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Parole d’estate

L’estate 2010 sarà ricordata per le tante parole spese sulla partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa. Ne hanno dibattuto ministri e banchieri, gli stessi che non hanno mai fatto niente per metterla in pratica. Ma non serve una legge perché già ora in Italia non c’è nessun impedimento a rendere i dipendenti partecipi dei profitti aziendali. Meglio sarebbe ridurre il carico fiscale che grava sul lavoro spostandolo sulle rendite, a partire da quelle finanziarie. Non farà piacere ai banchieri, ma farà aumentare la partecipazione al mercato del lavoro

Se mi aiuti, emigro

Serve aumentare gli aiuti per fermare l’immigrazione dall’Africa verso l’Europa? L’analisi econometrica mostra che tanto più un paese riceve aiuti economici internazionali, tanto più da lì si origineranno flussi di migrazione e tanto più un paese eroga aiuti, tanto più riceverà immigrazione. Perché la scelta di emigrare sarebbe sempre più guidata dalla percezione della povertà relativa e non dalla povertà assoluta. Gli aiuti vanno dunque ancorati a progetti specifici e verificabili, volti a generare un flusso di reddito certo per i lavoratori residenti.

La risposta ai commenti

L’Â’imposizione sull’Â’abitazione di residenza è la norma negli altri paesi. Il valore dell’Â’immobile di residenza è un ottimo indicatore di capacità contributiva, fortemente correlato con reddito e ricchezza.
L’esenzione da imposte sulla “prima casa” determina dunque iniquità orizzontale. Tale esenzione non si giustifica con il fatto che si tratta di un bene primario: molti altri beni primari (il cibo, il vestiario) sono tassati.
D’altra parte, l’Â’imposizione sulla casa di residenza non esclude la possibilità di applicare deduzioni o detrazioni in grado di modulare l’Â’onere impositivo tra le diverse famiglie (molto meglio che distinguere soltanto tra abitazioni di lusso e non di lusso).
Va anche detto che l’investimento immobiliare ha nel nostro sistema un trattamento di favore, visto che la rendita catastale sottostima fortemente la redditività effettiva dell’immobile. Ciò discrimina rispetto a investimenti alternativi ad esempio in attività produttive.
Non si dimentichi inoltre che lÂ’’imposta sugli immobili rappresenta uno dei pochi esempi di tributo effettivamente locale, in quanto caratterizzata da una base imponibile sufficientemente uniforme e stabile sul territorio nazionale e che ben si collega ai benefici che i cittadini ricevono dall’Â’attività pubblica. Anche da questo punto di vista, è chiaro che lÂ’’esenzione delle abitazioni principali non consente di ottenere un federalismo pienamente responsabile. Il punto sollevato nellÂ’’articolo riguardava proprio questo aspetto: chi prende le decisioni deve essere anche chi sopporta i costi di queste decisioni; dunque non si possono escludere i residenti nel disegno dell’autonomia tributaria.

Un commento sui criteri per la carriera universitaria*

Il lavoro di Marcuzzo e Zacchia, e il dibattito conseguente, aiutano a verificare la “tenuta” dei criteri adottati e a individuare possibili linee di affinamento.

UN CONTRIBUTO AL “CONTORNO”

La definizione dei criteri per ciascuna delle 14 aree CUN è del dicembre 2008, in risposta ad una richiesta della Ministro.
La linea seguita dal Comitato Area 13 è stata quella di una soluzione di “equilibrio dinamico” fra:

– la specificità dei contenuti e metodi dell’Â’Area, la quale è la più differenziata fra le 14 Aree CUN, si pensi alla distanza fra econometria, statistica e matematica e l’Â’economia, lÂ’’economia aziendale, la storia economica, la storia del pensiero economico, lÂ’’organizzazione, la merceologia;
– lÂ’’articolazione delle proposte provenienti dalle altre Aree CUN per il necessario coordinamento “di sistema”;
– e il clima di “urgenza istituzionale” allÂ’’epoca incalzante perché si percepiva alto il rischio che altri soggetti-enti avrebbero potuto essere invitati a provvedere; ad es., a gennaio 2009, il Parlamento ha redatto e approvato “in diretta” l’Â’art. 4 della Legge n.1 in cui si dice che chi non ha pubblicazioni scientifiche non accede agli incrementi salariali, poi peraltro rimossi dalla manovra Tremonti, e non accede a Commissario di prove concorsuali.

