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Categoria: Giustizia Pagina 22 di 33

QUESTA RIFORMA NON È UN FALLIMENTO *

La riforma della disciplina fallimentare è in vigore da tre anni e se ne può dare una prima valutazione. Scesi già nel 2006, i fallimenti hanno toccato un minimo storico nel 2007, per poi tornare a crescere decisamente alla fine del 2008 e nei primi mesi del 2009. Ma l’analisi sulla serie storica indica che il crollo del 2007 è solo parzialmente attribuibile alle nuove norme. Mentre il recente aumento è dovuto a fattori congiunturali. Il più ampio ricorso al concordato preventivo mostra che le imprese hanno apprezzato la riforma e hanno uno strumento in più per reagire alla crisi.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie per i commenti. Rispondo brevemente.

Alcuni lettori prendono come una provocazione la proposta di scontare le pene per chi "taglia" di più. A me sembra tutt’altro. Rifrasando la nostra proposta, si tratta di rendere le pene proporzionali alla quantità di droga pura spacciata, piuttosto che alla quantità di droga "presunta".
Mi sembra una politica naturale, se ciò che la legge persegue è il commercio di eroina e non il commercio di sostanze "di taglio". Ragionando per analogia, se io trovo un evasore fiscale non lo punisco per la totalità del suo reddito, ma solo per la porzione del suo reddito che non ha dichiarato.
E’ vero che la nostra proposta condurrebbe, crediamo, alla vendita di droga più diluita. Nella misura in cui le sostanze usate per diluire sono più tossiche della droga pura, il rischio per il consumatore è certamente da mettere sul piatto della bilancia. Ma, anche in questo caso, non ne segue automaticamente che la vendita di droga pura sia desiderabile. Infatti, si potrebbe sanzionare direttamente la tossicità delle sostanze di taglio, ciò che incentiverebbe i venditori a tagliare con sostanze innocue. Una modifica siffatta ridurrebbe, crediamo, l’impatto dell’obbiezione sollevata dai lettori.

Alcuni lettori propendono per la legalizzazione o liberalizzazione (uso questi due termini senza differenza). Su questo non ho molto da dire se non che raramente queste politiche sono considerate realistiche per le droghe "pesanti."

Grazie.

SORPRESA: L’INDULTO HA UN EFFETTO POSITIVO

Studiato per ridurre almeno temporaneamente il sovraffollamento delle carceri italiane, l’indulto del 2006 è stato tra i provvedimenti più criticati della scorsa legislatura. Perché favoriva i criminali e diminuiva il valore deterrente e la credibilità del sistema penale, sostenevano i contrari. Ma il provvedimento stabiliva che se fossero tornati in carcere per un nuovo reato, i beneficiari avrebbero dovuto scontare anche la pena residua in aggiunta alla nuova. Insomma, ha dato certezza alla pena. E questo ha determinato un calo delle recidive.

UN AZZARDO MORALE NELLA LOTTA ALLA DROGA

Alla lotta al commercio di droga si dedicano molte risorse. Senza grandi risultati. Forse perché si parte da una concezione errata di quel mercato. La teoria economica suggerisce di far leva proprio sull’azzardo morale che lo mette a repentaglio, inducendo i venditori a diluire le sostanze. Lo si può fare attraverso una politica di riduzione di pena per chi vende dosi molto diluite. Si avrebbero effetti paragonabili a un aumento del prezzo della droga all’ingrosso. E diminuirebbe anche la popolazione carceraria. A costi quasi zero.

LA GIUSTIZIA RAPIDA E’ ANCHE DI QUALITÀ

Il Senato ha approvato una serie di norme di modifica del codice di procedura civile per ridurre la durata dei processi. Ma risultati più incisivi sul piano della efficienza possono venire solo da interventi sull’ordinamento giudiziario e sulla organizzazione del sistema in grado di rendere maggiormente responsabili i singoli operatori, compresa la magistratura. Lo mostra il divario nei risultati registrati nei diversi tribunali del paese, governati tutti da uguali norme. E una maggiore rapidità non sembra andare a scapito della qualità delle decisioni.

TUTTI I RISCHI DELLA CLASS ACTION NELLA PA

L’azione collettiva contro le inefficienze della pubblica amministrazione era uno dei pezzi forti della riforma del lavoro pubblico. E’ stato però stralciato con la promessa di vararlo entro gennaio 2010. Il testo attuale, del resto, è generico e vago. Il rischio è che la class action nella Pa finisca per produrre molta esposizione mediatica e poca sostanza. Con il corollario di un intasamento senza precedenti delle aule dei tribunali amministrativi regionali, per l’attivazione di azioni collettive anche infondate, sull’onda della caccia a ogni costo all’amministrazione sprecona.

