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SE LA CONCORRENZA NON SI TRASPORTA

E’ impressionante il fervore restauratore messo in atto dalla maggioranza parlamentare, con il complice silenzio di quasi tutta l’opposizione, nel campo dei trasporti terrestri e in particolare nei trasporti regionali e locali. Una iniezione di concorrenza nel sistema, invece, farebbe bene non solo ai consumatori, ma forse soprattutto a quegli enti locali che da un lato lamentano la carenza di risorse e dall’altro continuano a sprecare denaro. In periodi di difficoltà finanziarie locali e centrali, si libererebbero preziosissimi milioni di soldi pubblici.

POVERA ITALIA!

Gli italiani si sono impoveriti negli ultimi anni? Le indagini di Istat e Banca d’Italia fotografano una situazione difficile per le famiglie numerose, per chi non ha lavoro e per il Sud. Ma nelle indagini sulla povertà si dovrebbe considerare un paniere che per tutta l’area euro rappresenti l’insieme dei beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita di una famiglia minimamente accettabile. E poi analizzare la percentuale di famiglie che si avvicina o si allontana da quella soglia ogni anno e nel corso degli anni.

QUESTA RIFORMA NON È UN FALLIMENTO *

La riforma della disciplina fallimentare è in vigore da tre anni e se ne può dare una prima valutazione. Scesi già nel 2006, i fallimenti hanno toccato un minimo storico nel 2007, per poi tornare a crescere decisamente alla fine del 2008 e nei primi mesi del 2009. Ma l’analisi sulla serie storica indica che il crollo del 2007 è solo parzialmente attribuibile alle nuove norme. Mentre il recente aumento è dovuto a fattori congiunturali. Il più ampio ricorso al concordato preventivo mostra che le imprese hanno apprezzato la riforma e hanno uno strumento in più per reagire alla crisi.

