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QUANDO IL RAZIONAMENTO SI FA IN UN CLICK DAY

Come le code fuori dai negozi ai tempi dell’Urss, anche il click day è una forma di razionamento. Si suppone che l’obiettivo di quello appena rinviato per i rimborsi forfettari Irap fosse assegnare i fondi in via prioritaria alle imprese che più risentono delle restrizioni creditizie e hanno dunque forti esigenze di liquidità a breve termine. Oltre naturalmente a cercare di ridurre il costo dei rimborsi per il Tesoro. Ma se è così, si è scelto lo strumento sbagliato. Molto meglio i beauty contest o i meccanismi basati sul prezzo.

CONCORSI FUORI TEMPO MASSIMO

I concorsi per professore e ricercatore universitario banditi tra marzo e novembre 2008 sono stati ibernati in attesa della definizione di nuove modalità di formazione delle commissioni giudicatrici. Ora, il decreto che le contiene è sul punto di essere varato. Ed è auspicabile che preveda la riapertura dei termini sia per nuove domande sia per aggiornare quelle presentate a suo tempo. Intanto, le facoltà dovrebbero eleggere nuovi commissari interni. Sono due condizioni imprescindibili se si vogliono meccanismi di selezione improntati a una logica meritocratica.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Un certo numero di lettori ritiene che il Messico non possa essere preso ad esempio per l’Italia, perché tutto sommato in Messico ci sono più problemi che in Italia. Capisco il punto, ma a mio parere ciò non ci vieta di identificare alcuni punti specifici in cui il Messico sembra fare meglio dell’Italia, per cercare di saperne di più e magari imparare  
qualcosa. Peraltro, proprio il fatto che il Messico deve fare fronte a gravi problemi rende più sorprendente, e forse più interessante, il fatto che riesca a far bene in certi settori specifici.
Alcuni lettori obbiettano che la tecnocrazia è anti-democratica. A tal proposito cito gli USA dove, come altri lettori ricordano, i tecnici ricoprono spesso posizioni chiave di policy-making, e nessuno pensa che ciò metta in pericolo la democrazia.
In ultimo, un lettore ci domanda chiarimenti su una politica di prelievo del 2% operata dalle banche. Crediamo che il lettore si riferisca a una politica per cui ogni banca è tenuta a trattenere il 2% di ogni deposito bancario. Le somme trattenute saranno poi dedotte dalle tasse dell’intestatario del conto corrente. Questa norma è stata introdotta per  
combattere l’evasione fiscale.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo gli intervenuti, aggiungendo un nostro commento che non ha pretesa di essere esaustivo rispetto a tutte le osservazioni a noi fatte. Sono certamente condivisibili le riflessioni che affermano che l’attuale configurazione dei licei italiani dovrebbe essere più onnicomprensiva, più flessibile e al tempo stesso più verificabile nei suoi esiti di apprendimento. Così pure lo sono le osservazioni sulle discipline forti, alle quali nessun giovane dovrebbe rinunciare nella sua formazione. Tuttavia, se ci poniamo in una prospettiva pragmaticamente costruttiva, che a noi sembra corretta, il dato da cui partire è la riforma già approvata nella sua architettura generale, che risulta migliorabile solo con riferimento ai contenuti. In buona sostanza la riforma conferma il modello liceale italiano – idealistico gentiliano -, introducendo alcune novità, alcune delle quali a nostro avviso interessanti. In particolare, e questo è il tema del nostro intervento, riteniamo positivo che vi siano delle nuove opzioni liceali dedicate alle scienze della modernità: le economico-sociali e le scientifico-tecnologiche. In particolare le scienze economico-sociali possono assumere una valenza formativa liceale se dispiegano appieno il loro valore di lettura, interpretazione ed orientamento rispetto alla complessità delle società moderne. Questo passaggio rappresenta un’evidente discontinuità da quello tecnico-professionale sinora assolto dall’economia (aziendale più che politica) nei corsi tecnici per ragionieri e periti, quali Igea ed altri. Il modello di riferimento è quello francese, in cui l’economia fonda un vero e proprio Liceo Economico e sociale, che ha un taglio liceale generale molto apprezzato dai giovani francesi (costituisce, infatti, la seconda scelta per numero tra le tre previste nella Voie générale). D’altra parte l’economia ha un ruolo professionalizzante nei corsi STG (Science et technologies de la gestion), simili ai nostri corsi tecnici per ragionieri.
Riuscirà il nuovo Liceo Economico e sociale a produrre effetti generatori di nuove e più ampie conoscenze per la società italiana? Occorre a questo punto entrare nel merito, perché i rischi che si tratti di un’operazione nominalistica di facciata destinata a fallire nel giro di poco tempo ci sono tutti. La questione fondamentale, su cui vedremmo con piacere un positivo movimento di opinione, è che discipline, orari, metodologie siano coerenti a una concezione delle scienze economiche, sociali, giuridiche, aziendali e quantitative come scienze forti in quanto aperte, duttili, critiche. Chiaro cha questo obiettivo potrà essere raggiunto solo se le discipline, i piani orari e le metodologie saranno ad esso coerenti. Occorrono quindi sostanziosi miglioramenti al regolamento prima della sua definitiva emanazione. Come spesso accade, il successo di una riforma dipende più dai regolamenti attuativi che dal quadro generale Questi miglioramenti renderanno più credibile quella giustamente auspicata maggiore presenza dell’economia (e del diritto e delle altre scienze sociali) in tutti i licei italiani e nella cultura dell’Italia di oggi.

