La riduzione del cuneo fiscale è un nodo fondamentale per la crescita del nostro paese. Eppure finora non è stata una priorità nell’agenda del Governo. Le risorse necessarie per un intervento significativo, magari destinato ai lavoratori più giovani. E l’impatto sulle pensioni future.
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La tassazione è parte costitutiva e rilevante del patto che lega i cittadini allo Stato. E proprio per questo il fisco italiano va cambiato. In che modo lo spiega Dino Pesole nel suo libro “Il salasso”. Ne pubblichiamo alcuni stralci.
In Italia nell’ultimo anno e mezzo sono state varate nuove imposte per un ammontare pari a circa 4 punti di Pil. Stime dell’effetto dell’inasprimento fiscale portano a prevedere una contrazione dell’economia intorno ai due punti e mezzo nei prossimi due anni. Da aggiungere al -3 per cento del 2012.
Uno degli aspetti controversi dell’Imu è costituito dall’utilizzo delle valutazioni catastali per la definizione del valore della base imponibile. I dati catastali non solo sono distanti dai veri valori di mercato, ma lo sono in maniera non uniforme tra territori e tipologie abitative. Un esercizio di simulazione dell’utilizzo dei valori di mercato fatto per la Toscana evidenzia come una operazione relativamente semplice permetterebbe di accrescere l’equità del prelievo e di ridurre la pressione sulla casa di residenza.
Se si considera solo il taglio di un punto delle due aliquote più basse dell’Irpef, oltre 30 milioni di contribuenti ottengono uno sgravio, in media di 151 euro. Mentre il debito Irpef resta invariato per altri 10 milioni di contribuenti, per lo più incapienti. Ma se a questo si aggiunge l’aumento dell’Iva, il discorso cambia. I primi due decili subiscono un aggravio fiscale, che sarà dell’1 per cento per il primo. Tra il terzo e il nono decile il prelievo diminuisce rispetto a oggi in misura pressoché costante, attorno allo 0,2-0,3 per cento. Immutata la situazione per l’ultimo decile.
Con la legge di stabilità, il Governo prevede per il 2013 l’aumento di un punto percentuale dell’aliquota Iva ordinaria e ridotta. Tuttavia, i dati sembrano indicare che il precedente incremento avvenuto a settembre 2011 non solo non ha contenuto la perdita di gettito dovuta alla recessione, ma l’ha amplificata. Una spiegazione possibile è che si sia registrata una maggiore evasione, motivata presumibilmente proprio dall’aumento dell’aliquota oltreché dalla crisi.
Il governo Monti ha modificato in profondità il quadro regolativo entro cui opera il lavoro autonomo. Manca però una riflessione generale sulle condizioni reali di questi lavoratori. Il rischio è che gli effetti positivi desiderati siano così vanificati e divenga difficile includere le partite Iva in un nuovo contratto sociale. Perché aumenterà la loro estraneità nei confronti di uno Stato che chiede sempre di più, li espone a maggiore competizione e incertezza, in cambio della vaga promessa di una pensione. A cui gran parte di loro non aspira.