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CONTRORDINE CONSOB: LE SCALATE NON FANNO BENE

L’Opa è stata al centro della relazione del presidente Consob al mercato finanziario. Preoccupa il rischio di distruzione di valore e di inefficienze nella governance post-Opa. Preoccupazione certamente condivisibile, ma è rivolta solo agli investitori stranieri o anche agli italiani? Alcune soluzioni sono già nelle modifiche al regolamento emittenti. E se la maggiore tutela delle minoranze non ha dato i frutti sperati, non si capisce perché aumentare gli ostacoli a chi voglia lanciare un’Opa dovrebbe indurre i risparmiatori italiani a investire nella Borsa.

LA PARTITA È SOLO ALL’INIZIO

La caduta di Geronzi non significa un rinnovamento del capitalismo italiano perché i nuovi attori non hanno proposto un disegno alternativo, ma hanno semplicemente costruito nuovi intrecci che si sono avviluppati intorno a quelli vecchi. La novità invece è la sempre più attiva partecipazione dei fondi internazionali alle assemblee. Si profila dunque uno scontro duplice: da un lato quello fra protagonisti vecchi e nuovi del nostro capitalismo di relazioni e dall’altro quello fra la via italiana alla governance dei grandi gruppi e le prassi dei mercati internazionali.

 

A VOLTE RITORNANO: L’IRI

La nostalgia per il ritorno del capitalismo di Stato è oggi forte in Italia. Tanto da sfociare in un decreto che consente alla Cassa depositi e prestiti di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale. L’attuale irresistibile desiderio di italianità delle imprese porta però alla riproposizione di un’Iri tutta particolare, perché le sue risorse derivano dalla raccolta postale. Forse, bisognerebbe provare a raccontare la realtà anche dalla parte di chi acquista i prodotti e utilizza i servizi.

SE ANCHE CONSOB DIFENDE L’ITALIANITÀ

Il presidente della Consob esprime alcune preoccupazioni sulle regole che disciplinano le Opa. La prima ha a che vedere col fatto che in questo momento le aziende europee, e in particolare le italiane, hanno meno liquidità di quelle asiatiche. La seconda riguarda la soglia oltre la quale scatta l’obbligo di Opa. Se per rivitalizzare il mercato finanziario italiano, occorre renderlo più attraente, non si vede che utilità possano avere provvedimenti volti a ridurre la contendibilità delle imprese e a mantenerne l’italianità.

