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C’E’ UN LIMITE ALLA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE

La libera circolazione delle persone costituisce una delle libertà fondamentali nel mercato interno europeo. Ma per i cittadini dell’Unione non è previsto un diritto di soggiorno illimitato. Se è superiore ai tre mesi, spetta solo ai lavoratori subordinati o autonomi e a chi dispone di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia. La legge italiana di recepimento, poi, contemplalimitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico. Perché sindaci e prefetti che chiedono più poteri sull’ordine pubblico non la applicano?

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo tutti per gli interessanti commenti. Non siamo in disaccordo con Ambrosini, almeno non completamente. L’esperienza degli Stati Uniti continua a indicare esempi di comunità che si possono definire "ben integrate", quantomeno nel senso che non manifestano comportamenti ostili verso la cultura dominante e che raggiungono un certo successo economico, ma con fortissima identita’ religiosa.
Recentemente ad esempio si parla molto di vari gruppi di ebrei ortodossi a Brooklyn, specie gruppi provenienti dalla Siria. Due di noi hanno lavorato molto proprio su dati e teorie riguardanti
l’integrazione religiosa negli Stati Uniti. Resta a nostro parere più che ragionevole supporre che  l’esplicita dichiarazione di immaginarsi "estremamente contrariato se un parente stretto dovesse sposarsi con una persona di razza bianca" (specie se correlata a varie altre risposte alla survey di questo tenore) sia correlata a sentimenti e comportamenti che e’ comune definire "non-integrati".

Il bello delle analisi empiriche e’ che non ci si può nascondere dietro definizioni sofistiche: quello che misuriamo e’ chiaro, la correlazione statistica tra  dichiarare che la religione e’ estremamente importante nella propria vita, che ci si sentirebbe estremamente contrariati se un parente stretto dovesse sposarsi con una persona di razza bianca, etc, con vari fattori economici e demografici.

L’interpretatazione in termini di integrazione e’ quello che è, una interpretazione dei dati. La possibilità che l’integrazione culturale in Europa avvenga per segmenti religiosi (come il "triplo melting pot" negli Stati Uniti) e’ esattamente questo, una possibilita’, a cui noi non sappiamo dare misurazione statistica.

Che la religione si associ statisticamente a comportamenti "virtuosi" non abbiamo dubbi. Abbiamo seri dubbi che ciò avvenga, però, in situazioni socio-economiche in cui la religione assume una funzione di identità  "contro" la cultura dominante, scenario che si accorda con l’evidenza sulla
situazione degli immigrati musulmani in Inghilterra cui i nostri dati si riferiscono.

 Le enormi limitazioni di questo tipo di dati sono note a noi e alla comunità di economisti e sociologi che se ne occupano: ad esempio, il rispondente potrebbe essere indotto a rispondere in modo da far piacere all’intervistatore, magari, inconsciamente, oppure anche l’opposto; inoltre, come la domanda è posta, quali sono le possibili risposte permesse – ovvio ad esempio che è difficile dichiarare di essere di razza mista se tale risposta non è prevista -, ha effetti noti e statisticamente significativi sulle risposte; e così via. Ma questo e’ quello che abbiamo e a questo cerchiamo di dare un senso statistico ed economico. Spesso, la critica delle metodologie e
dei dati tout court si associa purtroppo ad atteggiamenti concettuali di cattiva  disposizione ad accettare evidenza empirica che contrasta con i propri (pre)giudizi.

Infine gli altri commenti, molto interessanti, esprimono giudizi individuali sulla questione dell’integrazione, giudizi connessi ma non direttamente rivolti alla nostra analisi.

Vorremmo concludere con un commento metodologico generale, che si riferisce a tutti i commenti. Studiare l’integrazione culturale è operazione complessa perche’ richiede una definizione di cosa sia
"integrazione". Spesso, nel linguaggio comune, la parola "integrazione" ha connotati normativi oltre che positive: si ritiene che "integrarsi" e’ quello che gli immigrati dovrebbero fare (un tempo
si usava la parola "assimilazione", che non si usa piu’ nella letteratura economica proprio perche’ ha assunto un eccessivo contenuto normativo). In analisi empiriche come la nostra, integrazione è definita precisamente, da un punto di vista statistico. Non ci interessa se questo e’ quello che gli immigrati debbano o non debbano  fare o se esistano forme di integrazione diversa che non comportino integrazione nel senso da noi definito statisticamente. Come dicevamo sopra: questo misuriamo. Altre misure sono benvenute. (Ma, con sano positivismo,  che siano misure!) Ed e’
importante farlo: ad esempio, questa analisi ci ha convinto che integrazione geografica (definita anche questa in modo statisticamente preciso) non è associata a integrazione culturale (come da noi
definita). Questo e’ secondo noi importante perche’ l’associazione tra integrazione geografica e culturale è alla base essenzialmente di tutte le politiche di integrazione nell’Unione Europea.

