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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 62 di 70

Un’università allo stremo

E’ coralmente accettato che l’Università italiana è allo stremo. Al di là di sporadiche voci a difesa dettate da interessi di bottega, gli osservatori indipendenti – a cominciare dal Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi – concordano sul decadimento della nostra accademia. Nelle graduatorie internazionali non vi è traccia delle università italiane: scomparse. Non ve ne è alcuna tra le principali dieci al mondo; ma neanche tra le principali dieci in Europa

Quale ministro per l’Università

Nel lungo periodo, l’università e la ricerca sono fondamentali per la crescita del paese, ma negli ultimi decenni hanno conosciuto un inesorabile declino. L’Italia ha bisogno dunque di un taglio netto con il passato, e di un ministro competente e aperto alle migliori esperienze internazionali. Deve essere capace di modificare la struttura degli incentivi, in modo da premiare chi produce ricerca di alto livello. E di abbandonare la retorica dell’università gratuita. Tutte qualità che difficilmente si trovano in un ministro scelto con il manuale Cencelli.

Un Iit impegnativo

Per fare il punto sull’attività e gli obiettivi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, lo scorso 28 aprile abbiamo sottoposto ai vertici dell’Istituto una scheda di sintesi degli impegni presi nel corso degli ultimi due anni. Ospitiamo oggi l’intervento di replica del Presidente
dell’IIT Vittorio Grilli; altre notizie sono disponibili sul sito www.iit.it  nei due comunicati stampa del 3 e del 9 maggio

SE UN ALIENO ATTERRASSE SULL’ACCADEMIA ITALIANA

Una seria riforma dell’università assegnerebbe allo Stato solo un ruolo di indirizzo e di regolazione degli strumenti per l’accertamento dei requisiti necessari per entrare nel mondo del lavoro. Lo stanziamento di fondi adeguati per la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo, dovrebbe essere seguito da una verifica dei risultati ottenuti. Abolito il valore legale del titolo, andrebbe favorita la concorrenza fra atenei così come la collaborazione con il mondo industriale. Ma per fare tutto questo serve, forse, un marziano.

Perché il dibattito politico prescinde dai dati

La ricerca empirica italiana fatica a raggiungere gli standard internazionali. Sono lacune che dovrebbero preoccupare perché l’assenza di un’informazione statistica adeguata spinge il dibattito politico ed economico nel nostro paese verso un inutile confronto ideologico. Anche su questioni per le quali i dati, e non le posizioni di principio, dovrebbero aiutare a trovare le risposte. Basta guardare alle discussioni sulle riforme che di recente hanno interessato la scuola e il mercato del lavoro. Alcune ipotesi sul perché di questa situazione.

La scuola e l’università dei programmi elettorali

Il programma della Casa delle libertà tratta il tema dell’istruzione con superficialità. L’unico riferimento di spesa è un probabile rifinanziamento del buono scuola della Finanziaria 2005. L’Unione porta a sedici anni l’obbligo scolastico e attribuisce al potenziamento dell’istruzione e della formazione compiti vari: dal rafforzamento del potenziale di competitività del paese, al miglioramento dell’inclusione sociale, allo sviluppo del Mezzogiorno. Ma accredita la discutibile tesi che i mali del sistema universitario italiano siano dovuti alla mancanza di fondi.

Il liceo, un’ottima scelta

L’istruzione tecnica non corrisponde più ai nuovi modelli organizzativi delle imprese, perché destinata a formare figure professionali rigide. Oggi, invece, si richiedono lavoratori che abbiano maggiore flessibilità e autonomia, qualità acquisibili soltanto attraverso un’educazione di tipo liceale. Non a caso, gli Stati Uniti, dove la diffusione contestuale dell’Ict e delle pratiche di lavoro flessibili ha consentito significativi incrementi di produttività e occupazione, privilegiano i sussidi all’educazione generalista. Al contrario di Germania e Italia.

Il campionato accademico

In Gran Bretagna ci si prepara al Research Assessment Exercise del 2008, il quinto della serie. Un sistema ormai collaudato e condiviso che assegna le risorse alle università in base al punteggio ottenuto nella valutazione. L’Italia ha cominciato nel complesso bene. Si tratta ora di continuare, seguendo i principi che spiegano il successo del sistema inglese, pur considerando alcune differenze importanti. In particolare, va ampliata la base dei ricercatori sui quali si effettua la valutazione. E gradualmente deve crescere la dipendenza tra risorse e performance.

Una valutazione positiva

Si è concluso il primo ciclo di valutazione della ricerca. L’elevata qualità dei panel, la trasparenza delle decisioni e del metodo di valutazione rappresentano una novità importante e positiva per le università e gli enti di ricerca. In futuro, si potrà migliorare l’efficacia del processo accelerando i tempi e chiarendo in anticipo le conseguenze che la valutazione avrà sulla ripartizione delle risorse. Solo così si può sperare che orienti le scelte del corpo accademico, migliori la qualità della ricerca e stimoli la concorrenza tra università.

Un passo nella giusta direzione

E’ un fatto positivo che la valutazione della ricerca nelle università italiane abbia avuto luogo e che le linee guida si riferissero a standard di eccellenza internazionali. Il suo limite principale è la mancanza di un chiaro legame con la riallocazione di risorse finanziarie a favore delle università migliori. Perché se il punteggio basso di un ateneo può contribuire a dare più voce ai ricercatori di qualità, certamente un incentivo economico sarebbe stato più potente. Considerazioni analoghe si applicano anche a chi sta in cima alla classifica.

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