E SI VOLEVA RICACCIARE ROUBINI IN TURCHIA

Prendersela con “gli economisti” è un po’ come prendersela con “i medici”, “i giornalisti” o qualunque altra categoria. Fa di tutte le erbe un fascio, mette insieme quelli competenti e gli incompetenti, quelli che si occupano di sport, di spettacolo, di cronaca o di politica internazionale. Gli economisti non sono tutti uguali. Facciamo tante cose diverse, alcuni di noi si occupano di finanza, altri del sistema economico nel suo complesso, altri di specifici settori o specifici problemi (che so? dall’ambiente all’antitrust). Insultare in blocco “gli economisti” per non avere previsto la crisi finanziaria americana ha tanto senso quanto dire che dobbiamo insultare “i biologi” per non avere previsto l’insorgere del morbo dell’Aids.
Ricordare i fatti aiuta sempre. Un pesante rallentamento dell’economia era già stato ampiamente previsto, in Italia e altrove; qualcuno addirittura parlava di recessione, e tipicamente era etichettato come un corvaccio. Ciò che era stato previsto solo da pochi era la gravissima crisi finanziaria americana, che ha trasformato il rallentamento nella peggiore recessione del dopoguerra. E solo chi si occupa di finanza – e soprattutto chi se ne occupa negli USA – avrebbe potuto (e forse dovuto) farlo.
E infatti alcuni economisti del settore avevano dato l’allarme. Ad esempio, lo aveva fatto uno come Nouriel Roubini, economista di origine turco-italiana che insegna a New York, quello che nel 2006 a Davos Tremonti invitò a “tornarsene in Turchia” perché osò criticare la politica economica del governo di allora. Altri ancora, e tanti, hanno criticato la leggerezza con la quale l’amministrazione di Bush e il Governatore Greenspan gestivano i mercati finanziari, cosa che ha grandemente contribuito alla crisi. Forse Tremonti vorrà zittire anche chi disse che quella amministrazione sarebbe stata ricordata come una delle migliori della storia?
Le polemiche mi interessano poco, e anche per questo ho preferito non sottoscrivere l’appello dei colleghi. Ma hanno ragione da vendere.
Per carità, molti economisti che avrebbero forse potuto prevedere la crisi non la hanno prevista. E lo sanno benissimo, tanto che al Festival dell’economia di Trento sono stati loro stessi (molti dei firmatari della lettera) a organizzare un vero processo pubblico alla professione.
Ma da qui a dire “tacete” ce ne passa. Sarò un passatista, ma amo il dialogo e mi turba chi cerca di zittire gli altri, soprattutto in un paese ove quello che manca è proprio il dibattito sereno sui problemi concreti. Io vorrei un paese nel quale gli esperti si confrontano e dicono la loro. Soprattutto, vorrei un sistema politico, nel quale i governanti cercano mille opinioni per formarsi la loro. Forse sarò ingenuo, ma quando vedo un ministro che chiede agli esperti di tacere non capisco perché lo faccia.
Solo chi crede di avere la verità rivelata in tasca non è interessato al confronto. E non vedo nessuno che abbia questa verità. Ho il massimo rispetto per il Ministro Tremonti, eccellente giurista esperto di imposte, con ampie competenze nella sua materia. Ma su questi temi Tremonti si contraddice. Afferma che ci troviamo in una “terra incognita”, in un periodo di grande confusione e poche certezze, ma poi non ritiene di doversi confrontare con nessuno. Se fosse veramente coerente con quanto afferma, allora non dovrebbe zittire nessuno, dovrebbe invece chiamare a raccolta tutte le energie migliori del paese.
Amo il confronto, e rispetto le competenze. E’ per questo che se ho una malattia vado da un medico. So che alcuni medici possono commettere errori, ma dilettanti e guaritori non mi interessano.

