Grazie per la diecina di commenti. Rispondo brevemente, in modo “collettivo”. Semplificando un po’ – ma non troppo, le questioni sollevate sono tre: (i) bisognerebbe saperne di più, sulle varie forme e caratteristiche del lavoro “precario”; (ii) serve un welfare diverso, improntato a criteri di universalismo e di equità – e per un intervenuto anche di flessibilità quanto a licenziamenti; (iii) occorre avere una prospettiva di medio-lungo periodo, per essere consapevoli dei problemi che si porranno e cominciare ad affrontarli sin da adesso.
Sulla sostanza dei commenti sono dÂ’accordo. Faccio qualche precisazione.
BISOGNEREBBE SAPERNE DI PIÙ, SUL LAVORO “PRECARIO”
È vero. I dati amministrativi che ho presentato riguardano le assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro dipendente – a meno di quello domestico e di quello intermittente – e le collaborazioni di tipo subordinato – co.co.pro. e lavoro a chiamata. Mancano i lavoratori precari “camuffati” da partite IVA e da tirocini o stage (Maurilio M). I dati si riferiscono a movimenti – entrate e uscite dal lavoro dipendente e parasubordinato – e non alle “teste”, cioè al numero di lavoratori coinvolti (Paolo R). Servirebbero dati tempestivi anche su mansioni e salari (Luca V). Aggiungo che sappiamo molto poco sul lavoro nero, e per buoni motivi: è difficile documentare la dinamica corrente di un fenomeno “nascosto” perché irregolare.
Ciò detto, il fuoco della nota era sulle opportunità che offre una nuove fonte: i dati amministrativi sulle comunicazioni obbligatorie elaborati in maniera omogenea da alcune Regioni. I motivi per i quali sono interessanti sono due: riguardano flussi – assunzioni e cessazioni – e sono quindi particolarmente utili per cogliere l’evoluzione della congiuntura; sono resi disponibili con notevole tempestività – hanno anticipato di qualche settimana le stime trimestrali dell’Istat sulle forze di lavoro.
Certo, c’è dell’altro da sapere. Il fatto è che, nonostante il profluvio di previsioni normative – dal pacchetto Treu del 1997alla riforma Maroni del 2004, il ritardo nella compiuta attuazione di un “Sistema Informativo del Lavoro” è stupefacente. E l’entità del ritardo risalta con maggior evidenza se si ricorda che i primi infelici (e costosi) tentativi di realizzare un “Teleporto del Lavoro” risalgono a circa trent’anni fa.
Il problema, poi, non è solo nei dati. Partite IVA e tirocini o stage che “camuffano” occupazione dipendente precaria, e ancor più il lavoro nero, chiamano in causa una regolazione inadeguata dei rapporti di lavoro e, soprattutto, carenze nella vigilanza e nel controllo sull’applicazione di norme sul lavoro (Isabella N).
SERVE UN SISTEMA DI WELFARE PROFONDAMENTE DIVERSO
È risaputo che il nostro mercato del lavoro è segmentato e che l’impianto degli ammortizzatori sociali obbedisce a una logica categoriale, frammentata. Purtroppo, con  la crisi economico-finanziaria del 2008, e i suoi riflessi sull’occupazione, questi tratti si sono accentuati. L’indirizzo scelto dal Governo, infatti, può essere riassunto in due affermazioni:
(a)  questo non è il tempo delle riforme, ma degli interventi-tampone in attesa che “passi la nottata”. Detto altrimenti, si accantona ogni ipotesi di riforma del welfare e ci si concentra su interventi puntuali;
(b)  vi è una forte concentrazione degli interventi in favore del mantenimentodell’occupazione, mirati cioè ai lavoratori sospesi – prevalentemente lavoratori con contratto a tempo indeterminato, e l’estensione di benefici a categorie di lavoratori precedentemente esclusi avviene secondo una logica derogatoria e particolaristica.
Pagano soprattutto i “precari”: in larga parte giovani, ma anche meno giovani – gli “ultraquarantenni” (Giulio). La strada per uscire da questo cul de sac non può che essere una profonda riforma della regolazione dei rapporti di lavoro e del welfare. Quali i criteri ispiratori? Li riassumo in due parole-chiave: “universalismo selettivo” – un binomio solo apparentemente contraddittorio, che segnala la scelta per interventi generalizzati per chi si trovi in condizioni di bisogno; equità distributiva. Tutto da inventare? No. Ci sono gli esempi virtuosi di vari paesi, condensati in una parola: flexicuruty, insieme flessibilità nei rapporti di lavoro (Luca G) e sicurezza sociale,  realizzata quest’ultima con un sistema universalistico – largamente omogeneo, selettivo quanto a requisiti di ammissibilità , con “diritti e doveri” per i beneficiari (Vincesko).
Ma quanto tempo richiede? Non pochissimo – anche perché i vincoli della nostra finanza pubblica sono severi, ma neppure un’eternità . Abbiamo un esempio alle porte di casa: la Germania. Provata dalle conseguenze dell’unificazione, affronta il problema nel 2002: una Commissione nominata dal Governo federale lavora da febbraio ad agosto; Parlamento e Governo mettono in atto le riforme in tre tappe – a gennaio del 2003, del 2004 e del 2005; le riforme sono sistematicamente monitorate e valutate nei loro effetti, e progressivamente “aggiustate”. Certo, servono lungimiranza, determinazione e largo consenso: merci che, purtroppo, da noi non abbondano.
EÂ’ NECESSARIA UNA PROSPETTIVA DI MEDIO-LUNGO PERIODO
Questo ci porta all’ultimo punto. Le questioni basilari con cui l’Italia deve confrontarsi sono strutturali: perdurante stagnazione, bassa crescita della produttività , in prospettiva rischio di squilibri previdenziali – nel senso, largo, dell’emergere di una massa di “pensionati poveri”, ai cui bisogni occorrerà comunque far fronte (Dino B, Roberto A).
La risposta è in due indirizzi di fondo, strettamente connessi:
(a)  riprendere un percorso di crescita – tra l’altro, la flexicurity è sostenibile soltanto in un quadro di sviluppo e di alta occupazione;
(b)  non limitarsi a tamponare alla bell’e meglio i problemi di oggi, ma guardare al futuro. «È [nella] “veduta corta”, in questa incapacità di andare oltre il calcolo di breve periodo e di guardare il futuro lungo che sta la radice più profonda della crisi in atto».(1)
(1)Â Tommaso Padoa-Schioppa, La veduta corta. Conversazione con Beda Romano sul Grande Crollo della finanza, Bologna, Il Mulino, 2009.