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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 39 di 70

Valutare i professori, non gli atenei

I finanziamenti alle università saranno assegnati sempre più sulla base degli esercizi di valutazione. Che però continuano a considerare gli atenei nel loro complesso e non riescono dunque a raggiungere gli obiettivi di una allocazione efficiente delle risorse e dell’incremento di produttività. La soluzione passa inevitabilmente attraverso la valutazione individuale dei docenti, in modo da legare una parte della retribuzione al merito. Solo così si possono disincentivare i comportamenti opportunistici di chi antepone l’utilità personale a quella pubblica e premiare i migliori.

Gli indici che conquistano le scienze aziendali

Nei prossimi mesi l’Anvur sarà impegnata a valutare la produzione scientifica delle università italiane sulla base di criteri sempre più fondati sui cosiddetti indici bibliometrici. Scienze aziendali è una delle discipline nelle quali finora prevalevano le pubblicazioni su riviste nazionali e quelle in forma monografica. Ma qualcosa è cambiato e sono in costante crescita la qualità e il numero di articoli pubblicati a livello internazionale dai docenti che a quelle classi di concorso fanno riferimento.

Università: la bolla del 3+2

Le slides della presentazione che il professor Checchi ha tenuto in occasione del Convegno del 4 luglio, nel giorno del decennale de Lavoce.info. Scarica l’allegato in pdf.

Il senso delle prove

Lettera da una professoressa sull’Invalsi

Pur riconoscendo l’importanza di rendere quanto più possibile omogenee le competenze dei ragazzi italiani, molti docenti si interrogano su alcune questioni legate alle prove Invalsi nel contesto dell’esame di terza media. Soprattutto in considerazione dell’attività concreta che si svolge nelle scuole e che porta gli insegnanti a non considerare soltanto l’intelligenza logica degli alunni. La risposta dei vertici dell’Istituto di valutazione sottolinea i vantaggi che la prova Invalsi offre, in particolare nell’indispensabile opera di autovalutazione delle scuole.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per l’’interesse dimostrato nei confronti del nostro articolo e per la possibilità che ci offrono di chiarire alcuni punti che per forza di cose in un articolo breve non possono essere affrontati appieno.

QUANDO IL DOCENTE È BELLO SEMBRA ANCHE PIÙ BRAVO

Un’analisi delle valutazioni sui corsi universitari espresse da studenti dell’università della Calabria nel corso di sette anni mostra che, a parità di caratteristiche del corso e del docente, un professore considerato più attraente ottiene un giudizio sulla didattica nettamente migliore, con un effetto più marcato per le donne. Il risultato fa sorgere qualche dubbio sull’efficacia degli strumenti oggi utilizzati nella valutazione della didattica, soprattutto alla luce del ruolo che le viene assegnato dalla legge Gelmini nel ridisegno del sistema universitario.

IL RISCHIO DI LAUREARSI IN RITARDO

Laurearsi con oltre tre anni di ritardo raddoppia il rischio medio di svolgere un lavoro che non richiede la laurea e comporta una retribuzione salariale di circa il 17 per cento inferiore a quella di chi ha completato il corso nei tempi previsti. Perché gli anni persi all’università non accrescono la dotazione di capitale umano. Per attenuare il fenomeno dei fuoricorso, si potrebbero modificare alcune regole sugli esami universitari. E il sistema di apprendistato potrebbe essere utilizzato per promuovere la formazione professionale dei laureati sul posto di lavoro

 

In Italia, la percentuale di studenti che si laurea oltre la durata legale prevista è altissima: i fuoricorso rappresentano una quota pari almeno al 40 per cento degli studenti iscritti e oltre il 50 per cento dei laureati.
Al fenomeno sono associate alcune conseguenze economiche che meritano una riflessone, quali il rischio di subire penalità salariali e di essere maggiormente overeducated – ovvero di svolgere un’ttività lavorativa per la quale il titolo conseguito non è necessario e di ricevere indirettamente una penalità salariale aggiuntiva.
Il motivo per cui il ritardo nel conseguire la laurea faciliterebbe l’overeducation è duplice: da un lato, potrebbe causare un depauperamento del capitale umano acquisito; dall’altro, potrebbe essere percepito dal datore di lavoro come un segnale di scarsa motivazione, capacità e produttività e pertanto utilizzato come strumento di selezione negativa per discriminare fra i vari candidati.

IPOTESI TEORICHE E RISULTATI EMPIRICI

In uno studio che abbiamo condotto su un campione di laureati appartenenti a ogni classe di età, estratto dai dati Isfol-Plus, sono stati analizzati i due effetti salariali (diretto e indiretto) del ritardo alla laurea. (1)
Vi sono due spiegazioni plausibili riguardo agli effetti del ritardo alla laurea sull’overeducation e sui salari che, seguendo un approccio proposto per la prima volta da Wim Groot e Hessel Oosterbeek (1994), sono state testate l’una contro l’altra: a) la teoria del capitale umano;
b) l’ipotesi di selezione (screening hypothesis). (2) Se dovesse prevalere il modello del capitale umano, il ritardo alla laurea dovrebbe contestualmente ridurre o avere effetti nulli sulla probabilità di essere overeducated e accrescere i salari individuali perché gli anni spesi in più per il conseguimento del titolo dovrebbero determinare un aumento complessivo della dotazione individuale di conoscenze acquisite. Nel contesto dell’ipotesi di selezione, invece, il ritardo comporterebbe sia un rischio maggiore di svolgere un lavoro per il quale la laurea non è richiesta, sia una penalità salariale, perché il ritardo segnalerebbe una minore produttività e preparazione di questi individui.
L’esercizio empirico risulta essere in linea con i risultati attesi dall’ipotesi di selezione. Gli anni di ritardo, infatti, aumentano la probabilità di essere overeducated e nel contempo determinano salari più bassi. In particolare, l’effetto dell’essersi laureato con oltre tre anni di ritardo raddoppia il rischio medio di svolgere un lavoro che non richieda la laurea e comporta una retribuzione salariale  di circa il 17 per cento inferiore a quella di coloro che hanno completato gli studi universitari nei termini previsti.

È interessante notare che, sebbene concettualmente simili, gli anni relativi alle bocciature a scuola sembrano invece confermare l’ipotesi opposta: quella del capitale umano. Ciò suggerisce che ripetere un anno a scuola porta a un miglioramento della preparazione acquisita in quanto in questo caso lo studente deve necessariamente impegnarsi di più per essere ammesso all’anno successivo.

UN FENOMENO DA COMBATTERE

Il ritardo alla laurea è un fenomeno assai comune fra i laureati italiani e persistente nel tempo, l’esistenza di una penalità salariale associata al fuoricorsismo può dunque contribuire alle spiegazioni esistenti dei bassi rendimenti dell’istruzione tipici dell’Italia , arricchendo in particolare quelle dal lato dell’offerta. (3) In altri termini, secondo questa interpretazione, i bassi rendimenti dell’istruzione terziaria sarebbero in parte una conseguenza della sua bassa qualità e dell’inefficienza del sistema di istruzione nel generare un’offerta di capitale umano nella quantità e qualità che sia effettivamente richiesta dal mercato del lavoro. Ciò fa sì che il mercato remuneri meno di quanto potrebbe questo capitale umano.
I nostri risultati possono servire da monito anche per quei paesi, come gli Stati Uniti e i paesi del Nord  Europa, dove il ritardo alla laurea sta divenendo un fenomeno sempre più diffuso.
Rimuovere le cause del ritardo alla laurea potrebbe contribuire a: a) ridurre la quota di overeducation; b) aumentare i rendimenti medi dell’istruzione terziaria e, pertanto, accrescere l’incentivo a investire in accumulazione di capitale umano; c) ridurre gli sprechi di risorse causati da questi fenomeni e l’inefficienza del sistema di istruzione terziario.

