Le persone che lavorano per le famiglie, per lo più stranieri, sono di gran lunga il gruppo più importante di occupati non regolari. Tra gli impegni del Pnrr c’è la riduzione del lavoro irregolare. Gli interventi per farlo vanno disegnati con attenzione.
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I percettori di ristori sono un milione in più di coloro che nelle stime di Contabilità sono considerati lavoratori indipendenti e due milioni in più di coloro che si dichiarano tali nelle indagini Istat sulle forze di lavoro. Ma non c’è truffa né errore.
I numeri sugli occupati in quattro settori chiave come istruzione, sanità, servizi sociali e pubblica amministrazione sono impietosi: l’Italia è al penultimo posto in Europa. Per adeguarsi alla media europea servirebbero 2 milioni di lavoratori in più.
Dal punto di vista dei numeri, la diffusione del lavoro nero non è poi molto diversa tra Nord e Sud. Ma nel Mezzogiorno è probabile che i lavoratori irregolari siano i soli occupati in famiglia, mentre non è così nelle regioni settentrionali.
Le differenze territoriali del mercato del lavoro si sono accentuate dopo la grande recessione. Non solo al Sud l’occupazione è più scarsa rispetto al Nord, ma è anche meno intensa in termini di ore lavorate. Ed è sempre meno stabile e sempre meno qualificata.
Nel terzo trimestre 2019 gli occupati hanno superato, seppur di poco, il livello del 2008. Ma le ore lavorate e le unità di lavoro non seguono lo stesso andamento. Perché c’è stata una forte diffusione del part-time, subìto e non scelto dai lavoratori.
Le figure più tradizionali dell’occupazione indipendente sono in costante diminuzione. Sono i negozianti e gli artigiani messi fuori mercato dalla concorrenza o alle prese con difficili passaggi generazionali. Aumentano invece i liberi professionisti.
L’occupazione torna a crescere in Italia. Ma non sale il livello di qualificazione professionale. Le cause? Le ridotte dimensioni delle imprese, certo. Ma anche la scarsa domanda di lavoro da parte di tre settori chiave, dove prevale il pubblico.
Nel Def 2017 sono stati inseriti per la prima volta indicatori di benessere equo e sostenibile. Tra questi, c’è il tasso di mancata partecipazione al lavoro. Restituisce meglio lo stato attuale del nostro mercato del lavoro: negativo, ma in miglioramento.