FS RISPONDONO ALL’ARTICOLO DI BOITANI E SCARPA*

Gentile redazione,

lo scorso 15 maggio il Vostro giornale ha pubblicato un intervento sulle Ferrovie dello Stato firmato dai due professori di economia Andrea Boitani e Carlo Scarpa. Il tono di alcune espressioni lascia francamente perplessi ma è solo questione di forma. E’ sul contenuto che è necessario soffermarsi per evidenziare e rettificare una serie d’inesattezze, talvolta anche rilevanti.
Gli autori parlano di una “campagna di comunicazione” di FS in cui si afferma che “le FS oggi non gravano più sulla collettività”: secondo gli autori tutto questo “grida vendetta”, mentre “i costi gravano sui contribuenti”. Diciamo subito che non si è trattato affatto di una campagna pubblicitaria ma di un’informazione diffusa attraverso comunicati stampa e i media istituzionali di gruppo (FS News, la Web-radio, il magazine Riflessi), come di rito in tutte le società in occasione dell’approvazione del bilancio da parte del Consiglio di Amministrazione. Nessuna campagna pubblicitaria, nessun costo.
Il merito. Confermiamo e ribadiamo: con il ritorno al pareggio, FS non pesa più sui bilanci dello Stato come è stato invece in passato a causa delle pesanti perdite di esercizio. Difficile disconoscere i meriti di una società pubblica con i bilanci in attivo grazie alla gestione industriale.
Ricordiamo che solo due anni fa, nel 2006, il Gruppo FS chiudeva i conti con una perdita di oltre due miliardi, i libri contabili di Trenitalia erano in procinto di finire in tribunale. Questo Paese sa quanto pesi il fallimento di una grande azienda nazionale. Non vale la pena di ricordare le esperienze recenti e più antiche, italiane o straniere. Oggi, dopo una cura molto pesante ma priva di traumi sociali, il Gruppo FS è di nuovo in attivo e si è mostrato capace di essere efficiente, fare utili, competere all’estero, guadagnarsi il primato di ferrovia più sicura nel mondo. E’ ingannevole evidenziare questa realtà?
Gli autori sostengono che il risultato si debba ai “contributi pubblici che FS tuttora riceve copiosi”. Non è così. Intanto non di “contributi” si tratta. I 3 miliardi cui si fa riferimento nell’articolo sono per oltre due terzi “corrispettivi”, cioè pagamenti a fronte dei servizi resi da Trenitalia. Lo stesso importo sarebbe stato corrisposto a qualsiasi altro operatore privato, nazionale o straniero, che li avesse prestati al posto di FS.  Sappiano però, i due professori (lo abbiamo comunicato numerose volte, quindi i lettori già ne sono a conoscenza), che i pagamenti che Stato e Regioni versano al Gruppo FS sono di gran lunga inferiori a quanto ricevono le maggiori imprese ferroviarie in Europa. Come riferisce, fra l’altro, una recentissima analisi pubblicata dall’autorevole Studio Ambrosetti.
Poco meno di un terzo si riferisce all’attività prestata da RFI per il mantenimento in efficienza della rete, a vantaggio di tutti gli operatori ferroviari che la usano.
Il bilancio è tornato in attivo grazie all’aumento di oltre il 16% dei ricavi operativi (rispetto al 2006) e, soprattutto, all’azione esercitata sui costi, tagliando gli sprechi e riorganizzando i processi produttivi.
I due professori affermano: chi assicura il contribuente “che il nostro operatore ferroviario operi ai minimi costi possibili” ? Approfondendo un po’ l’indagine e facendo un benchmark europeo (ma non solo), si rileverebbe che FS presenta costi in linea (su certe voci, anche inferiori) con quelli dei nostri maggiori competitor, SCNF (l’operatore francese) e DB (quello tedesco). Quanto poi all’affermazione “FS si sente libera di fare quello che vuole, e nessuno le dice nulla” rassicuriamo i lettori: il CdA viene nominato dal Ministero dell’Economia, ogni decisione importante del management viene condivisa con questo e con il Ministero delle Infrastrutture; una società di revisione certifica ed un collegio sindacale controlla. Per Legge, come si sa, le riunioni del CdA vedono la partecipazione di un magistrato della Corte del Conti, delegato al controllo sulla gestione finanziaria di FS, e le Autorità per la Regolamentazione del Mercato e quella di Vigilanza sui Contratti, come si può facilmente rilevare dai giornali, sono altrettanto attente all’attività dell’azienda.
I due professori definiscono poi le FS “uno staterello nello Stato”. Bizzarra perifrasi per definire una Società per Azioni, con diritti e doveri stabiliti dal codice civile.
Da anni FS – contrariamente a quanto scritto – non riceve conferimenti di capitale ma soltanto contributi in conto impianti per investimenti che l’azionista ritiene indispensabili per lo sviluppo della rete infrastrutturale, così come di altre reti come quella stradale, e come avviene anche all’estero. Quando gli autori dicono che “il costo dell’Alta Velocità è interamente a carico dello Stato”, parlano di un asset, i binari, sui quali, come è noto a tutti, dal 2011 si svilupperà la concorrenza di altre imprese ferroviarie che pagheranno lo stesso pedaggio di Trenitalia. Naturalmente il costo relativo al servizio è invece interamente a carico di Trenitalia e, com’è altrettanto noto, non è a carico dello Stato neppure per un centesimo di Euro. E’ quantomeno curioso non averne trattato nell’articolo.
