La storia di un complotto francese per costringere il nord Italia a svendere le sue aziende e ridurre il sud Italia a una tendopoli. E del perché questa e tante altre teorie del complotto sono fattualmente e perfino contabilmente sbagliate.
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Si torna a parlare di spread. I tassi dei titoli di stato di Italia, Spagna e Francia aumentano rispetto a quelli della Germania – che anzi si riducono – in un clima politico che si fa sempre più rovente con l’avvicinarsi di importanti appuntamenti elettorali. In particolare, le dichiarazioni di Marine Le Pen in occasione dell’apertura della sua corsa alla presidenza hanno dato uno scossone ai mercati dei titoli sovrani. Che non sembrano aver particolarmente apprezzato le ipotesi di uscita della Francia dall’Unione Europea – e quindi dall’euro – e dalla Nato prospettate dalla candidata del Front National. Lo spread francese è sostanzialmente raddoppiato rispetto ai valori registrati nello scorso autunno.
E l’Italia paga il fatto di essere considerato l’anello debole. Il differenziale Btp-Bund ha toccato la quota dei 200 punti base, livello che non si registrava da circa tre anni. Rimaniamo osservati speciali, dunque, in un contesto che si conferma di incertezza per i conti pubblici, oggetto di continue trattative tra il governo e la Commissione europea.
Anche la Spagna ha accusato un rialzo dei tassi nelle ultime settimane, praticamente parallelo a quello italiano. Il paese, però, non sembrerebbe essere su un trend negativo, forse aiutato dai dati sulla crescita economica sopra la media europea. Si noti che è da metà giugno – ossia dal mese della Brexit e delle elezioni in Spagna – che lo spread italiano è più elevato di quello spagnolo.
In conclusione, i mercati scontano un clima di incertezza politica non indifferente, che spinge gli operatori a rifugiarsi in posizioni più sicure, come i Bund tedeschi, e ad alleggerirsi di attività più rischiose. Il risultato è il ritorno dello spread in salita.
Il grafico mostra lo spread tra Btp e Bonos, ossia il differenziale tra il rendimento dei titoli di stato italiani e quello dei titoli spagnoli e rappresenta una misura della fiducia relativa degli investitori internazionali nei due paesi presi in considerazione, spesso accomunati dai mercati per il loro rischio di insolvenza.
Fonte: dati Bloomberg
Il grafico – relativo al 2016 – mostra che i italiani erano percepiti come meno rischiosi rispetto a quelli spagnoli durante il primo semestre 2016. La relazione si è invertita nella seconda metà dell’anno. Il differenziale di rendimento tra Btp e Bonos ha cominciato ad assottigliarsi dal mese di aprile. Lo spread Btp-Bonos è diventato positivo nei giorni compresi tra il referendum britannico del 23 giugno e le elezioni spagnole del 26 giugno. Sono tante le ragioni che possono spiegare questa inversione di tendenza. Sul lato italiano a pesare su un aumento dello spread c’è l’incertezza politica in vista del referendum, i dubbi sulla credibilità del risanamento dei conti pubblici italiani e la potenziale inefficacia dei piani di ricapitalizzazione proposti per alcune grandi banche italiane. Sul fronte spagnolo c’è il presumibile assestamento della situazione politica con la creazione del nuovo governo Rajoy con l’astensione del partito socialista. Distinguere quali fattori siano più importanti richiederebbe analisi più dettagliate.
(A cura di Matteo Laffi)
Dal 1991 gli omicidi nel nostro paese sono diminuiti in maniera costante. Diverso l’andamento dei reati contro il patrimonio. Con le rapine nelle abitazioni più che raddoppiate nell’ultimo decennio. La paura dei cittadini dipende dalla gravità, ma anche dalla probabilità che un reato si verifichi.