UN ANNO DI GOVERNO: GIUSTIZIA

 

I PROVVEDIMENTI

In materia di giustizia il primo anno del governo Berlusconi uscito dalle elezioni del 2008 non si è caratterizzato per particolare attivismo. Al di là delle dichiarazioni, i provvedimenti varati sono di portata abbastanza ridotta. Spicca ovviamente l’approvazione a tamburo battente – il Ddl varato dal Consiglio dei ministri il 27 giugno 2008 viene definitivamente approvato il 23 luglio – del cosiddetto lodo Alfano, che sospende i procedimenti penali contro le alte cariche dello Stato e soprattutto nei confronti del premier. Per il resto, l’attività si è concentrata sulla sicurezza, in un settore di prevalente competenza del ministro dell’Interno, con il varo in aprile della legge n. 38/2009, che contiene svariate disposizioni destinate a rafforzare la repressione penale in questo settore.
In Parlamento sono però in esame diversi provvedimenti. In campo penale va segnalato quello inteso a evitare la divulgazione abusiva di intercettazioni che, a detta dei critici, renderebbe troppo difficile per il magistrato poterle disporre, con ricadute negative per l’efficacia delle indagini. Del resto, il governo non ha fatto mistero di voler limitare la libertà d’azione di cui oggi dispone il pubblico ministero, anche riducendone l’influenza sulla polizia giudiziaria.
Forse più impegnative sono le misure in discussione in campo civile. È in dirittura d’arrivo un provvedimento destinato, nelle intenzioni del governo, a ridurre i tempi della giustizia civile. Un risultato che sarebbe ottenuto con snellimenti procedurali, semplificazioni dei riti e soprattutto l’introduzione di un filtro per i ricorsi in Cassazione: il loro numero enorme è infatti una delle cause dei tempi lunghi della nostra giustizia. Dopo polemiche e decisioni contraddittorie, in Parlamento sembra essere emerso un consenso che dovrebbe concretizzarsi nei prossimi giorni.
Nonostante le aspettative e gli annunci, poco questo governo ha fatto, almeno finora, in tema di ordinamento giudiziario. Vi è stato solo, la scorsa estate, un provvedimento che ha introdotto incentivi economici per i magistrati disponibili a trasferirsi negli uffici giudiziari meno graditi. Nulla invece in tema di separazione delle carriere, nonostante il premier avesse preannunziato la trasformazione dei nostri pubblici ministeri in “avvocati dell’accusa”. Nulla neanche in tema di riforma della composizione e del ruolo del Csm, nonostante le critiche spesso aspre che l’attuale maggioranza ha espresso nei confronti di quest’organo.

GLI EFFETTI

La portata limitata di quanto fatto finora rende molto difficile valutare gli effetti delle politiche giudiziarie del governo Berlusconi. Dei provvedimenti approvati di recente o ancora in gestazione poco si può dire, almeno dal punto di vista delle conseguenze concrete: il discorso sull’immagine è, invece, un po’ diverso. L’unico provvedimento veramente efficace è stato il lodo Alfano che ha congelato i procedimenti penali contro il presidente del Consiglio, liberandolo dalle preoccupazioni che avevano “guastato” buona parte della sua precedente esperienza di governo. La patata bollente è stata ora scaricata sulla Corte costituzionale, chiamata a decidere della costituzionalità del lodo. È comunque probabile che anche in caso di giudizio sfavorevole, la forte maggioranza parlamentare permetterà al governo di escogitare qualche altro strumento per bloccare o ostacolare i procedimenti contro il premier.
Quanto all’altro provvedimento che il tempo permette di valutare – le misure per colmare i vuoti di organico nelle sedi disagiate – non sembra aver prodotto gli effetti sperati, dato che di recente il governo ha presentato in Parlamento norme per rendere più facili i trasferimenti d’ufficio verso quelle sedi.

LE OCCASIONI MANCATE

Nella sostanza il governo ha seguito una linea relativamente prudente: non ha affrontato il tema della riforma dell’ordinamento giudiziario (dopo la tanto contestata riforma varata, e poi corretta, nelle legislature precedenti) e una volta portato a casa il lodo Alfano, ha lasciato che gli altri provvedimenti seguissero lentamente il corso parlamentare. Quindi, a eccezione del lodo, ha rinunciato alla politica dei “cento giorni”, ad approfittare della netta vittoria elettorale per far passare le misure più controverse (o più incisive).
In realtà, il governo – e lo stesso ministro della Giustizia – sembra in questa fase aver investito soprattutto sul tema “sicurezza” e, in pratica, sull’inasprimento della repressione penale, come dimostra anche l’ulteriore provvedimento sulla “sicurezza pubblica” in corso di approvazione. È probabile che si tratti di un investimento redditizio in termini di consenso, almeno per un po’. A questo si è accompagnato un diverso stile ministeriale. Contrariamente al suo predecessore nei governi Berlusconi – Roberto Castelli – il ministro Alfano tende a non alimentare polemiche con la magistratura, a smorzarle quando emergono e a evitare comunque forti contrapposizioni. Bisognerà vedere se questa tattica più elastica di quelle sperimentate nel passato, gli permetterà di realizzare quello che appare il suo programma di fondo: un ridimensionamento, moderato ma non insignificante, dei poteri della nostra magistratura.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