In un altro passo dell’articolo si accusa “la maggioranza dei parlamentari italiani” di aver garantito a FS “un bel prolungamento dei contratti di servizio regionali”, ed FS di aver “convinto un manipolo di parlamentari italiani di proporre una deroga alle norme che prevedono l’affidamento tramite gara” dei servizi regionali. Se ne conclude che FS “rimarrà di fatto un monopolista per il traffico passeggeri (e anche nelle merci non c’è gran concorrenza)”. I due professori si riferiscono alle novità introdotte da un comma del Decreto Incentivi. Precisiamo intanto che la durata minima dei contratti è di sei e non di dodici anni, come ricordavano in modo errato. E riguardo al trasporto ferroviario regionale, né si chiedono né spiegano perché le gare promosse fino ad oggi dalle Regioni siano andate deserte, e Trenitalia sia rimasta di fatto, l’unico grande operatore (naturalmente ferme restando le altre 22 società ferroviarie regionali). Valeva la pena farsi questa semplice domanda: non sarà forse perché il mercato nasce soltanto laddove ci siano le condizioni per aver un ritorno dagli investimenti ed in presenza di regole certe ed esigibili? A qualunque imprenditore la risposta. Certo viene da domandarsi, alla luce di tali considerazioni, quale sia il giudizio dei due professori sulle Regioni che hanno già firmato in nuovi contratti di servizio trovandoli, al contrario, assai vantaggiosi in termini di nuovi investimenti in treni e in conseguente qualità del servizio. Però sarebbe un inutile esercizio speculativo, noi ci limitiamo a dire che le novità introdotte dal Decreto Incentivi sono ispirate a quanto richiesto dalla Corte dei Conti lo scorso anno nella sua Relazione (“..richiedere certezza e rispetto degli impegni nei rapporti tra Stato e Gruppo FS, soprattutto quanto a entità, tempi, modalità e garanzie di erogazione dei trasferimenti contrattualmente dovuti, cui è inevitabile si provveda con puntualità e senza deroghe non concordate”, ndr Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di Ferrovie dello Stato S.p.A. per gli esercizi 2005-2006). Grazie a queste novità le Regioni continueranno – al contrario di quanto denunciato dagli autori – ad essere libere di indire gare ma finalmente avranno la ragionevole speranza di vedervi anche partecipare qualcun altro oltre le FS. Perché adesso tutte le imprese, private e pubbliche, nazionali ed estere che siano, avranno un quadro certo e sufficientemente stabile su cui incentrare il proprio rischio imprenditoriale e, come recita il Decreto, effettuare un’ “efficace pianificazione del servizio, degli investimenti e del personale”. Lo testimonia la stipula dei recenti contratti e gli accordi con alcune regioni, cui stanno per seguirne altre.
Le FS sostengono il processo di liberalizzazione, perché laddove c’è l’interesse del mercato significa che c’è la possibilità del ritorno dagli investimenti e l’opportunità di far profitti. Le FS oggi puntano anche a questo, a tutto vantaggio dell’azienda, che è patrimonio del Paese, e di un servizio sempre migliore ai clienti.
Per le merci, poi, quello italiano è addirittura uno dei mercati ferroviari più liberalizzati in Europa. Laddove il mercato è in grado di esprimere profitti, cioè in Val Padana e su alcuni valichi, operatori privati e imprese estere detengono già oggi oltre il 30%. Stupisce un po’ non leggere una riga su questo aspetto e sul fatto che sotto la Val Padana, proprio per l’assenza di profittabilità, non esiste nessuna azienda a capitale privato di trasporto ferroviario merci.
In un altro passaggio i due professori accusano FS di prendere “per i fondelli la gente” perché “sbandiera i suoi biglietti low cost”, dopo aver fatto “esplodere i prezzi anche degli Eurostar”. Non capiamo bene a cosa i due professori si riferiscano: d’altra parte i prezzi dei servizi a mercato sono rimasti congelati dal 2001 al 2007, e hanno conosciuto un adeguamento solo negli ultimi due anni pur restando ancora molto al di sotto della media europea. Ci domandiamo: come potrebbero essere definiti le centinaia di migliaia di posti offerti a 33 euro per viaggiare tra Roma e Milano in 3 ore e mezza e di 35 euro tra Napoli e Milano? Non ci pare ingannevole definirlo un servizio “low cost”. Da quando è stata lanciata l’Alta Velocità i viaggiatori del segmento di gamma alta sono aumentati del 40%. Sono dati che rispondono da soli sull’apprezzamento dei nostri clienti.
L’articolo si chiude con una considerazione: “Care FS non avete davanti alcune regole chiare, …un sistema politico degno di questo nome e quindi fate quello che volete”. Quanto alle regole è quello che da tempo stiamo insistentemente chiedendo, anche pubblicamente. Sulle valutazioni dei due professori in merito alla  dignità sistema politico ovviamente non entriamo nel merito. Quanto al “fate quello che volete” è opportuno dire questo: FS vuole fortemente corrispondere alle attese dell’azionista e dei clienti, e i recenti innegabili risultati positivi vanno esattamente in questa direzione. Si tratta di successi, come quello dell’Alta velocità, riconosciuti anche a livello internazionale, e che hanno visto l’impegno di tutti i ferrovieri ma anche delle imprese italiane coinvolte.
Risalta il fatto che nell’articolo di tutto questo non ci sia traccia.
Lasciamo comunque che siano i nostri legali ad intraprendere ogni azione a tutela dell’immagine del Gruppo FS.

