Dopo le riforme degli ultimi anni, il mercato del lavoro italiano è un sistema estremamente complesso, che prevede scarsi contributi previdenziali per i lavoratori più giovani, per i quali è oltretutto assai difficile il passaggio a contratti a tempo indeterminato. Occorre correggere questa situazione, con pochi interventi ben congegnati e a costo zero. Come fissare un salario minimo e un contributo previdenziale uniforme per tutto il mercato del lavoro, aumentare considerevolmente il periodo di prova e ridurre la lunghezza massima del contratto a tempo determinato.
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Il quadro che emerge dalle statistiche del mercato del lavoro non è roseo. Si torna alla “normalità”: a una crescita economica stagnante corrisponde una crescita dell’occupazione pressoché nulla. E non solo aumenta il divario Nord-Sud, ma addirittura il Sud arretra. Si è esaurito infatti il periodo di “luna di miele” delle riforme marginali del mercato del lavoro. Mentre le statistiche ufficiali hanno assorbito la regolarizzazione di lavoratori immigrati. Uniche buone notizie l’incremento dei lavoratori dipendenti e del part-time femminile nel Nord.
Il Governo ha varato una misura restrittiva sugli ammortamenti di alcune utilities regolate, eliminando la asimmetria tra vita regolatoria e vita fiscale degli impianti. Le reti energetiche avranno, anche a fini fiscali, ammortamenti più bassi e un reddito netto più elevato su cui pagare l’imposta. Se si è voluta colpire la capacità contributiva di imprese che hanno beneficiato di una regolazione generosa, perché fermarsi all’elettricità e al gas? Una tassa come quella imposta dal Governo inglese nel 1997 avrebbe prodotto esiti del tutto diversi.
La frequenza media bimensile degli scioperi in tutti i comparti dei trasporti pubblici in Italia è una anomalia nel panorama internazionale. Alla radice del fenomeno sono, tra l’altro, la norma che favorisce il frazionamento delle rappresentanze sindacali aziendali e l’orientamento giurisprudenziale che limita gli effetti giuridici della clausola di tregua. Entrambi premiano il modello conflittuale di relazioni sindacali, soprattutto nei servizi pubblici, dove il regime di monopolio consente di far pagare agli utenti il costo dell’inefficienza del sistema.
Occorre dare centralità alla pianificazione dei trasporti. Per molte ragioni. Ad esempio, se ben governato, l’aumento del prezzo del petrolio potrebbe servire a orientare il settore verso una maggiore sostenibilità. Ma riprendere il cammino indicato dal Piano generale dei trasporti e della logistica e interrotto per inseguire la chimera delle grandi opere, non sarà facile. Bisogna in primo luogo risolvere il conflitto tra i diversi livelli di governo nella pianificazione e nell’attribuzione delle risorse per la gestione delle infrastrutture.
In Italia ogni anno viene creato e distrutto un gran numero di imprese. Ma questo processo non tende necessariamente a dirigere risorse verso quelle più produttive e con maggiori potenzialità di sviluppo. I costi associati alla “creazione distruttrice” non sono perciò affiancati dai potenziali benefici in termini di produttività e occupazione. Rimuovere i vincoli all’investimento innovativo e alla crescita d’impresa, incluse le soglie dimensionali oltre le quali vengono meno sussidi e agevolazioni, sono dunque due aspetti prioritari di politica industriale.
Il ruolo degli immigrati contribuisce a spiegare i due fenomeni più eclatanti rilevati dall’indagine delle forze di lavoro per il secondo trimestre del 2005: la conferma della crescita sostenuta dell’occupazione, superiore alla crescita tendenziale del Pil, e l’aumento del divario territoriale, in particolare fra Nord e Sud. Il tasso di disoccupazione scende al 7,5 per cento. Sale l’occupazione dipendente a tempo indeterminato, smentendo i timori di “precarizzazione” del mercato del lavoro. Ma nel Mezzogiorno le donne occupate diminuiscono ancora.
Non è vero che la conduzione familiare delle aziende sia un fenomeno solo italiano. Né esiste una relazione fra la sua diffusione e la dimensione. Lungi dall’essere un valore positivo, oggi la piccola impresa è inadeguata di fronte alle sfide della globalizzazione e delle nuove tecnologie. E’ allora necessario favorire le imprese che scelgono di crescere, riducendo gli adempimenti burocratici agli ampliamenti di impianto o agevolando lo sviluppo di strumenti finanziari innovativi. E gli incentivi non devono esaurirsi proprio in conseguenza della crescita.
Il fenomeno della crescita della povertà dei minori e del lavoro minorile. In Italia si rileva solo mettendo insieme varie fonti statistiche a volte poco congruenti. La crescita della gravità del fenomeno e’ dunque in contrasto all’assenza di un osservatorio “ufficiale” accurato e continuativo.
Dal 2000 a oggi l’Italia ha perso nei confronti della Germania circa il 15 per cento della propria competitività, calcolata come costo del lavoro per unità di prodotto. La spiegazione è solo in parte nella diversa specializzazione dei due paesi. Lincremento della produttività è stato più alto in Germania, mentre i salari nominali tedeschi sono cresciuti meno di quelli italiani. Perché da noi è stata più alta linflazione. Eppure, nei prezzi alla produzione la differenza è minima. E dunque il problema è nei margini di profitto della distribuzione e nei prezzi dei servizi.