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Categoria: Infrastrutture e trasporti Pagina 44 di 58

Alitalia, notizie e domande di ferragosto

Alla vigilia della pausa ferragostana, la vicenda Alitalia è ancora lontana dall’essere risolta. Il Presidente Berlusconi parla ora dell’autunno come periodo in cui si risolverà, mentre in campagna elettorale diceva che sarebbero bastate poche settimane.

UNA CASA POPOLARE, MA NON PER TUTTI

Le misure previste dal governo rafforzano e indeboliscono al tempo stesso l’edilizia pubblica. La scelta di vendere le case popolari agli assegnatari è solo apparentemente una soluzione per le difficoltà, anche finanziarie, degli Iacp. In realtà, la liquidazione del patrimonio e la convivenza forzata di proprietari e di inquilini che appartengono invece a fasce sociali problematiche finiranno per creare le premesse per l’ingovernabilità del sistema. Soprattutto nelle grandi realtà urbane, dove più acuti sono i problemi e maggiori i bisogni.

LA REPLICA DEGLI AUTORI A CASTELLUCCI

Concordiamo ovviamente che i contratti debbano essere rispettati. Il punto però è che la nuova convenzione è fortemente peggiorativa, per gli utenti, rispetto a quella firmata nel 1997. Quella prevedeva che le tariffe fossero ridotte annualmente per un importo (parametro X), da ragguagliarsi all’incremento della produttività. Nel settore, la produttività aumenta principalmente per l’incremento del traffico, e la Convezione del 1997 prevedeva infatti che il parametro X potesse salire sino ad un valore pari all’incremento del traffico nel quinquennio precedente. Questa facoltà non è stata utilizzata dall’ANAS in occasione del primo rinnovo quinquennale. Da qui il “riallineamento della redditività al periodo regolatorio precedente”, pur previsto dal contratto iniziale, partiva già con un grave e indebito squilibrio.
La legge successiva dava un’interpretazione diversa (e tale da tutelare gli utenti) del price cap, non ne modificava il contenuto di tutela da rendite e di incentivazione, proprio di quello strumento.
 Il prezzo pagato per la Autostrade fu “basso” proprio perché la convenzione non assicurava tariffe “certe” per i successivi 40 anni ma prevedeva la possibilità di “girare” a favore degli utenti i benefici dell’incremento del traffico e della produttività, proprio grazie a quel parametro X che è ora stato “gratuitamente” reso del tutto disgiunto dalla redditività del concessionario.
Infine, il parere dell’Antitrust e di due NARS (facenti capo a maggioranze diverse), concordano nella sostanza, al di là di dettagli: l’applicazione della convenzione iniziale e soprattutto la nuova convenzione non tutelano sufficientemente gli utenti da rendite, obiettivo precipuo del dispositivo di price-cap.