Diminuiscono gli omicidi, in Italia e negli altri paesi occidentali. Una buona notizia, ma basta per dire che siamo tutti più sicuri? Anche altri reati minano il senso di sicurezza dei cittadini. Per alcuni la situazione è migliorata rispetto agli anni Novanta, ma non rispetto a periodi più lunghi.
Il numero di omicidi commessi nel nostro paese scende costantemente da 24 anni. Un cambiamento importante che dovrebbe rimettere in discussione idee molto diffuse sulla violenza nella società italiana, l’influenza della lunga crisi economica e il divario Nord-Sud. L’affermazione dello Stato.
L’economia italiana continua a crescere, ma senza mettere il turbo. Se continua così, la crescita 2016 rimarrà al di sotto dell’1 per cento. Rispetto alle riprese del passato a partire dal 1999 mancano il traino delle esportazioni e degli investimenti.
Per Italia e Grecia che faticano a uscire dalla recessione servono politiche macroeconomiche innovative. E le aspettative di inflazione fanno salire il consumo di beni durevoli. La soluzione nell’annuncio di un aumento dell’Iva controbilanciato da una pari riduzione della tassazione sul reddito.
Stima del Pil potenziale: metodo e buon senso
Di Petya Garalova e Carlo Milani
il 14/11/2014
in Commenti e repliche
Il recente contributo di Carlo Cottarelli, Federico Giammusso e Carmine Porello ha riacceso il confronto sui metodi di stima del prodotto potenziale e sui riflessi sulla finanza pubblica nel calcolo dei saldi aggiustati per il ciclo. In particolare, la critica ai metodi adottati dalla Commissione europea si concentrata sulla stima del Nawru, ovvero del tasso di disoccupazione di lungo periodo compatibile con una dinamica stabile del livello dei prezzi (o, meglio, dei salari unitari). Come abbiamo evidenziato in un nostro precedente intervento, la stima del Nawru per l’Italia e per gli altri paesi periferici risente troppo del livello corrente della disoccupazione. In altri termini, utilizzando un filtro statistico abbastanza complesso (Kalman filter), che sottende però delle scelte arbitrarie su alcuni parametri fondamentali, si tende a considerare come strutturale buona parte della disoccupazione osservata in Italia, Spagna, Grecia e Portogallo.
LA POSIZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA
Kieran Mc Morrow e Werner Roeger, economisti del Directorate-general for economic and financial affairs (Dg Ecfin) della Commissione europea, hanno difeso questo risultato sostenendo che “il Nawru può aumentare anche se le istituzioni del mercato del lavoro rimangono invariate a causa della loro scarsa flessibilità implicita all’aggiustamento (rigidità dei salari reali e nominali)”. Con questa affermazione, in realtà, si conferma però che il Nawru stimato dalla Commissione è distorto nel breve periodo. Essendo il Nawru una grandezza di lungo termine non dovrebbe infatti risentire della rigidità (di breve termine) dei salari. Questo punto è ben messo in evidenza da uno studio condotto dalla stessa Commissione, e sempre dalla Dg Ecfin (Labour Market Developments in Europe 2013, European Economy 6|2013). Paradossalmente è quindi la stessa Dg Ecfin che avanza dubbi sulle stime del Nawru ottenute mediante le tecniche basate esclusivamente su filtri statistici, dedicando proprio un approfondimento sulla ciclicità dal Nawru. Da queste altre stime emerge che il Nawru aggiustato per le caratteristiche istituzionali di un paese, quali ad esempio il cuneo fiscale e la presenza di politiche attive nel mercato del lavoro, per i paesi periferici è ben più basso di quello utilizzato dalla Commissione per valutare l’osservanza dei criteri di finanza pubblica del fiscal compact. Quest’ultimo è pari per l’Italia a circa l’11 per cento nel 2014, contro un Nawru “strutturale”, ovvero non influenzato da fattori ciclici, pari al 9 per cento. Se la Commissione avesse utilizzato il Nawru strutturale per calcolare il Pil potenziale dell’Italia il nostro deficit aggiustato per il ciclo sarebbe stato pari al +0,1 per cento del Pil nel 2014, piuttosto che al -0,6 per cento ufficialmente considerato. Con una stima del Nawru più contenuta saremmo quindi già in avanzo (al netto degli effetti ciclici).