I commenti alla notizia d’una nuova revisione del T.U. del 2008 in materia di sicurezza sul lavoro evidenziano che, al di là dell’enfasi sulla questione delle pene, alle istituzioni pubbliche si chiedono azioni di carattere sostanziale e non una super-produzione normativa, che spesso comporta adempimenti solo cartacei. L’accento cade sulla formazione, sulla cultura della sicurezza, sulla capacità organizzativa della pubblica amministrazione nell’attività di vigilanza. Si tratta di un segnale preciso della distanza che separa l’intervento legislativo che si preannuncia rispetto alle reali attese dei lavoratori, datori di lavoro e operatori del settore della sicurezza.
È uno strano destino quello della sicurezza del lavoro: terreno di tante convergenze ideali e di altrettante divergenze nella realtà concreta. Tutti concordano sul fatto che le norme sono molte, forse troppe per assicurare un’effettiva applicazione, eppure si continua a produrre normazione. Senza considerare che le ripetute modifiche legislative, se da un lato possono migliorare l’apparato giuridico formale, dall’altro comportano costi elevati in termini di certezza del diritto, di prassi degli organi di vigilanza e di contenzioso giudiziario.
Tutti sono persuasi che le pene abbiano un valore soprattutto simbolico e di coazione psicologica all’osservanza degli obblighi di prevenzione, eppure si continua ad intervenire sull’apparato sanzionatorio penale, alzando o abbassando limiti minimi e massimi. Tutti sono convinti che bisogna privilegiare gli investimenti in formazione, informazione, cultura della sicurezza: a questi principi s’è ispirata la legislazione a partire dalla metà degli anni ’90, ma a distanza di 15 anni dal d. lgs. n. 626/94 si deve constatare che non c’è abbastanza formazione e una vera cultura è ancora in gran parte da costruire. Da questo punto di vista, certo non aiuta la sovrabbondanza e la complessità della normativa; la formulazione di regole che, anziché rivolgersi chiaramente ai diretti destinatari (spec. datori di lavoro e lavoratori), spesso sono comprensibili solo da pochi specialisti. 
Tutti reclamano più attività di vigilanza e maggiori controlli, eppure si progettano procedure di certificazione e di attestazione che consentano di evitare o ridurre l’incidenza o la frequenza dei controlli. Non c’è dubbio che le procedure di certificazione possano servire a sviluppare buone prassi e modelli organizzativi virtuosi in materia di sicurezza, così come i sistemi di certificazione della qualità dei prodotti e dei processi produttivi sono idonei a selezionare le “buone” imprese, che però – non va dimenticato – rimangono pur sempre sottoposte alla verifica ed eventualmente alla sanzione del mercato. La certificazione ai fini della sicurezza intende creare un vantaggio competitivo rispetto alle imprese che ne sono sprovviste e un affidamento pubblico che dovrebbe giustificare una minore esigenza di controllo, ma allora non si comprende perché, secondo la modifica dell’art. 27 T.U. del 2008, il possesso di tale certificazione non rappresenti più un requisito indispensabile, solo “privilegiato”, per la partecipazione a gare d’appalto pubblico e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi pubblici. Sembra di capire, cioè, che i sistemi di certificazione relativi alla sicurezza non prevedano sanzioni in termini di mercato né tanto meno verifiche pubbliche, anche perché dapprima s’era pensato di affidare all’INAIL i concreti poteri accertativi, ma il riferimento pare scomparso dallo schema di decreto approvato del Governo.

PERCHÉ ALL’ORDINE NON PIACE LA CONCORRENZA

A più di due anni dal decreto Bersani, i servizi professionali appaiono ancora assai poco concorrenziali. La riforma è stata sostanzialmente annullata dall’azione degli ordini, che hanno utilizzato i codici deontologici per ridurre al minimo i cambiamenti, soprattutto sulla disciplina delle tariffe e la pubblicità. Ma mettere all’indice i minimi tariffari ha un valore più simbolico che di sostanza. In ambito legale, la regola da smantellare è quella che determina l’onorario degli avvocati secondo il numero degli atti svolti. Per passare alla parcella a forfait.

E LA SICUREZZA CADE GIÙ

Il Governo si prepara a varare una revisione del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro. Si interviene sull’assetto istituzionale del settore della sicurezza e sui compiti degli attori pubblici, con un rafforzamento del ruolo dell’Inail e degli organismi sindacali paritetici. Ma la principale novità riguarda la riforma dell’apparato sanzionatorio penale con un sostanziale alleggerimento delle pene. E’ un messaggio preoccupante che viene dato alle imprese prima dell’avvio di un piano edilizio straordinario.

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