I dati Istat confermano il quadro a tinte fosche della condizione dei giovani nel nostro paese e la loro dipendenza dalla famiglia di origine. Mentre un rapporto Eurostat mostra che non solo sono una risorsa scarsa, ma anche più sprecata e meno valorizzata che altrove. Sono oltre due milioni gli under 30 che non studiano e non lavorano: sospesi in quel tempo morto che separa episodi di lavoro precario da brevi corsi di formazione, appaiono come un esercito immobile. La conseguenza è un’economia che non cresce e una società che non si rinnova.
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La manovra 2010 prevede, tra gli altri provvedimenti, lÂ’’introduzione delle finestre “mobili” sia per pensioni ordinarie di vecchiaia che per pensioni di anzianità , con uno slittamento di dodici mesi per i lavoratori dipendenti e di diciotto mesi per i lavoratori autonomi.
Il confronto internazionale suggerisce che l’alfabetizzazione finanziaria di un paese dipende dall’investimento in istruzione e dalla struttura dei mercati finanziari. L’Italia si trova in fondo alla graduatoria internazionale in materia perché investe poco in istruzione, perché il sistema previdenziale pubblico è molto esteso e perché non ha approfittato delle riforme delle pensioni degli anni Novanta per ampliare le conoscenze economiche e finanziarie dei lavoratori.
E’ finalmente disponibile il testo della manovra. Abbiamo così scoperto che un provvedimento presentato come quasi interamente di riduzioni alle spese è composto in realtà al 40 per cento di maggiori entrate, che molti tagli sono di carta, di dubbia praticabilità . Serve più che altro a dare un segnale ai mercati. Non è detto che sia credibile perché rinvia ai posteri gli aggiustamenti strutturali di spesa ed entrate. Ben poco rimarrà in vigore dopo il 2012. E chi paga davvero sono, una volta di più, i giovani.
Ringrazio i lettori dei molti commenti, la cui numerosità , peraltro, non stupisce, visto che di evasione fiscale si discute di frequente nel nostro Paese. Si dovrebbe forse riflettere sulle ragioni per cui tali discussioni scadono spesso (e non mi riferisco ai commenti dei lettori) in chiacchiere da salotto televisivo. Una di queste è la mancata conoscenza dei dati, ed è questa la motivazione che mi ha spinto a concentrarmi sui dati, piuttosto che sulle politiche. Comunque, condivido alcune delle osservazioni fatte in proposito, anche se l’Â’inversione dellÂ’’onere della prova è qualcosa di giuridicamente delicato (lo dico da non giurista, ma non credo che il contesto normativo-istituzionale possa essere ignorato). Provo di seguito a condensare per filoni di argomenti alcune risposte sollecitate dai commenti. Per quel che riguarda la questione dell’Â’(in)efficienza della spesa pubblica, è certamente vero che (anche) nel nostro Paese lÂ’’evasione dipende dalla percezione che i soldi pubblici siano spesi male e che questa percezione ha basi piuttosto solide. Altra questione, sulla quale non sono in grado di soffermarmi, è quella della differenza tra l’Â’importanza simbolica e quella quantitativa di queste inefficienze. Tornando al punto, non credo comunque che questo sia sufficiente a spiegare i livelli patologici dellÂ’’evasione italiana ed è per questo che richiamo lÂ’’attenzione sulla polverizzazione della struttura produttiva italiana. Alcuni commenti alludono ad una differenza fra lÂ’’evasione dei piccoli e quella dei grandi. Su questo bisogna essere chiari. Di per sé lÂ’’evasione dei piccoli è, per definizione, limitata, ma i) essa tende ad essere elevata in proporzione ai guadagni veri ii) è comunque la componente principale dellÂ’’evasione italiana a causa della struttura produttiva del tutto peculiare del nostro Paese. Non sono così sicuro che nessun negoziante sotto casa che non emette lo scontrino sia tra coloro che hanno portato i soldi all’Â’estero. È invece vero che una parte del problema sta nel fatto che il nostro sistema di tassazione tassa in linea di principio nello stesso modo la grande società di capitali e la piccola srl. SullÂ’’accenno all’Â’importanza della pressione fiscale, certamente anche questa può contribuire, ma va ricordato che i) gli italiani evadevano tanto anche quando la pressione fiscale era più bassa ii) vi sono paesi (quelli del Nord Europa) dove lÂ’’economia sommersa, per quanto ne sappiamo, è meno sviluppata che da noi, pur in presenza di una pressione fiscale superiore. Questi ragionamenti ci riportano allÂ’’importanza dei fattori nostrani di cui sopra, cioè la qualità dei servizi pubblici, la tax morale del nostro paese e, soprattutto, la struttura produttiva.
La Francia organizzerà l’Europeo di calcio del 2016. I paesi in gara erano Turchia, Francia e Italia. La decisione dell’Uefa è essenzialmente politica, ma conta anche la valutazione di aspetti più tecnici della candidatura. A partire dalla situazione di stadi e infrastrutture di trasporto. Su questa base non c’erano grandi possibilità per il nostro paese. Eppure l’organizzazione di Euro 2016 poteva essere l’occasione per ristrutturare gli impianti. Con una partnership, però, pubblico-privato per impedire il ripetersi degli sprechi dei Mondiali 1990.
Dell’evasione in Italia si sa praticamente tutto. Il problema di fondo consiste nel fatto che vi sono redditi completamente tracciabili e tracciati e altri che non lo sono. Se si ritiene che la riduzione dell’evasione sia utile, andrebbero reintrodotte integralmente le misure varate dal governo Prodi e subito abrogate dal governo Berlusconi. Con un passo ulteriore: grazie all’anagrafe dei conti bancari è possibile oggi richiedere agli intermediari finanziari la trasmissione al fisco dei saldi finali annuali di tutti i contribuenti, come avviene in altri paesi.
Una proposta di legge affronta due temi finora trascurati nel nostro sistema di welfare: le necessità di cura delle persone non autosufficienti e la conciliazione con il lavoro remunerato. Ma la norma riesce a essere contemporaneamente vecchia, ingiusta e inefficace. Perché lo strumento scelto è il pre-pensionamento, che favorisce l’uscita dal mercato del lavoro e non la conciliazione. Perché non adotta un approccio universalista e garantisce condizioni più vantaggiose ai lavoratori pubblici. Perché scarica ancora una volta sulle famiglie l’onere del lavoro di cura.
La febbre dei tagli di bilancio si sta diffondendo rapidamente in tutti i paesi europei. E’ un esperimento politico-sociale senza precedenti: l’Europa nel suo complesso riduce la spesa pubblica anche a fini sociali. Ma se i tagli di oggi non si traducono in riforme strutturali avranno solo effetti temporanei sulla spesa. Se invece diventano riforme strutturali, potrebbero essere meno recessivi di quanto temuto.
Nasce una rappresentanza della piccola impresa e del lavoro autonomo, R.ete. imprese Italia. Mette assieme le cinque associazioni storiche degli artigiani e dei commercianti e rappresenta nel suo complesso oltre due milioni e mezzo di imprese. Ha davanti alcune sfide, come quella di riuscire a rimanere un soggetto effettivamente autonomo dai partiti senza cedere a tentazioni di neocollateralismo, mentre resta da definire dove si fermerà il processo di aggregazione di altre realtà associative. Ma ancora più importante è il nodo dei rapporti con Confindustria.