Lavoce.info

Categoria: Gender gap Pagina 22 di 27

Prossimo Parlamento: donne e giovani

Nel prossimo Parlamento ci saranno più donne e più giovani, soprattutto grazie al Movimento 5 Stelle e al Pd. Soltanto il Pdl e lo stesso M5S, però, hanno abbandonato l’ipocrisia di mettere più donne e giovani nelle posizioni non eleggibili.

Due crediti d’imposta per il lavoro delle donne

Favorire l’occupazione femminile è senz’altro una necessità in Italia. Ma anche la riforma del mercato del lavoro del governo Monti non contiene misure adeguate. L’eliminazione degli assegni familiari, sostituiti da due crediti d’imposta, potrebbe avere effetti positivi sull’offerta di lavoro e sulla redistribuzione, senza aggravi per le casse dello Stato. L’Earning Income Tax Credit è più efficace nel promuovere l’occupazione delle donne, mentre il Working Tax Credit è uno strumento migliore per contrastare la povertà. Bonus per le famiglie con due percettori di reddito.

Riforma del lavoro, donne e crescita

Con la riforma del lavoro cambiano molte cose. Ma cambia qualcosa anche per le donne? Lo spiega Daniela Del Boca nelle slides utilizzate durante il suo discorso al Convegno tenutosi all’Università Cattolica il 4 luglio 2012, in occasione del decennale del nostro sito.

NON È UNA CARRIERA PER DONNE

Anna Maria Tarantola sembra essere un’eccezione: solo il 35 per cento dei dipendenti della Banca d’Italia sono donne e la percentuale delle dirigenti è ancora più bassa. Se sulla scarsa presenza femminile nelle posizioni di vertice influiscono fattori socio-demografici, molto più difficile è spiegare perché le donne restano in netta minoranza anche tra i neoassunti laureati. Dai dati sui concorsi degli ultimi anni per economisti e giuristi risulta che erano donne il 61,5 per cento dei partecipanti, ma il 35,5 per cento degli idonei. Le ipotesi non confermate dalle analisi.

DISCRIMINAZIONI SUL LAVORO TRA GENERE E RELIGIONE

I musulmani sembrano avere idee più tradizionali verso le diseguaglianze di genere rispetto ai non-musulmani. È dunque possibile che la discriminazione che si registra nel mercato del lavoro verso i lavoratori di quella religione dipenda, almeno in parte dalla volontà dei datori di lavoro di non mettere in difficoltà le loro dipendenti-donne? Studi empirici condotti in Francia ci dicono che non è così: confermano che i modelli di genere dei musulmani sono diversi da quelli dei cristiani, ma i datori di lavori non sembrano esserne consapevoli.

CREANO DANNI LE RACCOMANDAZIONI

Come trovano lavoro gli italiani? Cresce il ruolo delle agenzie private per il lavoro, in particolare per i giovani e resta costante quello dei Centri per l’impiego. Fermo il canale dei concorsi pubblici. L’intermediazione informale ha invece raggiunto livelli molto alti. E con aspettative economiche negative, si corre il rischio di chiudersi ancora di più a riccio, in una sorta di protezionismo familiare, che potrebbe contrarre ulteriormente i volumi economici e le occasioni lavorative, innescando una spirale negativa.

VALORIZZARE LE DONNE CONVIENE*

Le principali “rivoluzioni silenziose” che la società deve fare perché ci sia una parità reale tra donne e uomini: quella dell’istruzione -in Italia quasi compiuta- quella del lavoro femminile -ancora ampiamente irrealizzata- quella dei carichi familiari -“tradita” dagli uomini”- e quella della presenza nella politica -timidamente incominciata. Il nostro paese, dunque, è indietro, soprattutto se raffrontato agli altri paesi europei. Ecco che cosa deve fare la politica per aiutare a colmare la differenza.

SENZA CASA. E INVISIBILI

Con le temperature particolarmente basse si è tornati a parlare di una parte di popolazione altrimenti invisibile: i senza dimora. Gli interventi sono quasi sempre di tipo emergenziale e assistenziale, spesso affidandosi a volontari. Certo, è importante fornire servizi di base, ma il rischio è che portino alla cronicizzazione dello stato di homeless. Sarebbe invece necessario ricorrere a politiche di riduzione e prevenzione del fenomeno. Da valutare in modo rigoroso, così da incanalare le risorse verso gli interventi che effettivamente producono risultati positivi.

 

PRENDERSELA COI FIGLI DI PAPÀ O COI PAPÀ DEI FIGLI?

Ringrazio i lettori per le loro richieste di chiarimento e i loro commenti.
Parto dalle prime. I dati relativi al numero di citazioni di Silvia Deaglio, così come il valore dell’h index, sono stati presi dal programma Publish or Perish (PoP) considerando solamente le pubblicazioni nell’ambito medico. Più precisamente l’area disciplinare selezionata è Medicine, Pharmacology, Veterinary Science. Per numero di citazioni si intende il numero di volte che la pubblicazione in questione viene citata in pubblicazioni su Google Scholar. Un lettore offriva un’altra fonte per misurare il solo numero di pubblicazioni in campo medico. Ho controllato: secondo questo sito, le pubblicazioni di Silvia Deaglio sono 62, mentre in Publish or Perish sono 66, quindi non mi sembra che ci siano discrepanze degne di nota tra le due fonti. Un lettore mi chiede anche come sia possibile che una pubblicazione sia precedente alla laurea. Non conoscendo Silvia Deaglio, non conosco neanche la risposta. Posso solo dire che ho avuto studenti che hanno pubblicato prima di laurearsi e il corso di studi in economia è mediamente più breve che a medicina. Infine, ci tengo a sottolineare che io ho potuto misurare solo la produzione, l’output, non l’input, dunque gli strumenti che la ricercatrice ha avuto a disposizione. Qualche lettore sostiene che si possano comprare pubblicazioni a questo livello (referate a livello internazionale). Non lo sapevo e lo dubito fortemente perchè queste pubblicazioni sopravvivono solo se riescono ad avere un forte impact factor e, se comprate, perderebbero autorevolezza. In ogni caso, l’indice proposto non conta le pubblicazioni in quanto tali, ma le pesa per il numero di citazioni, quindi l’impatto che hanno avuto nella professione. Dubito che un “articolo comprato” raccoglierebbe molte citazioni.
Un lettore mi chiede di misurare anche la produttività dei genitori di Silvia Deaglio. Il grafico qui sotto lo accontenta usando la distribuzione del numero di citazioni. Ricordo che il numero di citazioni non può che essere molto diverso fra disciplina e disciplina. Quindi i valori assoluti non sono comparabili a quelli già mostrati per medicina. Ma è possibile guardare alla posizione dei singoli nella distribuzione, come nel grafico qui sotto (per questioni di scala esclude 49 osservazioni con più di 1000 citazioni).