Vive cordialità

* Federico Fabretti
(Direttore Centrale Relazioni con i Media di Ferrovie dello Stato

LA REPLICA DI BOITANI E SCARPA A FS

Federico Fabretti ha deciso di inviare a lavoce.info la sua lunghissima replica a un breve articolo pubblicato quasi un mese fa. La stessa prolissa missiva era stata inviata anche a Finanza & Mercati (3 giugno), che il 19 maggio aveva ripreso l’articolo che tanto dispiace a Fabretti. Qui di seguito, i lettori potranno trovare la nostra risposta, già pubblicata su Finanza & Mercati del 5 giugno.
Omettiamo di rispondere “a tono” e con la stessa estensione per non annoiare i suoi lettori. Ci limitiamo a osservare che, poiché il presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, Catricalà (1), dice sostanzialmente quanto diciamo noi – anche se in modo assai più articolato, data la natura del documento della Autorità – immaginiamo ci troveremo querelati al suo fianco.
I dettagli si possono trovare nel documento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, disponibili sul sito della stessa Autorità. In realtà, su certe cose l’Antitrust è stata assai più pesante di noi, anche perché il nostro intento non era certo di scrivere un atto di accusa complessivo a FS, ma di lamentarne alcuni specifici aspetti della comunicazione. Comunicazione che – detto per inciso – abbiamo letto su una intera pagina dedicata su un noto foglio della free press nazionale, che a quanto ci consta vive dei contributi dei suoi inserzionisti; a noi non pare che questi quotidiani siano da annoverare tra i “i media istituzionali” del gruppo FS.
Sulle gare, l’Autorità antitrust dice che il provvedimento da noi stessi richiamato finisce per “sottrarre ad ogni confronto concorrenziale il settore, ben oltre la data limite del 31 dicembre 2010 prevista dalla riforma dei servizi pubblici locali, di fatto almeno fino al 2015 – se non al 2021”, che è esattamente quanto dicevamo noi. Le ragioni per le quali finora le gare sono state poco efficaci sono ampiamente spiegate nello stesso documento, nel quale si chiede poi che venga riveduta la recente normativa approvata dal Senato e ora in discussione alla Camera, perché minaccia di rendere di fatto impossibile l’adozione delle gare da parte delle regioni. Strano che FS – a suo dire tanto impegnata a favore del processo di liberalizzazione ferroviaria – non si lamenti pubblicamente per norme che, secondo l’antitrust, minacciano seriamente di far scomparire la già pallida concorrenza nel settore.
Quanto al denaro pubblico versato a FS, ci limitiamo a sottolineare come il documento dell’Antitrust lamenti che questo denaro pubblico viene pagato a FS a fronte di servizi mal (o mai) definiti, tanto che non si escludono sussidi incrociati (“il riconoscimento di corrispettivi a fronte di una mancata individuazione del confine fra l’ambito di mercato e quello del servizio universale … non esclude in linea di principio che Trenitalia possa trascinare parte dei sussidi a suo vantaggio nel mercato concorrenziale”). Allora, paghiamo questi soldi a FS come “contributi” o come “corrispettivi”? Come si vede, anche secondo l’antitrust il confine è assai labile. E comunque si tratta sempre di denaro pubblico che viene dato a FS, e dubitiamo che ai contribuenti italiani faccia una gran differenza che li si chiami “contributi” o che li si chiami “corrispettivi”. Tanto più che, in assenza di meccanismi competitivi di affidamento, nessuno sa se quei “corrispettivi” siano i minimi possibili, dato il servizio prestato. Allo stesso modo, la distinzione tra conferimenti di capitale e contributi in conto impianti (tanto cara al nostro interlocutore) è interessante dal punto di vista contabile (con evidenti riflessi sugli ammortamenti) ma poco cambia: è altro denaro pubblico che fluisce nelle casse di FS.
La cosa che veramente fatichiamo a capire è per quale ragione gli esponenti di FS si adombrino se qualcuno lo rileva. Non è colpa di FS se lo Stato e le regioni decidono di porre a carico dei contribuenti una parte del costo del servizio. È una decisione politica, non è di FS, e – detto per inciso – ci pare anche una decisione opportuna, che difendiamo. E che difenderemmo ancora di più se i soldi venissero dati, in modo trasparente, a chi ha vinto una gara realmente competitiva. Ma perché scrivere che FS non grava più sui contribuenti, se così non è?
Infine, sempre il documento dell’Autorità antitrust sottolinea ripetutamente come FS operi in un campo in cui le regole non sono bene definite, in cui non si capisce quale sia l’ambito del mercato e quello del servizio universale, e che – nelle more di tale definizione – tenga comportamenti che l’Autorità antitrust teme interferiscano con la concorrenza, danneggino i consumatori, coprano inefficienze. Ovvero, ci dice l’antitrust, abbiamo un pezzo dell’amministrazione pubblica (organizzato in forma di SpA controllata dallo Stato al 100%, e quindi da considerarsi un pezzo dell’amministrazione pubblica ai sensi di diverse Direttive Comunitarie) che opera senza chiare regole e senza che si sappia dove e se i soldi pubblici finanziano attività di servizio pubblico o attività “in concorrenza”. Difficile pensare a una definizione migliore di “Stato nello Stato”…
Il fatto che poi l’Autorità antitrust esprima anche timori che il comportamento di FS in realtà danneggi in vari modi la collettività aggiunge solo ulteriori preoccupazioni. Alla quale speriamo che FS vorrà rispondere con i fatti.
Per conto nostro, poiché FS è una impresa al 100% dello Stato e che gestisce miliardi di denaro pubblico, crediamo di avere il diritto, ma anche il dovere, di continuare a pretendere comportamenti e comunicazioni al pubblico che siano rispettose del denaro che i cittadini mettono in questa impresa.

