La regolarizzazione di 130 mila lavoratori stranieri impiegati in nero è l’unico provvedimento di rilievo del Governo Monti. Che surclassa il Governo precedente più per le molte cose negative non fatte che per le poche positive fatte. Sulle politiche per le minoranze rom e sinti, la UE apprezza ma con riserva.
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Il Governo Monti ha portato nella politica dell’immigrazione un notevole mutamento di stile. Ma i provvedimenti presi non sono stati molto incisivi. Anche a normativa invariata, si potrebbero ottenere molti miglioramenti con semplici atti amministrativi, dettati dal buon senso.
Le cattive notizie per l’economia italiana continuano a susseguirsi in questo difficile 2012, tanto da rinviare ormai all’anno prossimo ogni speranza di ripresa. Le ricadute sociali sono assai gravi: la caduta del Pil non sarà pesante come nel 2009, ma arriva nel quinto anno di crisi internazionale, la contrazione dei consumi delle famiglie dimostra con chiarezza che in questo periodo di tempo si sono erosi i risparmi che costituivano uno dei nostri punti di tenuta.
Anche una revisione del Testo unico sull’immigrazione ristretta al capitolo dell’integrazione potrebbe rivelarsi molto utile nel nostro paese. Ecco un elenco delle misure che potrebbero essere adottate.
Privo di una maggioranza parlamentare omogenea, sull’immigrazione il governo Monti si limita a prospettare una generica revisione del Testo unico in materia. Invece servirebbe un ben più profondo ripensamento di tutte le norme che regolano non solo l’arrivo in Italia dei lavoratori stranieri, ma anche la permanenza dei migranti nel nostro territorio, a cominciare dalla legge sulla cittadinanza. In ogni caso, nella nozione di integrazione dovrebbero ricadere tutti i processi che facilitano l’alleanza tra l’immigrato e il paese che lo ospita. Un elenco di misure auspicabili.
Il governo Monti ha il merito di aver fatto scomparire il tema dell’immigrazione dall’agenda politica e ha così contribuito alla normalizzazione della presenza degli immigrati in Italia. Anche il varo della ennesima sanatoria sembra non aver suscitato troppi contrasti. L’obiettivo è ancora una volta quello di far emergere uno zoccolo di lavoro sommerso, che distorce l’economia, produce concorrenza sleale ed evade gli obblighi fiscali e contributivi. Tuttavia, esistono alternative possibili alle regolarizzazioni di massa, che sono sempre una sconfessione della legalità.
Nel luglio 2002 il Parlamento approvava la legge Bossi-Fini. Dieci anni dopo, insieme al più recente “pacchetto sicurezza” lascia un’eredità pesante. Il suo obiettivo non era quello di frenare gli ingressi, bensì di ridurre la permanenza sul territorio dei lavoratori immigrati. Tanto che oggi è previsto un sistema di crediti e debiti che può portare anche alla revoca del permesso di soggiorno. L’esatto contrario di quanto suggerito dall’Unione Europea: politiche di integrazione per chi è già all’interno di un paese, con flussi di ingresso più contenuti.
I lavoratori immigrati sono pagati di più o di meno degli autoctoni che svolgono lo stesso lavoro o uno simile? Non è facile rispondere a questa domanda perché mancano dati specifici, che diano conto, per esempio, della produttività individuale. Un problema risolto in una recente ricerca con l’analisi della situazione dei calciatori stranieri presenti nelle squadre italiane nel periodo 2000-2008. Sono pagati decisamente meglio dei loro colleghi italiani. Ma sono comunque un buon affare per le società, in termini di tifosi allo stadio e di punti guadagnati.
Il governo rinuncia quest’anno all’emanazione del decreto flussi, se non per lavoro stagionale. È una decisione sbagliata. Perché sottintende che agli immigrati non si debba riconoscere l’aspirazione a conciliare lavoro e famiglia, a cercare posti di lavoro migliori, a evitare faticosi trasferimenti. Inoltre, la previsione di quote di ingressi regolari per lavoro è uno strumento di politica migratoria. Infine, i decreti flussi sono sanatorie mascherate, per mettere in regola lavoratori già presenti in Italia. Davvero sono un lusso che non possiamo più permetterci?
La crisi fa crescere la disoccupazione nei paesi europei del Mediterraneo, soprattutto tra i giovani. Che reagiscono lasciando la madre patria per cercare lavoro altrove, spesso sull’onda di un passaparola che si avvantaggia dei social network. I ragazzi di Spagna e Portogallo scelgono in particolare Argentina e Brasile, le loro ex colonie in rapido sviluppo, grazie alla lingua condivisa. Per i greci e per gli italiani la meta preferita sembra essere la Germania, forte anche di salari di ingresso decisamente più alti, specialmente per i lavori più qualificati.