Il Comitato ha quindi:

– lavorato in modo coordinato assieme a 14 Accademie e Società scientifiche dellÂ’’Area 13 con molteplici incontri su documenti scritti;
– inserito i criteri entro logiche differenziate di reclutamento dei ricercatori e di promozione ad associato e ordinario puntando, in una logica di supporto, ad “alzare lÂ’’asticella” complessiva lasciando spazio alle autonomie disciplinari o di sede;
– per questa via ha proposto un framework  ragionato cercando di evitare nei criteri estremismi di automatismo e/o di approssimazione e mettendo a disposizione uno strumento per le policy locali.

DUE DETTAGLI DA SOTTOLINEARE

In primo luogo, il dibattito sui criteri per i ricercatori ci ha visti spesso isolati entro il CUN. In molte altre aree CUN per i ricercatori si prevede un numero elevato di pubblicazioni, con implicita correlazione “molte pubblicazioni = alta anzianità”. Noi abbiano sostenuto logiche di policy di reclutamento concorrenziali sul piano internazionale lasciando spazio al giudizio sul potenziale dei candidati, da reclutare da giovani (da ciò il requisito su una sola pubblicazione), e sollecitando un risveglio istituzionale sull’Â’efficace utilizzo dell’Â’istituto della “conferma in ruolo”.
Questa linea è stata condivisa con le Accademie e Società scientifiche dellÂ’’Area e con la Conferenza dei Presidi di Economia e di Scienze Statistiche, anche se poi i risultati dei giudizi di conferma in ruolo 2008-09 per i ricercatori nei 19 SSD dell’Â’Area hanno mostrato risultati assai differenziati per SSD e, in particolare, in solo due SSD (SECS-P/01 e SECS-P/07) si è riscontrato un tasso di rinvio ad una seconda scadenza di circa il 10%.
Il secondo punto da sottolineare riguarda il ruolo delle Accademie e Società scientifiche come “interlocutori esperti” fra il quadro di riferimento disponibile e le soluzioni analitiche da adottare nel tempo (anche a seconda degli stadi evolutivi delle discipline). Questa soluzione organizzativa ha rappresentato anche la chiave operativa adottata dal CUN per la precisazione dei criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni nella costituenda “anagrafe nazionale dei docenti”, premessa tecnica necessaria per implementare lÂ’’art. 4 della L. n.1/2009 (si vedano i pareri nel sito CUN). In futuro, in sostanza, le Accademie e Società scientifiche saranno chiamate a farsi carico di contribuire ai processi di valutazione con liste di riviste scientifiche nazionali e internazionali (in proposito un esempio interessante per lo stadio avanzato della discussione al suo interno è quello dellÂ’’AIDEA) e con liste di editori accreditabili.

UN PERCORSO A OSTACOLI

E’Â’ un percorso particolarmente faticoso quello in cui versa la valutazione della ricerca in Italia, sempre sospeso tra “fiammate comunicative” di principio e di richiamo e prassi di implementazione lente, spesso contraddittorie e non sempre trasparenti, specie quando il processo decisionale si avvicina ai livelli della Politica. Qualche esempio: i criteri 2008 sono ancora una base di “moral suasion” e non un Decreto attuativo, pur citato nella L. n.1/2009; il Bando VQR 2004-08 del CIVR (che poteva consolidare il “discorso evolutivo” dei criteri) è fermo da mesi (forse in attesa del Consiglio Direttivo dellÂ’’ANVUR che però avrà bisogno di molti, troppi, mesi per essere operativo); il PRIN langue: i fondi 2008 sono arrivati solo recentemente e i Garanti 2009 ad oggi devono ancora essere scelti nellÂ’’ambito delle terne fornite da CUN, CRUI e CEPR ad aprile; il Decreto di distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario 2010, col “Fondo premiale” che recupera i criteri sulla ricerca, a fine agosto 2010 non è ancora disponibile e così via.
Il CUN, organo istituzionale, cerca, anche col contributo dell’Â’Area 13, di tenere una linea di “responsabilità consapevole”, ma spesso mancano interlocutori davvero interessati a farsi carico con sistematicità e continuità dei problemi del Sistema Universitario.