(1) Segnalazione AS528 del 1 giugno 2009

 

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie per i commenti. Rispondo brevemente.

Alcuni lettori prendono come una provocazione la proposta di scontare le pene per chi "taglia" di più. A me sembra tutt’altro. Rifrasando la nostra proposta, si tratta di rendere le pene proporzionali alla quantità di droga pura spacciata, piuttosto che alla quantità di droga "presunta".
Mi sembra una politica naturale, se ciò che la legge persegue è il commercio di eroina e non il commercio di sostanze "di taglio". Ragionando per analogia, se io trovo un evasore fiscale non lo punisco per la totalità del suo reddito, ma solo per la porzione del suo reddito che non ha dichiarato.
E’ vero che la nostra proposta condurrebbe, crediamo, alla vendita di droga più diluita. Nella misura in cui le sostanze usate per diluire sono più tossiche della droga pura, il rischio per il consumatore è certamente da mettere sul piatto della bilancia. Ma, anche in questo caso, non ne segue automaticamente che la vendita di droga pura sia desiderabile. Infatti, si potrebbe sanzionare direttamente la tossicità delle sostanze di taglio, ciò che incentiverebbe i venditori a tagliare con sostanze innocue. Una modifica siffatta ridurrebbe, crediamo, l’impatto dell’obbiezione sollevata dai lettori.

Alcuni lettori propendono per la legalizzazione o liberalizzazione (uso questi due termini senza differenza). Su questo non ho molto da dire se non che raramente queste politiche sono considerate realistiche per le droghe "pesanti."

Grazie.