GIOVANNI CASTELLUCCI RISPONDE ALL’INTERVENTO DI BERGANTINO, PONTI E RAGAZZI

L’articolo pubblicato solleva riserve sull’approvazione per legge, con la conversione del D.L. 59/2008 "Salva-infrazioni", della Convenzione Unica di Autostrade per l’Italia (ASPI) firmata con ANAS in applicazione della legge 286/06.
Ritengo opportuno intervenire direttamente sull’argomento, in considerazione degli obblighi di trasparenza che avverto nei confronti di tutti gli "stakeholders", precisando quanto segue.
La genesi dell’approvazione per legge della Convenzione Unica di ASPI
Il lungo contenzioso con il Governo italiano sulla legittimità della legge 286/06 ha portato la Commissione Europea (C.E.) a chiedere, per l’archiviazione della relativa procedura di infrazione, l’abolizione della legge e la conferma della vigenza dei contratti precedentemente in essere oppure l’entrata in vigore (senza possibilità di modifiche unilaterali fino alla loro scadenza) dei nuovi contratti di concessione liberamente sottoscritti tra ANAS e i Concessionari.
Il Governo uscente ha mantenuto la legge 286/06 ed ha cercato di dare efficacia alle nuove Convenzioni ritenendole migliori delle precedenti. Il nuovo Governo ha semplicemente confermato, per legge, la volontà del precedente Governo e gli impegni assunti da questo di fronte alla C.E., per non rischiare che un articolato iter approvativo amministrativo di durata incerta potesse mettere a serio rischio di infrazione lo Stato italiano.
L’approvazione per legge delle Convenzioni Uniche può sollevare perplessità, ma nessuno sollevò obiezioni quando con la legge 286/06 si cancellarono le convenzioni precedenti, due delle quali (ASPI e Strada dei Parchi) oggetto di privatizzazioni.
Forse il motivo di questa "asimmetria" è racchiuso nel terzo capoverso della introduzione dell’articolo, dove si imputa al D.L. 59/2008 di aver "cancellato in un colpo solo anni di dibattito e di faticosi tentativi di dotare il Paese di una moderna regolamentazione delle tariffe autostradali".
Per chi ha investito al momento della privatizzazione il contratto non poteva che essere il prodotto ultimo del pensiero regolatorio al momento. Tutti i "faticosi tentativi" di modificare il quadro regolatorio possono incidere sul futuro, non sui contratti già stipulati. Ciò fu sancito in occasione della revisione della Direttiva CIPE n. 1/07, ora n. 39/2007, che chiariva che le nuove regole tariffarie non si sarebbero applicate alle Concessioni in essere (salvo eccezioni ben definite). Restava però "per legge" la necessità di stipulare una nuova Convenzione Unica sulla base di un quadro complessivo che, nel frattempo, come da parere NARS presentava "particolari profili di complessità, in considerazione sia della molteplicità e stratificazione delle normative di riferimento nel settore autostradale, sia della concomitante applicazione di differenti parametri di regolazione rinvenibili nelle norme".
La Convenzione Unica di ASPI è stato il tentativo di dare una soluzione negoziata alla sopracitata stratificazione generatasi successivamente alla privatizzazione.
Il contratto oggetto di privatizzazione
Non corrisponde alla realtà dei fatti che il vecchio contratto di Concessione del 1997 oggetto di privatizzazione fosse un price cap addomesticato ad un meccanismo di Rate of Return.
Il contratto stabiliva che il tasso di miglioramento del costo operativo per km delle concessionarie del settore (circa 0.5%-1.0% all’anno) si sarebbe trasferito nel quinquennio successivo come obiettivo recupero produttività e che solo per causa accertata di forza maggiore (e non quindi per scostamenti su traffico e ritardi negli investimenti) sarebbe stato possibile il riequilibrio del Piano Finanziario. In tal caso però si sarebbe rideterminato il livello delle tariffe a quello necessario a garantire una remunerazione del capitale investito pari al rendimento consuntivato nell’ultimo quinquennio, perpetuando nel futuro tale sovra-rendimento. Ne consegue che lo Stato vendette con procedura competitiva una "rendita monopolistica", che poteva eccedere la congrua remunerazione del capitale investito di libro.
Sarebbe stato altrimenti impensabile un prezzo di collocamento sul mercato di Autostrade nel 1999 ad un valore (8 miliardi di euro) di 4.5 volte superiore al valore di libro, quando le società sottoposte al vincolo del congruo ritorno del capitale investito vengono valutate al massimo con un premio del 30%.
Il caso della Pennsylvania Turnpike (PT)
Nell’articolo a dimostrazione, per via induttiva, di una supposta modifica radicale della natura del contratto di ASPI, si prende a riferimento la PT, che con regole tariffarie analoghe a quelle di ASPI è stata privatizzata per 13 miliardi di dollari, circa 35 volte l’EBITDA 2007.
Si ipotizza che qualora Autostrade fosse stata privatizzata nel 1999 con le regole attuali avrebbe generato un ricavo per lo Stato molto superiore rispetto a quanto pagato allora (circa 15 volte l’EBITDA inclusi gli impegni di investimento).
Ma la PT opera in condizioni molto diverse, con una durata doppia della concessione e beneficiando di maggiori tariffe, minori impegni di investimento, tax rate più favorevole.
Un’altra verità
Se fosse vera la tesi riportata nell’articolo, bisognerebbe chiedersi allora:
– Perché, se il vecchio Contratto consentiva già la possibilità di riallineare le tariffe al Rate of Return sul capitale netto di libro, sarebbe stato necessario intervenire con la legge 286/06 per "forzare" nei contratti tale modifica alla regola tariffaria?
– Perché ASPI avrebbe dovuto difendere in tutte le sedi l’intangibilità del precedente contratto battendosi contro tale legge?
– E perché il precedente Governo, constatata l’impossibilità di modificare forzosamente le regole tariffarie inserite nei contratti, non ha deciso di abrogare la legge n. 286/06 ripristinando la vecchia Convenzione?
La spiegazione più semplice è un’altra.
Ovvero che le novità introdotte nella Convenzione Unica garantiscono l’equilibrio delle esigenze della collettività (penali e sanzioni in caso di ritardi sugli investimenti, tariffe più basse del 6% nei primi 6 anni, nuovi investimenti in nuove opere per circa 7 miliardi di euro, trasferimento integrale di tutti i rischi al concessionario, inclusi extracosti della Variante di Valico) e quelle dell’investitore privato (chiara regola tariffaria fino alla fine della concessione), in linea con i migliori standard europei.
L’andamento di Borsa, stabile da tre anni, ne è una ulteriore conferma.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