Francesco Favotto, Alessandra Petrucci, Ezio Ritrovato

* Gli autori sono membri del Comitato Area 13 del CUN

Ma quelle fonti di energia hanno costi esorbitanti

Gli investimenti nel fotovoltaico, fiorenti grazie agli incentivi introdotti nel 2007, rappresentano un perdita secca per la collettività. Non riescono ad ammortizzarsi nemmeno in parte. Probabilmente si raggiungerà una potenza installata vicina ai duemila megawatt e l’onere annuale per il Gse salirà così ben oltre il miliardo. Fuorviante definirla una energia “rinnovabile”: finito il sussidio non resterà nulla, mentre si dovranno smaltire milioni di pannelli obsoleti.

Il fotovoltaico, un investimento per il futuro

Il fotovoltaico è uscito dalla fase di sperimentazione e affronta quella dell’industrializzazione, con innovazioni tecniche continue e riduzione di costo inimmaginabili solo pochi anni fa. Lo si deve soprattutto alla determinazione con cui alcuni paesi hanno sostenuto le imprese del settore, riconoscendone le prospettive di lungo periodo. Anche in Italia ha dato un importante impulso alla ricerca e fatto nascere centinaia di aziende. Ma il meccanismo di incentivo ha limiti chiari e dovrebbe essere migliorato.

Patente di successo

Funzionerà il nuovo Codice della strada? Per capirlo, guardiamo cosa è accaduto con la patente a punti. I numeri della polizia e dell’Istat dicono che dopo la sua introduzione incidenti stradali e vittime sono notevolmente diminuiti. Un risultato confermato dall’analisi econometrica, che permette di escludere l’influenza di altri fattori. E dai dati emerge anche una significativa riduzione nel numero di infrazioni accertate. Cali più consistenti quanto più forte è stato l’inasprimento delle sanzioni.

La slavina dei redditi da lavoro dipendente

Questa scheda si propone di documentare l’andamento della quota salari in Italia e in alcune economie avanzate negli ultimi quattro decenni. (1) La quota salari rappresenta la parte del reddito nazionale assegnata al fattore lavoro nell’ottica della distribuzione funzionale del reddito fra i fattori di produzione, quali capitale, lavoro e terra. Rappresenta perciò una delle componenti più importanti della distribuzione del reddito a livello aggregato e non individuale. In altri termini, non si sta guardando alla distribuzione personale dei redditi da lavoro e quindi ai salari medi individuali, ma piuttosto alla quota assegnata all’insieme dei lavoratori dipendenti.

Prove di federalismo municipale

Più ombre che luci nella riforma della fiscalità comunale. Nascono dubbi sul fatto che possa garantire la certezza di risorse alla base di ogni seria prospettiva di responsabilizzazione degli enti territoriali. Nella seconda fase, l’Imup si profila come una super-patrimoniale sulle seconde case.

Imup, imposta dal futuro incerto

La seconda fase della riforma della fiscalità comunale scatterà dal 2014. A partire da quellÂ’’anno, i comuni che decideranno di farlo potranno istituire una nuova imposta, denominata Imposta municipale propria (dÂ’’ora in poi Imup), regolata dalla normativa statale ma con il riconoscimento ai comuni di margini di autonomia. Se istituita, lÂ’’Imup cancellerà le imposte statali immobiliari devolute nella prima fase (con lÂ’’eccezione della cedolare secca sulle locazioni) e lÂ’’Ici.