QUELLO CHE C’E’ DA SAPERE SUI REFERENDUM

A pochi giorni dal voto, la cortina di silenzio sui referendum è sempre fitta. E tra i non molti italiani che sanno della loro esistenza, regna la confusione sulle conseguenze che potrebbero produrre. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Il primo e secondo quesito aboliscono la possibilità di formare coalizioni per ottenere il premio di maggioranza. Ma un eventuale successo non cambierebbe di molto le cose rispetto alla legge elettorale attuale. Il terzo impedisce ai leader di presentarsi in più circoscrizioni. Un meccanismo indifendibile, ma praticato da tutti i partiti.

L’IMBIANCHINO DI SACCONI

Nel suo recente intervento alla riunione dei giovani industriali, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha invitato i giovani ad accettare anche i lavori più umili, come l’imbianchino, piuttosto che inseguire una formazione fatiscente, come le lauree in scienze della formazione. Se l’obiettivo fosse solo quello di riconoscere dignità anche all’imbianchino, o ai lavori manuali in generale, nulla da dire. Ma l’intervento racchiude anche un sottile messaggio ideologico, che ben si inserisce nell’offensiva culturale più generale portata avanti dall’attuale governo. È un’offensiva che tende a riproporre il “buon tempo antico” come la soluzione dei problemi italiani odierni, crisi globale inclusa, e che trova orecchie interessate in una parte della società italiana, come gli industriali. Che difatti, dicono i resoconti della stampa, si sono spellati le mani per applaudire il ministro.
Il messaggio è semplice. Basta con questi giovani che vogliono lavorare nella finanza o nell’industria culturale. Torniamo invece alla fabbrica e al duro lavoro nella manifattura, e tutto andrà come prima, come al tempo del mitico miracolo italiano. Insomma, come recitava una canzone, anch’essa dei bei tempi andati, il problema italiano è oggi più che mai che “anche l’operaio vuole il figlio dottore”. Facesse l’operaio, invece, saremmo a posto.
Ahimé, nulla di più falso. Intanto, la scuola e l’università italiana ripresentano imperterrite le disuguaglianze sociali pre-esistenti, invece di correggerle come dovrebbero. Il numero dei diplomati e laureati italiani poi è ancora nettamente inferiore alla media europea; e il divario di competenze degli studenti italiani rispetto alla media dei paesi sviluppati è, soprattutto in alcune zone del Paese, abissale. La bassa qualità del capitale umano italiano è al contempo causa ed effetto del circuito perverso di bassa produttività e bassi salari in cui l’Italia pare si sia adagiata negli ultimi anni. La terza media è probabilmente sufficiente se si tratta di operare un tornio o far girare una macchina. Non lo è se si devono produrre quei servizi a sostegno della moderna industria che ne rappresentano buona parte del valore aggiunto. A Sacconi e a chi l’applaude andrebbe ricordato che grazie ad alcune circostanze favorevoli si può diventare ricchi anche essendo ignoranti. È difficile però che si resti ricchi, se si rimane ignoranti, quando quelle condizioni mutano.

ALLE OLIMPIADI VINCE IL COMMERCIO

Perché i paesi di tutto il mondo si accapigliano per ospitare le Olimpiadi o altri grandi avvenimenti sportivi? I vantaggi economici sono raramente positivi e quelli non economici sono difficili da misurare. Esiste però un effetto-Olimpiade sul commercio: le esportazioni dei paesi candidati aumentano in modo consistente e duraturo. Ha ben poco a che vedere con la costruzione di nuove infrastrutture legate all’evento. Piuttosto, la candidatura ai giochi è un segnale politico, seppure costoso, collegato a un processo di liberalizzazione in corso.

COSA CI SARÀ DOPO LA CRISI

E’ la peggiore crisi dagli anni Trenta. Ma è utile guardare più lontano nel tempo, per capire le possibilità del nostro paese, che oltretutto ha beneficiato meno della crescita precedente. Aumenteranno disavanzi e debiti pubblici, in particolare nei paesi avanzati. Si ridurrà la domanda Usa ed è illusorio contare sulla Cina per riavviare un modello fondato sulle esportazioni. Servirebbero una politica fiscale sempre più europea e riforme strutturali. Difficili da realizzare. Ma l’alternativa è una progressiva emarginazione dell’Europa. E dell’Italia.

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