confini, fondati sul principio di maggioranza e sulla delega di poteri a un lead supervisor. Una sorta di vigilanza europea a geometria variabile. Ma anche in Italia è necessario semplificare l’architettura dei controlli, creando un’unica autorità.

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