Lascio ai lettori giudicare. Certamente, sulla base di queste misure, non potrei definire eccellente la produzione scientifica dei genitori di Silvia Deaglio.  Immagino peraltro che, più di lei, abbiano avuto accesso a finanziamenti di un certo rilievo. Si noti inoltre che il numero di citazioni è una misura che favorisce i docenti di lungo corso. Non ho ancora i dati di citazioni per anno dall’inizio dell’attività di ricerca. Vi posso solo dire che nel caso di Mario Deaglio sono meno di una citazione all’anno (per l’esattezza 0,89).   Michele Boldrin mi chiede i dati di Michel Martone. Cercherò di accontentarlo al più presto.
Quanto ai commenti, un’annotazione frequente è “se non si chiamasse Silvia Deaglio non ne avrebbe parlato, non l’avrebbe difesa”.  Concordo pienamente. Se non avesse avuto quel nome, non ne avrei trattato. Per il semplice motivo che è proprio perchè aveva questo nome che la Prof.ssa Deaglio è stata oggetto di una gogna mediatica senza precedenti. E’ stata questa gogna mediatica e il riscontro che non solo non aveva alcun fondamento, ma gettava fango su una di quelle ricercatrici, di quei cervelli che tutti dicono di voler tenere in Italia a spingermi a scrivere. Molti tirano in ballo i bamboccioni. Credo di essere stato tra i primi a condannare le esternazioni di Mario Monti e dei suoi colleghi di governo. Non posso che trovare paradossale che per condannare queste esternazioni ce la si prenda con i figli e non con chi le ha fatte. In Italia ce la si prende sempre coi “figli di papà” e non con i “papà dei figli”.
Credo, in ogni caso, di avere fatto bene a fornire questi dati perchè volevo giungere alla stessa conclusione cui arrivano molti altri commenti: “il problema non è Silvia Deaglio, ma l’università italiana”. Non potrei essere più d’accordo. Quindi lasciamo in pace Silvia Deaglio e occupiamoci dei veri problemi. Come scrive Barbara Veronese, “il problema dell’Italia è che molti dei miei coetanei economisti (diciamo sotto/sui 40), che pure vantano esperienze all’estero, hanno pubblicazioni internazionali sopra la media, anche sopra la media dei docenti che li esaminano nelle commissioni di concorso spesso, e nonostante possano esibire un grafico come quello che ha fatto Lei nell’articolo non ottengono il posto, da nessuna parte”.  E’ proprio per questo motivo  è che il numero medio di citazioni ad economia è così basso. Se l’università funzionasse premiando il merito scientifico, la ricerca, non alimenterebbe tutti questi sospetti. Questo sito ha, da quando esiste, sempre denunciato questo stato di cose. Personalmente non credo di essere certo stato tra gli ultimi a denunciare il caso del rettore della Sapienza e le omonimie alla facoltà di Bari. Al di là della denuncia dei casi più eclatanti e della documentazione sui concorsi universitari (cui ha dedicato tantissimo tempo ed energie, uno dei redattori de lavoce, il prof. Roberto Perotti), il problema va combattuto cambiando le regole con cui si assegnano i fondi all’università italiana. Purtroppo ho visto sin qui solo passi indietro nell’azione di questo Governo; il bando per il PRIN è un ritorno alle baronie accademiche perchè obbliga le università a fare la selezione al loro interno oppure ad assemblare progetti che nulla hanno a che vedere l’uno con l’altro sia in termini di temi affrontati che di qualità dei ricercatori coinvolti. E’ un modo per il Ministero di scaricarsi dalla responsabilità di selezionare i progetti. A mio giudizio l’unico vero ruolo del Ministero dovrebbe essere proprio quello di garantire che tutti i docenti e gli atenei vengano valutati e che queste valutazioni vengano utilizzate nell’allocazione dei fondi pubblici. Se abdica a questa funzione, il Ministero non ha proprio ragione di esistere.

LA “SFIGA” DI AVERE MENO OPPORTUNITÀ

Il viceministro Martone è balzato agli onori della cronaca per aver definito “sfigati” gli studenti che si laureano a 28 anni. È vero che in Italia esiste il problema della lunga durata degli studi. Ma se si guardano le statistiche, si vede che il percorso verso la laurea si allunga in particolare per gli studenti-lavoratori, per chi proviene da famiglie meno istruite e per chi studia nelle università del Sud. Insomma, una distribuzione delle opportunità asimmetrica nella società e nel territorio del nostro paese. Dichiarazioni provocatorie e discredito delle istituzioni.

Pagina 22 di 27

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén