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Categoria: Sanità Pagina 31 di 37

E SULLA SANITÀ LE REGIONI BATTONO IL GOVERNO

Dopo forti tensioni, regioni e governo trovano l’accordo sulle risorse da destinare al Servizio sanitario nazionale: 106,2 miliardi, più 400 milioni per la non autosufficienza e 30 milioni per le politiche sociali. Si avvicina così la stesura definitiva del Piano per la salute dei prossimi tre anni. Tanto più che le regioni ne hanno già fissato gli obiettivi strategici, mostrando un’attenzione verso la sanità che si fatica a vedere nelle proposte del governo. Ma l’esecutivo ha ceduto anche sul commissariamento delle amministrazioni tenute al piano di rientro.

LA SANITÀ DI SACCONI

Da mesi le Regioni si rifiutano di partecipare alle varie Conferenze Stato-Regioni e cercano affannosamente, e finora senza successo, un incontro risolutore con il Presidente del Consiglio. Il principale tema del contendere è il finanziamento della sanità per il prossimo biennio, che le Regioni considerano del tutto insufficiente. E infatti gli studiosi si aspettano che tutte le Regioni, e non solo quelle più inefficienti, finiranno con i conti in rosso il prossimo anno. Si osservi inoltre che a causa del blocco delle addizionali Irpef e Irap decretato dal governo, le Regioni non possono più contare su strumenti tributari propri per far fronte alle emergenze, nonostante i continui annunci di federalismo fiscale. Eppure, il Ministro Sacconi ha detto pubblicamente, alla trasmissione Ballarò di martedì scorso, che la posizione delle Regioni è sbagliata perché il governo ha invece aumentato il finanziamento della sanità di ben 3,5 miliardi nel biennio, sfidando anche il pubblico a controllare le cifre. Che succede allora? Di che si lamentano i Presidenti delle Regioni? La tabella aiuta a fare chiarezza. Sacconi non mente sulle cifre del sistema sanitario, ma cita solo i dati che gli convengono, dimenticandone altri che viceversa sono più importanti. Come si osserva dalla tabella, è vero che il finanziamento di "base" – escludendo cioè manovre e ulteriori finanziamenti – cresce di 3,5 miliardi nel biennio; ma quello "effettivo", cioè quello che davvero importa per i bilanci delle regioni, cresce solo di 0,471 miliardi nel 2010 e di 2,1 miliardi nel 2011. La ragione è che nel 2010 vengono meno i 434 milioni destinati alla seconda tranche di finanziamento per l’abolizione dei ticket (ticket che formalmente rientrano nella sovranità delle Regioni, ma che l’ultimo governo di centro sinistra ha abolito, compensando in misura insufficiente le regioni, e che il governo di centro destra ha deciso di non compensare affatto) e gli 800 milioni di risparmi sulla spesa farmaceutica (il risultato di un’azione fortemente voluta dalle Regioni, le quali contavano di destinare le economie ai nuovi farmaci, in particolare oncologici) che verranno invece trattenuti e utilizzati dallo Stato. Difficile dunque dare ragione a Sacconi.

IL TEMPO DELL’EPIDEMIA MEDIATICA

La paura dell’epidemia è radicata nell’essere umano e prevale sulla comunicazione basata sull’evidenza e sugli elementi scientifici disponibili. Esempio eclatante quanto accaduto con l’influenza aviaria. Una storia che rischia di ripetersi con il virus H1N1, anche se nei paesi già colpiti la sua incidenza è stata bassissima. E se gli allarmi del passato hanno permesso l’avvio di reti di sorveglianza adeguate e la crescita della cultura della prevenzione, speriamo che in futuro diminuiscano i falsi allarmi e si possa comunicare il rischio reale senza provocare allarmismo.

QUESTO PATTO NON SCOPPIA DI SALUTE

Il Governo ha finalmente proposto alle Regioni il nuovo Patto per la salute per il 2010-2011. Il documento è un mero aggiornamento di quello del 2006 e non tiene conto della mutata situazione economico-sociale né della legge sul federalismo fiscale. Ci sono molti adempimenti che hanno l’obiettivo di tagliare la spesa pubblica. Ma manca una strategia di politica per la salute. E non si affrontano seriamente neanche i problemi di efficienza, a partire dalla spesa farmaceutica, responsabile di buona parte dei disavanzi delle Regioni con squilibri di bilancio.

QUANTO FA MALE IL MARKETING DELLA SALUTE

Check-up, screening e test diagnostici di massa su persone asintomatiche finiscono spesso col sovrastimare l’incidenza di morbilità inconsistenti. Mentre alcune condizioni sono elevate a dignità di malattia per poter far ricadere i costi dei trattamenti sui sistemi sanitari. Il successo di queste strategie è favorito dalla complessità, incertezza e asimmetria informativa generalizzata che caratterizzano il mercato della sanità. Ma non si può più ignorare la necessità di ri-orientare i comportamenti e le risorse dai consumi inutili ai trattamenti efficaci.

WELFARE SOCIO-SANITARIO: SE LO CONOSCI LO RIFORMI

Da vent’anni la riforma del welfare socio-sanitario italiano è costantemente al centro dell’attenzione. Ciò non significa, però, che si abbia una chiara rappresentazione del sistema. Se lo si analizza meglio, si scopre un quadro della spesa frammentato tra una molteplicità di attori, famiglie comprese, che gestiscono quote diverse di risorse. E’ arrivato il momento di decidere il livello di governo del settore, di offrire un’interfaccia unica agli utenti e di coordinare l’attività assistenziale direttamente acquistata dalle famiglie con quella pubblica.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie per i commenti. Rispondo brevemente.

Alcuni lettori prendono come una provocazione la proposta di scontare le pene per chi "taglia" di più. A me sembra tutt’altro. Rifrasando la nostra proposta, si tratta di rendere le pene proporzionali alla quantità di droga pura spacciata, piuttosto che alla quantità di droga "presunta".
Mi sembra una politica naturale, se ciò che la legge persegue è il commercio di eroina e non il commercio di sostanze "di taglio". Ragionando per analogia, se io trovo un evasore fiscale non lo punisco per la totalità del suo reddito, ma solo per la porzione del suo reddito che non ha dichiarato.
E’ vero che la nostra proposta condurrebbe, crediamo, alla vendita di droga più diluita. Nella misura in cui le sostanze usate per diluire sono più tossiche della droga pura, il rischio per il consumatore è certamente da mettere sul piatto della bilancia. Ma, anche in questo caso, non ne segue automaticamente che la vendita di droga pura sia desiderabile. Infatti, si potrebbe sanzionare direttamente la tossicità delle sostanze di taglio, ciò che incentiverebbe i venditori a tagliare con sostanze innocue. Una modifica siffatta ridurrebbe, crediamo, l’impatto dell’obbiezione sollevata dai lettori.

Alcuni lettori propendono per la legalizzazione o liberalizzazione (uso questi due termini senza differenza). Su questo non ho molto da dire se non che raramente queste politiche sono considerate realistiche per le droghe "pesanti."

Grazie.

UN AZZARDO MORALE NELLA LOTTA ALLA DROGA

Alla lotta al commercio di droga si dedicano molte risorse. Senza grandi risultati. Forse perché si parte da una concezione errata di quel mercato. La teoria economica suggerisce di far leva proprio sull’azzardo morale che lo mette a repentaglio, inducendo i venditori a diluire le sostanze. Lo si può fare attraverso una politica di riduzione di pena per chi vende dosi molto diluite. Si avrebbero effetti paragonabili a un aumento del prezzo della droga all’ingrosso. E diminuirebbe anche la popolazione carceraria. A costi quasi zero.

SE LA SANITA’ DIVENTA UN ESERCIZIO TEORICO

Prosegue la nostra analisi del Libro bianco sul futuro modello sociale. Nelle politiche sanitarie il documento descrive un sistema da cambiare integralmente, con l’unica eccezione del terzo settore. Un giudizio che disconosce il valore dell’universalità dell’assistenza sanitaria. E punta a un ridimensionamento del pubblico a favore del privato. Contiene anche alcune imprecisioni, forse frutto di una conoscenza aneddotica del sistema sanitario italiano. Quanto alla decantata centralità della persona, non si supera l’autoreferenzialità da addetti ai lavori.

UN ANNO DI GOVERNO: SANITÀ

 

I PROVVEDIMENTI

Le politiche sanitarie che hanno caratterizzato il primo anno di governo possono essere riassunte intorno a tre grandi temi: le risorse da destinare al sistema, la gestione delle situazioni di dissesto finanziario, la ri-definizione delle politiche per la salute all’interno del sistema di welfare.
Per quanto riguarda il primo tema, quello delle risorse, la definizione del Patto per la salute con il precedente governo (e, soprattutto, la definizione di piani di rientro per le Regioni in difficoltà che attribuivano chiare responsabilità agli amministratori regionali) aveva contribuito a stabilizzare la spesa. Con il nuovo governo questa politica di “concertazione istituzionale” viene in qualche modo abbandonata, nel segno di un rigore forse più enunciato che perseguito. Il Dl 112/08 con il quale si è anticipata la Finanziaria chiede infatti al Servizio sanitario nazionale sforzi di razionalizzazione non indifferenti, soprattutto nel biennio 2010-2011. Per il 2009, con il Dl 154/08 si sono trovati un po’ di soldi in più rispetto alle prime proposte attraverso l’utilizzo del Fondo per le aree sottosviluppate, ma ciò non muta l’intonazione generale della politica del governo votata al contenimento della spesa. I suggerimenti alle Regioni, resi espliciti in occasione delle discussioni sul nuovo Patto, sono i soliti: riduzione degli standard di posti letto, riduzione delle spese per il personale, introduzione di forme di compartecipazione alla spesa. Anche le risorse in conto capitale, sia quelle per l’edilizia ospedaliera sia quelle riservate al Mezzogiorno nell’ambito del Quadro strategico nazionale, si azzerano o procedono con tempi molto lunghi.
Per quanto riguarda il secondo tema, la gestione dei dissesti finanziari, concentrati in poche realtà regionali, in particolare Lazio, Campania e Sicilia, le decisioni del governo rispetto alle ipotesi iniziali di commissariamento si sono rivelate molto più accomodanti: si è scelta la strada di affidare ai governatori la possibilità di essere “commissari” di se stessi. Si è anche agitato lo spettro del “fallimento politico”, cioè la possibilità di tornare alle urne in caso di dissesto; ma non si è mai passati dalle parole ai fatti.
Infine, per quanto riguarda il terzo tema, già a partire dalla scomparsa del ministero per la Salute, si è voluta tracciare una rotta di lungo periodo per ri-definire le politiche per la salute nell’ambito del Welfare. Il tema è stato affrontato attraverso il Libro verde prima e il recentissimo Libro bianco poi. La tendenza individuata è una ancora più marcata de-ospedalizzazione, un miglioramento dei servizi territoriali, una più forte integrazione con le politiche assistenziali, la massima attenzione all’efficienza nell’impiego delle risorse. Un concetto, questo, ribadito anche dal richiamo ai costi standard nel Dl sul federalismo appena approvato. Principi in gran parte condivisibili, ma rispetto ai quali il governo non ha ancora prodotto risultati apprezzabili.

