Il calo del numero di scuole paritarie in Italia non è dovuto a una diminuzione delle risorse statali destinate al settore. Conta invece il posizionamento del privato ai due estremi nella distribuzione degli studenti per livelli di abilità degli studenti.
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Come reagire ai cambiamenti determinati nel lavoro dalle nuove tecnologie? La formazione teorica non basta più. Occorre invece “imparare facendo”, attraverso il coinvolgimento di università, imprese e governo. E lo strumento è il dottorato industriale.
L’uso improprio dei ranking di scuole e università porta alla polarizzazione delle opportunità educative. Col tempo genera diseguaglianze tra gruppi sociali e tra territori. Un rischio che il nostro paese, già alle prese con tanti divari, non può correre.
Un test chiedeva a 254 studenti universitari di collocare alcuni importanti eventi storici lungo la linea del tempo. I risultati sono deludenti. Eppure, la storia viene insegnata in tutti i tipi di scuola per 13 anni. Forse, è tempo di cambiare metodo.
In Italia arrivano immigrati con competenze limitate. Il fenomeno ha conseguenze sulle scelte formative degli italiani. Perché con la polarizzazione delle retribuzioni, i lavori intermedi perdono importanza. Così cresce l’abbandono precoce della scuola.
In tutta Europa, gli studenti con basso rendimento si concentrano nelle famiglie in condizioni più svantaggiate. Anche perché quelle benestanti investono molto nell’educazione dei figli. Tocca alla politica riparare questa forma di disuguaglianza.
L’alternanza scuola-lavoro è in generale una buona idea. Ma quella prevista dalla Buona scuola funziona? Qualche indicazione si potrebbe ricavare dalla valutazione dei risultati della precedente esperienza introdotta nel 2005. Però mancano i dati.
Il governo ha promesso di aumentare i fondi destinati agli istituti tecnici superiori. Una promessa da mantenere perché gli Its, con alternanza scuola-lavoro e apprendistato, sono i tasselli di un sistema d’istruzione adeguato al lavoro del futuro.
L’Italia ha la metà dei laureati rispetto alla media degli altri paesi Ocse. E quei pochi hanno salari bassi. Un risultato dovuto alla preferenza per le facoltà umanistiche. Ma anche ai tagli a risorse e docenti registrati nell’università italiana.