I MUSULMANI E L’INTEGRAZIONE

Un’indagine ha raccolto dati su attitudini religiose, caratteristiche socioeconomiche e luogo di residenza delle minoranze etniche nel Regno Unito negli anni Novanta. Anche se occorre molta cautela, appare evidente una spiccata specificità dei musulmani nel processo di integrazione. Che non si accorda con i principi alla base della maggior parte delle politiche di immigrazione in Europa, focalizzate sull’innalzamento del livello di istruzione e soprattutto sull’integrazione geografica.

PALLA AVANTI ED EMIGRARE

Sempre più spesso i talenti dello sport si spostano da un paese all’altro. Ma anche la circolazione dei campioni richiede misure di policy per garantire equità nella globalizzazione. La segmentazione del mercato del lavoro che accompagna le migrazioni dei calciatori rischia di aumentare il divario tra squadre e di indebolire l’equilibrio competitivo dei campionati. L’Uefa pensa di imporre un limite ai giocatori stranieri. Ma sarebbe più efficace obbligare i club delle maggiori leghe europee a riversare parte dei diritti televisivi alle squadre che hanno formato i campioni.

Sull’immigrazione ci vuole coerenza

Varato il disegno di legge delega sull’immigrazione. Il successo della proposta dipende dalla definizione di un quadro completo e coerente. L’esperienza passata, anche di altri paesi, insegna che l’inadeguata considerazione di alcune importanti tessere del complesso mosaico migratorio può minare l’efficacia degli interventi. Benefici da sistemi a punti sia all’ingresso che in itinere, schemi di return finance e di premialità per i paesi di origine e dall’applicazione delle sanzioni ai datori di lavoro che assumono clandestini.

Una nuova legge sull’immigrazione (*)

Programmazione e gestione dei flussi per ovviare alla scarsa corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro, semplificazione delle procedure per la concessione e il rinnovo dei permessi di soggiorno, riforma dei Cpt, diritto di voto alle elezioni amministrative: sono i tratti principali del disegno di legge delega sull’immigrazione. La riforma punta a creare le condizioni per la piena integrazione degli immigrati e delle loro famiglie. Ma riuscirà a limitare l’irregolarità? Molto dipenderà dalla capacità di prosciugare l’economia sommersa.

Un “partenariato privilegiato” tra Europa e Turchia

Il vero problema non è quello di decidere quando e a che condizioni la Turchia sia pronta a entrare nell’Unione Europea, ma piuttosto è quello di valutare se l’Europa di oggi, con i suoi compromessi al ribasso, è pronta ad accoglierla. L’esempio della politica regionale basta per comprendere la difficoltà. La proposta di formalizzare accordi di “partenariato privilegiato” serve a garantire la continuità giuridica dei progressi compiuti nell’ambito dei negoziati di adesione, attivando le politiche comuni negoziate con una dotazione finanziaria indipendente.

Italiani per scelta

Un disegno di legge dà agli immigrati la possibilità di chiedere la cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza, oltre a prevederla dalla nascita per i loro figli nati in Italia. Ci allineiamo così agli standard internazionali. Si tratta di un’offerta pubblica di integrazione, che deve essere accompagnata da un impegno serio nel combattere le discriminazioni. Giusta la richiesta di giuramento di fedeltà alla nostra Costituzione a chi chiede di diventare cittadino italiano. Ed è un’occasione per riflettere sulla nostra identità nazionale.

Aspettando una nuova legge sull’immigrazione

E’ probabile che anche l’Italia alla fine decida di chiudere le frontiere ai lavoratori di Bulgaria e Romania, i due Stati che stanno per entrare nell’Unione Europea. Riducendo così il contributo che l’immigrazione può dare alla nostra crescita economica. Eppure, l’Europa potrebbe permettersi politiche d’ingresso meno restrittive se solo riuscisse a coordinare le normative nazionali, ed evitare i fenomeni di deviazione dei flussi riscontrati col primo allargamento. Utile anche per il nostro paese un sistema a punti, tra l’altro più facile da amministrare della Bossi-Fini.

Meglio l’autosponsorizzazione

Il numero di richieste di autorizzazione all’assunzione per chiamata dall’estero e le modalità con cui sono state presentate mostrano come la ricerca di lavoro sul posto sia l’unica possibilità effettiva di accedere all’occupazione. L’autosponsorizzazione suscita dubbi che non appaiono fondati. I controlli sugli ingressi e sull’esito della ricerca di lavoro sarebbero molto simili a quelli oggi attuati in casi analoghi. Anzi, per molti aspetti, la proposta rappresenta un sicuro miglioramento della normativa vigente.

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