DUE COMPONENTI PER UN’IMPOSTA

Dell’Â’Imup, il decreto fissa alcuni elementi fondamentali ma su altri rimanda la decisione al futuro. Sarà un’Â’imposta “doppia”, con due differenti componenti: la prima basata sul possesso dellÂ’’immobile, come lÂ’’Ici attuale, la seconda sul suo trasferimento, come oggi l’Â’imposta di registro e quella ipo-catastale. E sarà un’imposta patrimoniale, visto che la base imponibile resta il valore catastale, gravante prevalentemente sulle seconde case (a disposizione e locate) e sugli immobili non residenziali, con netta conferma dellÂ’’esenzione totale dell’Â’abitazione principale per la “componente possesso”. Le aliquote base saranno fissate dallo Stato, ma si riconosce ai comuni la possibilità di manovrarle in aumento o in diminuzione entro limiti prefissati, addirittura fino al 3 per mille sulla “componente possesso”. Sulla stessa componente è poi previsto un regime fortemente agevolativo, addirittura metà dell’Â’imposta ordinaria, nel caso di immobili locati e in quello di immobili utilizzati nellÂ’’esercizio dell’Â’attività di impresa, arti e professioni ovvero posseduti da enti non commerciali.
La nuova Imup sarà in realtà un tributo composito, basato su presupposti differenti (il possesso, il trasferimento di immobili), una collezione di tributi oggi esistenti che, sotto una etichetta unica, manterranno in gran parte i loro caratteri distintivi. Insomma, una forzatura dettata dall’Â’obiettivo di attribuire tutta la tassazione immobiliare ai comuni (con margini differenziati di manovrabilità) e di “semplificare” a tutti i costi, senza però cambiare nulla in sostanza, senza cogliere l’Â’occasione per mettere mano a una riforma concreta della tassazione immobiliare.

UNA SUPER-PATRIMONIALE SULLE SECONDE CASE

Valutare lÂ’’Imup è esercizio arduo in quanto il decreto manca di fissare un elemento fondamentale del nuovo tributo: lÂ’’aliquota base della sua componente principale, quella collegata al possesso dell’Â’immobile. Qualche considerazione di larga massima è comunque possibile.
Sotto il vincolo della “neutralità finanziaria”, data la riconferma della piena esenzione della prima abitazione, data la necessità di recuperare la perdita di gettito derivante dalla cedolare secca al 20 per cento rispetto allÂ’’Irpef attuale e dati infine i regimi fortemente agevolativi previsti nella nuova imposta, il risultato non può che essere un pesante spostamento del prelievo fiscale a danno, in particolare, delle seconde case.
Le prime simulazioni indicano che per garantire parità di gettito, lÂ’’aliquota base dovrebbe essere fissata nell’Â’intervallo tra l’Â’11 e il 14 per mille, ossia circa il doppio dell’Â’aliquota Ici attuale. Il risultato sarebbe pertanto una super-patrimoniale sulle seconde case. Questa prospettiva avrebbe qualche vantaggio in termini redistributivi, ma penalizzerebbe fortemente l’Â’investimento immobiliare diverso da quello finalizzato allÂ’’acquisizione della prima abitazione. La possibilità di fissare lÂ’’aliquota base a un livello un po’Â’ più basso dipende criticamente dall’Â’effettivo recupero di evasione nella tassazione sugli immobili che dovrebbe derivare dagli incentivi allÂ’’emersione generati dallÂ’’abbattimento dell’Â’aliquota previsto con la cedolare secca e dal maggiore coinvolgimento dei comuni nellÂ’’attività di accertamento. Ma su entrambi i fronti, i margini di incertezza sono forti.
Anche per la seconda fase rimangono i problemi evidenziati sul piano perequativo, in quanto la nuova Imup concorre al finanziamento del fondo di perequazione. Un punto di ambiguità che permane nel testo del decreto è poi quello che riguarda il carattere facoltativo del passaggio dalla prima alla seconda fase. La Relazione sul federalismo fiscale del 30 giugno affidava lÂ’’istituzione dell’Â’Imup “a una verifica di consenso popolare su iniziativa dei singoli comuni”. Si tratta di una previsione alquanto singolare poiché nel caso in cui solo alcuni comuni decidano di passare alla nuova imposta, si avrebbero seri problemi di funzionalità per il sistema perequativo municipale. E ciò perché il meccanismo perequativo dipende dalla determinazione della capacità fiscale, la quale deve necessariamente riferirsi a tributi di applicazione generale in tutti i comuni. Il testo del decreto sembra allontanare questo scenario, ma non risolve tutte le ambiguità.
Da ultimo, la riforma va valutata sul piano dellÂ’’obiettivo della semplificazione della tassazione immobiliare rispetto al quadro attuale. Il combinato dei differenti trattamenti differenziali previsti per le diverse tipologie di proprietari e di immobili porta a un sistema di tassazione di redditi e patrimoni immobiliari (vedi tabella 1) che sembra francamente coraggioso definire più semplice e più neutrale rispetto a quello attuale.

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