CIÃ’ CHE VORREMMO POTER SCRIVERE SUL DOPO GERONZI

Abbiamo scritto su questo sito di Cesare Geronzi quando nessuno osava parlare di lui (Boeri, Bragantini, Guiso, Boeri). Oggi che tutti tracciano profili biografici del personaggio – omettendo, ad eccezione del Financial Times, trascorsi giudiziari e procedimenti pendenti – vogliamo invece guardare avanti, occuparci del dopo Geronzi.
Vorremmo poter scrivere che dÂ’ora in poi ci sarà una sanzione sociale per chi viola le regole, che la reputazione conterà nella corporate governance in Italia. Purtroppo non è così. I trascorsi di Geronzi non hanno giocato alcun ruolo nella sua uscita di scena. A voltargli le spalle sono stati gli stessi che gli avevano permesso per anni di concentrare su di sé un potere immenso, guidando banche  nonostante avesse subito unÂ’interdizione giudiziaria temporanea dallÂ’attività bancaria a opera del Gip di Bologna in relazione all’inchiesta sul crac Parmalat, fosse indagato per il crac della Cirio, per il caso Parmalat-Ciappazzi e per la vicenda Eurolat, con un rinvio a giudizio con lÂ’accusa di concorso in bancarotta e usura, avesse già subito una condanna in primo grado per concorso in bancarotta nel caso Italcase Bagaglino a un anno e otto mesi di reclusione e fosse stato dichiarato temporaneamente inabile all’impresa commerciale e agli uffici direttivi.
Vorremmo poter scrivere che d’ora in poi si allenterà la stretta della politica sulla corporate governance. Purtroppo non è affatto detto che sia così. L’uscita di scena di Geronzi coincide con il cambiamento dello statuto della Cassa depositi e prestiti, volto a permettere interventi su società quotate e non solo su piccole imprese. È possibile che si tratti della solita boutade di Tremonti, per intenderci un’altra Banca del Sud su cui guadagnarsi qualche titolo di giornale e nascondere il proprio immobilismo in un paese impaludato. Ma c’è anche il rischio che il fondo strategico sia il preludio di un rinnovato ruolo dello stato nell’economia, magari sempre attraverso Mediobanca. Più che l’operazione Cdp in quanto tale, ciò che preoccupa è mancanza oggi in Italia di una cultura politica che sappia porre un argine a un governo che voglia tornare ad essere protagonista dei cambiamenti nella struttura proprietaria delle grandi aziende.
Vorremmo poter scrivere che ha vinto lÂ’internazionalizzazione sugli intrecci tra politica e finanza. Geronzi è stato lÂ’incarnazione delle ingerenze della politica nella finanza, che permettono ad aziende strutturalmente in perdita di sopravvivere creando attorno a loro un ampio consenso politico. Prodotto e insieme artefice della cosiddetta “finanza romana” è riuscito anche per qualche tempo a proporsi come il centro di gravità della finanza del Nord. Ma i vincitori nello scontro di potere sembrano ancora tutti appartenere al capitalismo relazionale italiano: si passa solo da una costellazione all’altra. Nuovi giochi di palazzo al posto dei vecchi. Ritorna in gioco Unicredit che, con Profumo, si era tirata fuori da Mediobanca e Generali. E ritorna in gioco Mediobanca.
Vorremmo poter scrivere, come qualcuno ha fatto, che è una vittoria degli amministratori indipendenti. Lo è solo in parte: si è trattato di minoranze organizzate, dipendenti da altri o "indipendenti di maggioranza", l’ossimoro che gira in molti consigli, piuttosto che espressione di investitori istituzionali e piccoli azionisti. Non è dunque lÂ’inizio di un nuovo capitalismo, né il primo passo verso il decollo delle public company in italia. Quello che accadrà ora è molto legato agli sviluppi in Mediobanca e Unicredit, dunque alle Fondazioni bancarie. Conta poco chi sostituirà Geronzi, soprattutto dopo che la scelta è ricaduta su Gabriele Galateri di Genola. Speriamo solo che un management più giovane, voglia, come ha dichiarato di voler fare, allentare il blocco dei patti di sindacato, semplificando e rendendo più trasparente la struttura di controllo delle società quotate, a partire da Mediobanca. Sempre che la Consob non si metta di mezzo. Sconcertante che il suo nuovo presidente dichiari di voler fare di tutto per diminuire la contendibilità delle società quotate, “proteggendo le imprese e non gli investitori”. Vegas ha votato la fiducia a Berlusconi dopo essere stato nominato ai vertici della Consob. Oggi sembra il miglior interprete del capitalismo allÂ’italiana: capitalisti che non vogliono metterci i capitali, persone che vogliono controllare senza investire.

CHI PIANGE SUL LATTE DI PARMALAT

Nei caldi anni Settanta qualcuno aveva scritto sui muri di Mirafiori: "passo qui dentro otto ore al giorno e pretendete anche che lavori?" Oggi gli imprenditori italiani, di fronte alla scalata francese su Parmalat dovrebbero dire: "mi spacco la schiena a fare affari e volete che ci metta anche dei soldi?" Li vediamo oggi su tutti i giornali rilasciare, con facce compunte, dichiarazioni pensose che alternano l’indignazione per la prepotenza straniera al dolore per "filiera alimentare" la cui italianità viene violata, forse per sempre. E via elencando in un’orgia di luoghi comuni per piangere, è il caso di dire, sul latte versato.
Ma dove erano questi baldi capitani d’industria, i loro banchieri e i loro referenti politici quando Tanzi affossava la società con acquisizioni spericolate usando solo i soldi dei risparmiatori e mettendosi in tasca 2,3 miliardi di euro? "Distrazioni" le chiamano pudicamente i rapporti ufficiali, perché è noto che Calisto, ormai avanti con gli anni, si metteva in tasca i soldi di tutti solo perché dimenticava di prendere le pillole per la memoria.
E dove erano i nostri baldi imprenditori quando Bondi risanava la società, ne faceva più che raddoppiare il valore in borsa e riempiva le casse aziendali di liquidità anziché impiegarla in pinacoteche clandestine? Perché non hanno mostrato nessun interesse per il "gioiellino"? Semplice: perché avrebbero dovuto tirare fuori i soldi. Ma scherziamo? Non sono queste le regole del gioco del capitalismo italiano.
E adesso gli imprenditori italiani devono pure mostrare di essere sensibili all’appello del Governo, ma per carità, purché "in cordata" perchè bisogna sempre replicare i vizi del nostro sistema imprenditoriale: tutti insieme, in una ragnatela di scambi di favori, sostegni e ammiccamenti, in cui alla fine gli interessi veri delle aziende finiscono dietro quelli dei baldi alpinisti. Coprirsi, innanzitutto: questa è la parola d’ordine. Se si formerà, i componenti della cordata italiana si presenteranno intabarrati come Totò e Peppino alla Stazione centrale di Milano. E grazie ai tre mesi di tempo generosamente concessi dal Governo potranno mandare a memoria la battuta da dire a muso duro ai francesi: "Noio volevàn savuàr.."