I commenti dei lettori appuntano la loro attenzione sui tre principali ordini di questioni che la crisi dell’Alitalia solleva: i dati che questa crisi caratterizzano, le circostanze che ad essa hanno portato, e gli sbocchi verso i quali essa può (convenientemente o di necessità) dirigersi.
I primi due ordini di questioni sono tali da poter trovare, almeno sul piano dei lineamenti generali, risposte pronte e agevolmente argomentabili. In breve e sommariamente: la crisi dell’Alitalia è drammatica, e lo dicono gli andamenti delle grandezze economiche e finanziarie rilevanti; a determinare questa crisi è stata una situazione di political economy che ha prodotto, persistentemente, influenze, decisioni e comportamenti distorti ad opera dei vari interessi e organismi coinvolti – governo e parlamento, enti locali, amministrazione pubblica, management aziendale, sindacati dei lavoratori.
Il terzo ordine di questioni tocca invece una materia (molto più) controversa: del tutto naturalmente, dato che sono presenti sfaccettature numerose, e, soprattutto, sono richieste valutazioni tali da chiamare in causa, spesso, trade-offs sfumati e criteri soggettivi. Nell’opinione degli scriventi: è possibile (probabile) che la crisi dell’Alitalia finisca per sboccare nella liquidazione, ma a questo punto non sembra esservi ragione per forzare – nel percorso e nei tempi – quello sbocco. È in corso un tentativo di privatizzazione che, se è poco promettente, è anche di molto prossima risoluzione; data la rapidità del processo di erosione delle disponibilità liquide, è anche molto prossima l’insolvenza dell’azienda (che è la premessa all’avviamento di una procedura concorsuale); e, infine, l’onere sostenuto dallo stato (dai contribuenti) per il mantenimento in attività dell’Alitalia può essere considerato, agli effetti pratici, non più ricuperabile. Dunque, da questi punti di vista, l’attesa non sarà lunga, e potrà produrre soltanto danni limitati; nel frattempo, però, potrebbero essere presi con vantaggio i provvedimenti utili a facilitare le evoluzioni successive: non solo, o non tanto, quelli, dei quali si discute adesso, di modificazione dei termini delle leggi Prodi bis e Marzano, quanto quelli di riorganizzazione dell’azienda, via efficientamenti, chiusure e cessioni di rami di attività, nella prospettiva dell’amministrazione straordinaria (più probabile e del resto più coerente con quanto già fatto), o, eventualmente, della liquidazione.

Alitalia: la riorganizzazione non può attendere

La Commissione europea ha aperto una procedura di indagine formale per aiuti di Stato per il finanziamento pubblico di 300 milioni concesso di recente all’Alitalia. Non poteva fare altrimenti. Ma la decisione non blocca, per il momento, l’operatività della misura. Di conseguenza, la compagnia può proseguire nella sua normale attività, mentre il governo avvia un nuovo tentativo di privatizzazione. Meglio sarebbe stato però condizionare l’intervento a una riorganizzazione della società lungo linee simili a quelle dell’amministrazione straordinaria.