NON STAREMO ZITTI

Tremonti chiede agli economisti di tacere perché non accetta critiche al suo operato. Una presa di posizione di economisti che ribadiscono che parte integrante della loro professione è valutare l’operato di chi ha in mano le leve della politica economica. Non si faranno intimidire. Quali che siano le pressioni che il ministro esercita sui media. Scriveteci.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio i ventotto lettori della Voce che hanno trovato il tempo di inviare un commento alla mia breve nota sugli economisti. Mi perdoneranno se, per comodità, cercherò in alcuni casi di offrire una risposta singola a gruppi di commenti che ritengo affini, ben consapevole di non fare piena giustizia ai contributi individuali.
Due notazioni preliminari. Anzitutto la mia nota rappresenta, come indicato, il breve sunto di uno scritto più lungo all quale rinvio per argomentazioni più compiute. In secondo luogo, mentre alcuni colleghi avevano osservato un eccesso di critica verso la professione e la disciplina, la larga maggioranza dei commentatori mi imputa il peccato opposto, di eccesso di clemenza (il che, trattandosi di lettori della Voce, dovrà far meditare).
A) Secondo un primo gruppo di commenti, io mi sono posto problemi di poco rilievo, perché il vizio sta, per così dire, nel manico, o nei manici: vizi intrinseci di un sistema capitalistico ("disperato", Pietro Palermo, Antonio Pugliesi)¸ degenerazione per eccesso di finanziarizzazione (Armando Pasquali, "mirco") mentre restano insoluti i problemi fondamentali della povertà (Tarcisio Bonotto, Marco Bellarmi); economisti forse ingenui, ma comunque funzionali al sistema di potere (lo osservano in tanti: Antonio Aghilar, "onaocn", Alfredo Rosini, Ciro Daniele, Giovanni Ingrosso, "claudio"), che tuttavia meritano l’isolata difesa di Giuseppe Coco (grazie).
Ecco gli elementi per una risposta che dovrebbe e vorrebbe essere ben più articolata. (i) Per limiti della mia formazione e conformazione intellettuale, di fronte a una questione preferisco non mandare la palla fuori campo sostenendo che "ben altro è il problema": è una formula a volte troppo comoda. (ii) Questa crisi ci ha fatto troppo presto dimenticare che il decennio 1995-2005 andrà agli atti della storia economica mondiale come un periodo eccezionale: ovunque (salvo che in Italia) forte crescita e inflazione bassa e stabile; riduzione delle disuguaglianze fra paesi e dei livelli di povertà con l’emersione prepotente di nuovi attori sulla scena mondiale. (iii) La mancata soluzione di alcuni squilibri e, soprattutto, gli eccessi incontrollati della nuova finanza, di cui ho scritto altrove, certamente provocarono la degenerazione del sistema e la sua crisi. (iv) Gli economisti hanno, come ho scritto, delle responsabilità obiettive, ma per colpa più che per dolo: ricordando comunque che la questione riguarda quanti di essi, ma non tutti, si occupavano di macroeconomia. La sfida che dovranno affrontare coinvolge un profondo ripensamento della disciplina. (v) Tuttavia si consideri quanto è stata utile l’elaborazione economica sulle crisi precedenti, per impedire che questa crisi, pur non prevenuta, si trasformasse in una recessione.
B) L’edificio teorico che serve di riferimento agli economisti è mal fondato o sbagliato: (i) astrologia invece di economia ("Inkognitus"), e poi due indicazioni opposte – (ii) si impieghino modelli simili a quelli delle scienze pure e dure, con riferimento alla termodinamica (Enrico Quarta) o alle neuroscienze per elaborare modelli matematici dei processi cognitivi (Giuseppe Varicella) o (iii) al contrario, si abbandonino le pretese di usare modelli matematici complessi (Claudio Robiati, "giovanni", Fabrizio Villani).