LA SCORCIATOIA DELL’ITALIANITÀ

I dati di una recente indagine su sette paesi europei indicano che la quota di imprese a controllo estero è sensibilmente più bassa in Italia rispetto a Francia e Germania. Il capitale estero può rappresentare un’opportunità importante di crescita. Più che la natura del controllante, conta la capacità del sistema di offrire un ambiente favorevole per fare impresa. Con la scusa di difendere l’italianità si proteggono gli interessi costituiti di una classe dirigente autoreferenziale.

SE LE QUOTE ROSA DIVENTANO MIMOSE

L’8 marzo di ogni anno ci si interroga sulla condizione femminile. Una soluzione per ridurre il divario tra i sessi nel mondo del lavoro è utilizzare le quote. Le prevede ad esempio un disegno di legge che impone di riservare alle donne il 30 per cento dei posti nei consigli di amministrazione delle società quotate entro il 2015. Nel breve periodo, il rischio è quello di cooptare donne non preparate che potrebbero finire per confermare eventuali stereotipi negativi. Né va scartata del tutto l’ipotesi che le quote siano come le mimose: l’omaggio di un solo giorno.

CDA DELLE BANCHE: AFFOLLATI E COSTOSI

Dal 2012, gli azionisti delle società quotate dovranno esprimersi anche sui livelli delle remunerazione dei membri dei consigli di amministrazione e dei manager. Nel settore bancario, la retribuzione dell’amministrare delegato è in genere pari a trenta volte il costo medio del personale, di per sé già piuttosto alto. Ancora più elevata nei due istituti più grandi e più internazionalizzati. I consigli di amministrazione hanno molti membri: probabilmente il gran numero di consiglieri serve a garantire una adeguata rappresentanza ai diversi soci.

PIÙ DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA CONTRO I FURBETTI DEL MERCATINO

Nell’articolo “La Consob e i furbetti del mercatino”, Marco Onado richiama l’attenzione sull’elevata quantità di comportamenti illegali tenuti in anni recenti dai vertici di società quotate ai danni dei propri azionisti di minoranza e creditori. Sono giustamente sottolineate le carenze dell’attività di vigilanza: va però ricordato che questa non è solo imputata a enti e organismi esterni, ma anche agli organi endosocietari cui siano espressamente ascritte funzioni di controllo interno, talora in collaborazione con le stesse autorità di vigilanza.