GLI EFFETTI

Riusciranno le Regioni, in particolare quelle in grave disavanzo, a rispettare i vincoli finanziari imposti dal governo centrale? Le prospettive non sono confortanti. La storia insegna che il governo della spesa dipende sia dalla qualità delle amministrazioni regionali sia dalle aspettative delle stesse circa l’intervento ex-post dello Stato in caso di crisi finanziaria. Ma la qualità delle amministrazioni migliora troppo lentamente e le aspettative di ripiano a favore delle Regioni “canaglia” sono in qualche misura sostenute dallo stesso governo centrale. Da questo punto di vista, il commissariamento di se stessi, pur in presenza di un “affiancamento” da parte del governo centrale, non va nella direzione giusta: è lo spettro della perdita di sovranità la “punizione” che potrebbe fornire gli incentivi giusti per una buona gestione. E perdita di sovranità vuol dire “restituzione” della stessa al governo centrale, e adozione da parte di quest’ultimo di quei provvedimenti, impopolari, che le Regioni non sono in grado di adottare.
La ri-definizione delle politiche per la salute nell’ambito generale del Welfare appare una buona idea, che potenzialmente potrebbe portare a un ripensamento dell’intera struttura dell’intervento pubblico in campo sociale. Che non vuol dire però tagliare i posti letto, ma pensare a un nuovo Stato sociale che riesca finalmente a garantire a tutti i cittadini l’eguaglianza delle opportunità, la traduzione “tecnica” dei livelli essenziali delle prestazioni prevista dalla Costituzione.

OCCASIONI MANCATE

Da un governo che può contare su una larga maggioranza ci si sarebbe potuti aspettare meno incertezze, anche perché alcuni elementi di contesto richiedono e addirittura favoriscono azioni energiche.
L’accorpamento in un unico ministero di Sanità e Politiche sociali avrebbe (almeno) potuto favorire il rilancio delle politiche per la non autosufficienza, per le quali l’integrazione fra sociale e sanitario è fondamentale. Al contrario, l’Italia continua a restare agli ultimi posti in Europa per l’assistenza agli anziani, puntando esclusivamente sulle pensioni. L’impegno sulla non autosufficienza avrebbe potuto essere inserito in quel ridisegno delle politiche sociali di cui il Paese ha da tempo bisogno, a maggior ragione in tempo di crisi. E le esperienze delle Regioni più avanzate indicano ormai in modo chiaro come procedere.
Un altro aspetto completamente trascurato è quello dell’appropriatezza: esiste ormai ampia evidenza che una maggiore attenzione all’appropriatezza e alla sobrietà d’esercizio produce effetti positivi sulla qualità dei servizi e sulle dimensioni della spesa. Un governo che fa della lotta agli sprechi la propria bandiera deve promuovere il buon uso dei servizi sanitari (a partire dal pronto soccorso), dei farmaci (in particolare dei generici), degli esami di laboratorio (procedendo nelle politiche già avviate dal precedente governo di accentramento dei laboratori e nella diffusione dei punti prelievo), della diagnostica per immagini (razionalizzando l’offerta), nella revisione di alcune tariffe, e così via.
Sul fronte degli investimenti, il governo è ancora in tempo per non perdere l’occasione per metter mano al problema della sicurezza delle strutture sanitarie, soprattutto nelle Regioni più arretrate. I piani di rientro non possono limitarsi alla gestione corrente; investimenti sbagliati o fondi inutilizzati devono far scattare interventi sostitutivi, per evitare che l’incapacità delle amministrazioni regionali si scarichi sulla testa dei cittadini.

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