Ho argomentato circa l’inadeguatezza intrinseca dei modelli macroeconomici correnti a dar conto dei cicli finanziari: questa inadeguatezza è forse anche dovuta a un luciferino desiderio di elegante completezza. Tuttavia, a mio avviso, la soluzione non consiste né nell’abbandono del ragionamento teorico né, al contrario, nell’adozione sic et simpliciter di modelli mutuati dalle discipline scientifiche: l’astrazione teorica è sempre necessaria per una comprensione dei fenomeni che non si esaurisca in una cronaca di fatti; d’altro canto la pretesa di trovare altrove la pietra filosofale dell’economia non ha mai dato risultati. Non è facile trovare un equilibrio fra le due esigenze solo apparentemente opposte dell’astrazione e della rilevanza (ma, per citare due esempi di rilievo, vi riuscì Keynes e vi riuscì anche Friedman). Il suggerimento di "mirco" è saggio: una maggiore attenzione dedicata alla storia economica. E vale anche l’esortazione di Marcello Basili a nno dimenticare Frank Hahn, un economista con credenziali teoriche ineccepibili ma con un chiaro senso del limite (forse per questo lasciato ai margini del mainstream).
D) Varia
Rosanna Sapori e Ivan Berruti segnalano che Eugenio Benetazzo, un operatore, aveva previsto con esattezza la crisi; secondo Berruto anche Larouche lo aveva fatto. Mi scuso per l’ignoranza. Osservo solo che una previsione insistita e generica di crisi anno dopo anno non è una previsione se non contiene un’analisi degli squilibri che generano la crisi: un orologio fermo segna per forza l’ora esatta due volte al giorno. Luca Bozzelli segnala uno scritto di Tommaso Paodoa-Schioppa, per la sua sistematica completezza.
Ringrazio "davide" per la segnalazione di link utili per approfondire le questioni (fra cui quello della lettera di economisti inglesi alla Regina d’Inghilterra, che, visitando la London School of Economics, chiese come mai nessuno si era accorto di nulla).
Riecheggiando una canzone degli anni trenta, Alfredo Lisi, constata quanto si spende in giro e si chiede se questa crisi c’è stata veramente. Non siamo al ’29, ma ebbene sì questa crisi c’è stata: grandi banche fallite (non da noi), caduta del prodotto mondiale, aumento della disoccupazione e della povertà. Forse ci hanno salvato dal peggio le economie asiatiche.
Gerardo Fulgione, che ringrazio per le espressioni gentili, vorrebbe un approfondimento sui compiti e sulle falle della regolazione. Qualcosa di più ho scritto nel testo più lungo. Qualcosa di più ho detto in un’arringa al festival dell’economia di Trento (in rete). Oggi la questione viene affrontata nel dibattito (iniziato vigoroso ma oggi indebolito) sulla riforma dei mercati finanziari.
Il collega Pierluigi Porta mi pone la domanda più complicata: se vale la mia tesi che gli economisti contribuirono allo Zeitgeist che favorì la crisi, non dovremmo ripensare tutta la situazione della disciplina e del suo insegnamento, con esemplificazione nella classificazione degli articoli e delle riviste in base al cosiddetto impact factor? Caro Porta, comprendo e apprezzo i problemi che tu sollevi. Consiglierei tuttavia di esercitare la necessaria critica senza emarginarsi in territori radicalmente alternativi, che fanno la fine delle riserve indiane.