LA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA NELLE GRANDI IMPRESE

Le proposte sulla partecipazione dei lavoratori agli organi di controllo delle grandi imprese rappresentano una declinazione dei modelli di corporate governance, assurti all’attenzione pubblica a seguito del caso Mirafiori, funzionali ad assecondare esigenze affini a quelle evocate da Onado nel segno del controllo sulla trasparenza dell’attività dei gestori delle società quotate. Esse però corrispondono a una concezione neo-istituzionalista del diritto societario, secondo la quale è possibile e necessario tutelare gli interessi degli stakeholders pur mantenendosi coerenti all’impostazione contrattualista shareholder oriented. Il problema è che il diritto dell’impresa italiano non offre strumenti di diritto societario idonei a tutelare, se non indirettamente, gli interessi degli stakeholders, dal momento che l’impresa capitalista, nel nostro ordinamento, non ha come scopo necessario il perseguimento di interessi diversi da quello degli azionisti alla massimizzazione del loro profitto.
Cosa si può fare allora de jure condendo, in un contesto in cui gli interessi di una società quotata, dei propri soci e lavoratori sono necessariamente molteplici e, nella larga maggioranza dei casi, reciprocamente conflittuali? Il presupposto è che il diritto deve assumersi seriamente il compito di cercare una composizione dei trade-off di un’impresa, minimizzando i problemi (di agenzia, di azione collettiva, di riduzione dei costi di transazione, eccetera) che essa inevitabilmente fronteggia.
Date queste premesse, il consiglio di sorveglianza del sistema dualistico, ossia l’organo di controllo interno delle imprese di grandi dimensioni e plausibilmente quotate, tali da presentare conflitti potenzialmente ruvidi tra le parti sociali coinvolte, riveste un ruolo emblematico. Nell’ordinamento tedesco che lo concepì, è tuttora utilizzato espressamente come strumento di composizione degli interessi di shareholders e stakeholders, secondo il principio della cogestione (Mitbestimmung). Il sistema di amministrazione dualistico italiano rende, sì, possibili forme di pluri-rappresentanza all’interno del proprio organo di controllo interno, ma, paradossalmente, il legislatore non ha regolato espressamente – sub articoli 2409 duodecies, terdecies e quaterdecies c.c. – la partecipazione in quella sede dei rappresentanti dei lavoratori. Tra le ragioni che spiegano questo risultato non va dimenticata la tradizionale ostilità del mondo imprenditoriale, ma anche di quello sindacale, nei confronti dell’istituto della cogestione.
È quindi apprezzabile che recentemente sia stata da più parti richiamata l’importanza del contenuto delle iniziative legislative intese a favorire la partecipazione dei lavoratori alla proprietà e alla gestione delle imprese, ossia intese, più in generale, ad aumentare il tasso di democraticità interna e di trasparenza delle grandi imprese.

SOLUZIONI TIMIDE

Le proposte di legge sulla rappresentanza dei lavoratori avanzate più di recente sono il disegno di leggeCastro, n. 803/08(Pdl), il DdlTreu, n. 964/08 (Pd), il DdlBonfrisco, n. 1307/09 (Pdl), il DdlArdagna, n. 1531/09 (Pd), e iltesto idealmente unificante dei precedenti concepito, in una prospettiva “bipartisan”, da Pietro Ichino.
In questi progetti, per un verso, si segnala un elevato grado di convergenza verso le forme di partecipazione azionaria dei lavoratori. Per altro verso, non si registra unÂ’uguale importanza riconosciuta allÂ’istituzione di organismi interni di presenza congiunta di rappresentanti dellÂ’impresa e dei lavoratori negli organi societari.

UNA SOLUZIONE NON TIMIDA

Si può fare di più e di meglio. È cioè necessario contemplare, in forma imperativa, tanto l’obbligo di garantire la rappresentanza dei lavoratori, quanto la misura della medesima, come d’altronde avviene nell’omologo istituto dell’ordinamento tedesco a cui ci si è ispirati. Partendo da un presupposto del genere è possibile realizzare un miglioramento significativo della corporate governance delle società industriali italiane le cui azioni siano quotate sui mercati regolamentati.

1. Anzitutto si incentivano quelle imprese a costituire un organo esecutivo della società, il consiglio di gestione (contrapposto al consiglio di sorveglianza) che preservi l’unitarietà e la rapidità del proprio processo decisionale, obiettivo raggiungibile se si evitano eccessi di deleghe interne.
2. D’altro canto si creano i presupposti per realizzare forme di condivisione delle decisioni imprenditoriali, grazie all’apporto del consiglio di sorveglianza, e per accrescere la produttività del lavoro, sulla base dello stimolo che si riconosce ai lavoratori di produrre di più per guadagnare di più, mediante le citate proposte di condivisione degli utili.
3. Inoltre si conseguono vantaggi ulteriori: ad esempio, razionalizzare il rapporto tra soci e amministratori, dato che assume un rilievo peculiare se parallelamente sono finalmente favorite forme di azionariato dei dipendenti.

Alla luce delle emergenze sociali che la congiuntura politica ed economica stentano a risolvere è però necessario dimostrare più coraggio nel modificare le regole di corporate governance in misura incisiva, tale da superare anche le resistenze di parte del mondo sindacale, e garantire contestualmente maggiori tutele ai risparmiatori italiani, da Marco Onado segnalati quali soggetti economici tra i più vessati sullo scenario dei mercati finanziari europei.

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