La transizione demografica si è trasformata in crisi, in Italia, dal 1984. Invecchiate anche le “generazioni abbondanti”, abbiamo pochi potenziali genitori e pochi potenziali lavoratori. Per uscirne, ci sono due strategie, da attuare contemporaneamente.
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Una maggiore incertezza sulle prospettive occupazionali si traduce in un minor numero di figli. Lo mostra uno studio sugli effetti del Jobs act sulle decisioni di fertilità delle lavoratrici. È un campanello d’allarme per un paese dalla bassa natalità.
Il governo prepara un decreto per restringere ancora il riconoscimento del diritto d’asilo. Avrà ben pochi effetti. E in ogni caso, l’Italia ha interesse all’arrivo di migranti, perché li richiede il mercato del lavoro e per motivi demografici.
Promuovere l’accesso ai servizi per l’infanzia è una buona ricetta per sostenere la fecondità e l’occupazione femminile. Ma non deve essere solo una misura contro la povertà, bensì un autentico sostegno alla natalità e alla crescita solida del paese.
Il declino demografico non è solo una questione di calo della popolazione. È soprattutto un problema di squilibri tra generazioni, con implicazioni sociali ed economiche. Favorire la ripresa delle nascite non basta. Per salvaguardare il nostro benessere futuro, è necessario agire in tre direzioni.