NUOVE REGOLE PER GLI ESAMI

I risultati suggeriscono che gli anni persi all’università sono sostanzialmente inefficienti, in quanto non accrescono la dotazione di capitale umano né tantomeno le performance nel mercato del lavoro. La ragione risiede probabilmente nel fatto che quando si ritarda la laurea (e non perché si stia svolgendo in contemporanea un’attività lavorativa), non c’è alcuna garanzia che quegli anni siano stati spesi studiando e approfondendo ulteriormente i concetti relativi alle varie discipline oggetto del corso di studi prescelto, ovvero aumentando il proprio capitale umano. In effetti, solo alcuni studenti interpretano l’opportunità di poter sostenere di nuovo l’esame come uno stimolo per migliorare la propria conoscenza, mentre la gran parte cerca di superarlo anche quando presenta ancora marcate lacune nella preparazione, semplicemente perché si attende che i professori li promuovano dopo averli riprovati già un certo numero di volte.
Tutto ciò suggerisce che la rimozione o almeno una riduzione significativa dei fuoricorso consentirebbe un miglioramento per tutti, sia all’interno del sistema universitario sia nel mercato del lavoro. Proviamo a suggerire alcune regole che potrebbero ridurre il fenomeno del fuoricorsismo senza alterare la qualità della formazione universitaria: a) stabilire un limite al numero di volte in cui si può sostenere un esame; b) calibrare il programma degli esami in base a oggettive considerazioni in merito alla possibilità dello studente di poterlo preparare nei termini previsti; c) dare la possibilità al docente di assegnare un pass, ovvero un voto inferiore alla sufficienza in caso di bocciature ripetute; d) consentire la bocciatura dell’intero percorso (e quindi impedire di laurearsi) se la media dei voti finale non raggiunge la sufficienza oppure se c’è un numero troppo alto di pass.
Una volta che lo studente si è ormai laureato fuoricorso, si dovrebbe poi cercare di facilitare il matching nel mercato del lavoro, limitando almeno in parte il rischio di essere overeducated. Ad esempio, corsi di formazione professionale sul posto di lavoro potrebbero consentire ai giovani laureati di accrescere il loro capitale umano grazie all’esperienza lavorativa. E il sistema di apprendistato potrebbe essere utilizzato in questa direzione.

(1) Aina, C. e F. Pastore, 2012, “Delayed Graduation and Overeducation: A Test of the Human Capital Model versus the Screening Hypothesis”, IZA discussion paper, n° 6413. Si può scaricare al sito: http://ftp.iza.org/dp6413.pdf. Il campione utilizzato non include gli individui che svolgevano una qualsiasi attività lavorativa durante il percorso di studi universitari.
(2) Groot, W. and H. Oosterbeek (1994), “Earnings Effects of Different Components of Schooling; Human Capital versus Screening”, The Review of Economics and Statistics, 76 (2): 317.321.
(3) Per una rassegna della letteratura sui rendimenti dell’istruzione, si vedano Giorgio Brunello, Simona Comi e Claudio Lucifora, 2001 e, più di recente, Naticchioni, Ricci e Rustichelli (https://www.lavoce.info/articoli/pagina1000709-351.html)

ECCO PERCHÉ C’È CHI BARA NEI TEST INVALSI

Le prove Invalsi sono in alcune aree inaffidabili perché i risultati derivano da comportamenti scorretti. Se nella scuola primaria sono spesso gli insegnanti a dare una mano ai loro allievi, alle medie sono gli studenti che cercano di copiare le risposte dai loro compagni. In entrambi i casi si tratta di fenomeni di compensazione. Si bara di più nelle scuole con una situazione meno privilegiata o dove si registrano più difficoltà nell’apprendimento della disciplina. Una soluzione potrebbe essere quella di adottare un modello di valutazione basato sul progresso cognitivo.

A CHI CONVIENE BARARE AI TEST INVALSI? *

Le prove Invalsi su base universale servono in primo luogo a dare a tutte le singole scuole uno specchio sulla propria specifica situazione. Ecco perché chi “imbroglia” fa del male innanzitutto a se stesso. Quest’anno l’Istituto non restituirà le prove nelle situazioni dove i dati non risultino affidabili e cercherà di migliorare la conduzione e i controlli sull’espletamento delle prove. Ma più che in un’attività di repressione, l’Invalsi si impegnerà a favorire una maggiore informazione e un più trasparente dibattito sul contenuto e sulle finalità del test.

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