ALITALIA: UN PONTE VERSO IL NULLA

Da quando venne presa la decisione di cedere a privati la quota pubblica di Alitalia sono passati oltre 18 mesi. Ma la vendita non si è conclusa e anzi sembra ancora in alto mare e la situazione economica e finanziaria di Alitalia si sta deteriorando. Sarebbe stato meglio arrivare subito a un’amministrazione straordinaria capace di avviare un’operazione “lacrime e sangue”. E ora c’è anche il rischio di un advisor che può diventare parte in causa.

CHI SI RIVEDE AL CASELLO? IL MONOPOLISTA

Il sistema regolatorio del settore autostradale consegnatoci dal decreto 59 segna la fine di ogni aspirazione a un sistema incentivante ed è un insieme caotico di diversi regimi. Andrebbe rivisto dalle fondamenta. Serve un sistema di regole certe e trasparenti, che siano di garanzia per lo Stato e i consumatori, oggi la parte più debole, e per gli investitori. Serve una cultura istituzionale che le metta al riparo dagli attacchi a colpi di decreto, secondo le pressioni del momento. E serve un organismo indipendente che le applichi e vigili sulla loro osservanza.

L’INFRASTRUTTURA NON FA LO SVILUPPO

Si dice spesso che gli investimenti in infrastrutture di trasporto stimolino lo sviluppo economico e la competitività di un territorio. Ma la connessione è molto più problematica e incerta di quanto si pensi. Anche per la rilevanza dei fondi richiesti alla realizzazione delle opere. Per questo va ben valutato quali siano quelle da privilegiare. Soprattutto, gli investimenti devono essere coerenti tra di loro e con l’insieme delle politiche di trasporto adottate. E vanno esplicitati gli obiettivi che si vogliono raggiungere in termini di distribuzione modale.

ALITALIA, TOTO E CATRICALA’

Forse qualcuno dovrebbe ricordare ai tanti protagonisti sulla scena che nella travagliata vicenda Alitalia i destini della compagnia di bandiera non possono sottrarsi ad un severo scrutinio degli effetti sull’assetto competitivo dei mercati. A questo compito verrà chiamata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato quando eventualmente si materializzerà il famoso compratore. Senza volersi sostituire alla disamina che il Presidente Catricalà dovrà effettuare, balza agli occhi la impraticabilità di una soluzione che vedesse Airone di Carlo Toto, il secondo vettore per quote di mercato sulle rotte cruciali del mercato italiano, tra cui il Roma-Milano, tra i protagonisti della vicenda. Non sorprende nemmeno che sia stata invocata da British Airways e da Ryanair la normativa europea sugli aiuti di stato, altro caposaldo delle politiche della concorrenza, in merito al prestito di 300 milioni che ha ridato una boccata di ossigeno ad Alitalia e ha appesantito di altrettanto le tasche dei contribuenti. Senza volersi in questo caso sostituire al Commissario alla Concorrenza Kroes, balza altrettanto agli occhi la pretestuosità con cui si vuole presentare come motivato da ragioni di mercato un prestito ponte di cui è noto il pilone di partenza, l’attuale disastrosa situazione di Alitalia, ma è nascosto nella nebbia quello di arrivo, il famoso compratore. Insomma, dovunque la si guardi la vicenda Alitalia inciampa pericolosamente nei paletti che le normative sulla concorrenza pongono. Questo forse ci aiuta a comprendere come tutti gli spasmi e le contorsioni che si susseguono hanno dietro interessi forti e rendite  arcignamente difese, ma non tengono in minimo conto gli interessi di noi consumatori, di noi semplici passeggeri e di noi contribuenti. Non dubitiamo che le autorità preposte alla concorrenza sapranno al momento buono far sentire la propria voce. L’unica perplessità nasce dal fatto che il momento buono è già giunto da tempo senza che la voce dei custodi della concorrenza si facesse sinora sentire alta e netta.

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