Il COMMENTO DELLL’AGCOM ALL’ARTICOLO DI MICHELE POLO

Il recente contributo del Professor Michele Polo su lavoce (“AGCOM e il gioco delle tre carte”, pubblicato in data 8 luglio 2009) solleva numerose questioni in merito all’operato dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Alcune precisazioni sono d’obbligo, visto il tono delle affermazioni contenute. Del resto, proprio il pluralismo nell’informazione viene invocato, e la garanzia al diritto al contraddittorio di fronte ai lettori appare in questo caso quanto mai opportuna.
In estrema sintesi:

1) “La fine del duopolio” è stata la chiave di lettura che molti mezzi di informazione hanno scelto nel rappresentare il messaggio della relazione annuale del Presidente Calabrò. In realtà, la relazione illustra le tante attività poste in essere dall’Autorità, nel corso del 2008, a correzione proprio delle criticità ereditate dal passato relativamente al pluralismo dell’informazione.

L’AGCOM è intervenuta sin dal 2005, ai sensi sia della propria legge istitutiva sia della cosiddetta legge Gasparri, con una delibera (la 136/05/CONS) in cui:

a- individuava, ai sensi della nuova normativa, ed ai fini della tutela del pluralismo un unico mercato televisivo;
b- sulla base di quell’analisi, considerava RAI e Mediaset in posizione di “duopolio simmetrico”;
c- conseguentemente imponeva alcune misure di riequilibrio in capo ai due soggetti.

Probabilmente a questo intervento istruttorio si riferiva il Professor Polo, che lo ha derubricato in “pubblico richiamo con cui tre anni fa [l’Autorità] ha pudicamente rinviato la questione”.

Proprio in coerenza con i precedenti, pertanto, l’analisi fatta nel testo della Presentazione del Presidente e della Relazione Annuale ha delineato l’andamento generale dei ricavi del settore e delle relative quote, nonché ha evidenziato l’evoluzione dei due principali sottomercati e dei relativi posizionamenti dei tre maggiori player, precisando che “RTI è leader della pubblicità e nuovo concorrente nelle offerte a pagamento; Sky è di gran lunga leader nella pay tv e nuovo concorrente nella pubblicità; Rai mantiene le classiche posizioni attraverso una quota di rilievo nella pubblicità e prelevando le risorse residue dal canone di abbonamento (p.10 della Presentazione)”.

L’Autorità, in questi ultimi anni, ha compiuto una decisa attività di promozione del pluralismo che ha consentito:

a- il primo censimento delle frequenze tv (il cd. catasto delle frequenze), rispetto ad una situazione precedente di totale assenza di trasparenza di una fondamentale risorsa pubblica;
b- la realizzazione di una gara pubblica, esperita nel 2008, per l’accesso al 40% da parte di fornitori di contenuti indipendenti alla capacità trasmissiva dei tre maggior broadcaster in digitale terrestre, che ha consentito l’ingresso di nuovi operatori nazionali ed internazionali;
c- la disponibilità di un dividendo interno al settore di 5 reti, che verrà messo a gara con criteri e correttivi che garantiranno l’apertura alla concorrenza, l’ingresso di nuovi operatori e la valorizzazione di nuovi programmi (sono infatti previste una serie di misure asimmetriche);
d- la chiusura dell’annosa vicenda riguardante Europa 7,  che ora ha finalmente a disposizione una propria rete nazionale;

In definitiva, una nuova politica di gestione dello spettro, sostanziata dalla Delibera n. 181/09/CONS che detta i criteri per il passaggio al digitale e che ha permesso il congelamento della procedura comunitaria di infrazione, che si chiuderà a seguito proprio quando tale delibera avrà trovato piena attuazione, anche attraverso appositi interventi del Ministero dello Sviluppo Economico.

2) L’analisi dell’audience, invocata dal Professor Polo, è presente in più parti della Presentazione del Presidente, anche se quest’anno, come rilevato, mancava nel testo della Relazione la relativa tabella. Si fa comunque  presente che tale dato è di fonte Auditel, ed è quindi pubblico e disponibile a tutti da alcuni mesi. L’assenza di una tabella non può pertanto caratterizzarsi per essere volutamente omissiva né lesiva della trasparenza nel settore. Inoltre, la Relazione Annuale non contiene un’analisi tecnica sul pluralismo (a cui sono dedicati appositi provvedimenti), ma rappresenta il momento in cui l’Autorità illustra una sintesi delle attività svolte nell’ultimo anno, presentando alcuni dati, prevalentemente di propria fonte, sui mercati delle comunicazioni.

3) L’affermazione finale relativa al “profondo rosso circa lo stato del Pluralismo in Italia”, quantunque sicuramente d’effetto, non è supportata dai fatti, visto che anche i dati citati dallo stesso professor Polo mettono in evidenza:

a- l’avvenuta contrazione dell’audience dei due maggiori operatori;
b- la contrazione delle rispettive quote nel mercato televisivo;
c- l’avvenuto ingresso di nuovi operatori e quindi la possibilità di accesso a più fonti di informazione indipendenti.

Rimangono ovviamente alcuni aspetti ancora da affrontare, quali, fra gli altri, la gestione del dividendo digitale esterno, che come anticipato nella Presentazione del Presidente, impegnerà l’attività dei prossimi anni. Ma il punto dove siamo giunti – ben lungi dal rappresentare un punto d’arrivo – costituisce, data la situazione di partenza, una svolta storica, inimmaginabile solo 4 anni fa quando il nuovo Consiglio dell’AGCOM si è insediato.
A tale riguardo, è bene precisare che l’Autorità ha il compito e l’obiettivo istituzionale di tutelare il pluralismo dell’informazione garantendo sempre maggiori spazi ed opportunità.
L’evoluzione dell’audience, peraltro, dipende non solo da tali spazi ma anche dal confronto sul mercato dei contenuti, che l’Autorità deve favorire ma a cui non si può e non si deve sostituire. L’evocato “riequilibrio dell’audience” non può che sottendere all’esito di una dinamica di mercato in cui i diversi operatori hanno condizioni comparabili di accesso alle risorse scarse; non un intervento dirigista, estraneo alle corde di un’autorità di regolazione, e peraltro, al di fuori dei poteri dell’AGCOM . 

4) Una precisazione finale: l’affermazione iniziale circa il presunto ritardo sulla data di presentazione della Relazione non è corretta, dal momento che sembra attribuire all’Autorità una mancanza. In realtà, entro il 30 giugno, l’Autorità ha inviato al Parlamento, come prescritto dalla legge, la Relazione Annuale, mentre la data della Presentazione del Presidente è fissata dalla Presidenza della Camera dei Deputati.

Cordialmente,
Guido Stazi
Capo di Gabinetto AGCOM

SALARI, UTILI E PRODUTTIVITÀ

Torna in auge la partecipazione agli utili. Mentre per i manager una retribuzione collegata agli utili appare ragionevole, per i lavoratori di livello inferiore è molto meglio legarla alla produttività o a variabili che dipendono direttamente dal loro comportamento sul lavoro. In estate si è cominciato a parlare seriamente di decentramento contrattuale e di legame tra salario e produttività, con importanti aperture di tutti i sindacati. Ora la proposta governativa di partecipazione agli utili rischia di creare solo confusione.

AMERICA IN VANTAGGIO NELLA PARTITA DELLA VIGILANZA FINANZIARIA

A poche settimane di distanza l’uno dall’altra, il dipartimento al Tesoro americano e la Commissione Europea hanno varato due radicali progetti di riforma dei sistemi di regolazione e vigilanza finanziaria. Molte le similitudini, ma tante anche le differenze, a partire dal diverso ruolo assegnato alla banca centrale. Neanche il progetto americano riesce a produrre un definitivo consolidamento delle ipertrofiche strutture di vigilanza. Ma l’Europa, ancora invischiata nei veti reciproci, non è andata al di là di un più stretto coordinamento delle autorità esistenti.

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