UNA STIMA CHE SI AUTOAVVERA
Va sottolineato che, comunque, qualsiasi metodo venga utilizzato per la misura del Nawru -o più in generale del Pil potenziale- deve tener conto che la stima ottenuta, proprio per effetto delle regole del fiscal compact, non è esogena. In altre parole, il valore stimato del Pil potenziale influenza esso stesso il livello del potenziale. Un potenziale più alto lascia infatti spazio per manovre fiscali espansive, che se ben pensate e realizzate posso offrire un ulteriore stimolo alla crescita corrente e a quella potenziale, attraverso ad esempio maggiori investimenti in infrastrutture. Viceversa, un potenziale più basso costringe un paese ad attuare politiche fiscali restrittive, che ne possono compromettere le capacità di crescita. In sintesi, le stime del potenziale possono essere “autorealizzanti”: un valore stimato alto favorisce il raggiungimento di questo obiettivo favorevole, un valore basso viceversa spinge l’economia a convergere verso tassi di crescita più bassi. L’impianto del fiscal compact, basato quasi esclusivamente sull’ortodossia dell’austerità espansiva, che rinnega nelle fondamenta la teoria keynesiana, determina il risultato perverso che ex-post Mc Morrow e Roeger avranno ragione nel sostenere che il Nawru per l’Italia è superiore al 9 per cento semplicemente per il fatto che la Commissione ha il potere di imporre questo livello attraverso l’applicazione di una metodologia che tende a sovrastimare la disoccupazione strutturale in fasi di ciclo economico avverso.
QUESTIONi DI METODO E BUON SENSO
Per mostrare quando sia importante questo aspetto abbiamo condotto una simulazione utilizzando il modello macro-econometrico per l’Italia del Cer. In un primo momento abbiamo considerato l’effetto sull’output gap, ovvero sulla differenza tra il Pil corrente e quello potenziale in percentuale del potenziale, dall’impiego della stima del Nawru della Commissione. Successivamente abbiamo invece stimato l’output gap ipotizzando un Nawru pari al 2018 a poco più del 9 per cento. La perdita cumulata di Pil potenziale nel periodo sarebbe superiore a un 1 punto e mezzo (grafico 1). L’effetto sul deficit strutturale, ovvero aggiustato per il ciclo economico e delle una tantum, è pari in media a 4 decimi di Pil, oltre 6 miliardi di euro l’anno.
Grafico 1. Stima degli effetti del Nawru sul Pil potenziale e sul deficit strutturale dell’Italia
Fonte: CER
Nella risposta di Cottarelli, Giammusso e Porello al commento di Mc Morrow e Roeger viene inoltre posto in evidenza come usare le stime sul Nawru realizzate da altri istituti, pur se autorevoli come Fmi e Ocse, non aggiunge molto al dibattito in quanto è il metodo utilizzato che porta alla sovrastima del tasso di disoccupazione strutturale. In realtà, è interessante comparare queste informazioni perché dal confronto è chiaro come nonostante l’utilizzo della stessa metodologia c’è una differenza non trascurabile tra il livello del Nawru. Si può al riguardo notare come le stime Ocse siano sempre inferiori a quelle della Commissione, dall’inizio della recessione, di circa 1 punto percentuale (grafico 2).
Grafico 2. Italia: confronto tra il Nawru stimato da Ocse e Commissione Europea
In definitiva, bisognerebbe finalmente uscire da una logica meccanicistica nell’applicazione delle regole europee. Non esiste al momento un modello di valutazione del Pil potenziale che possa essere considerato veramente attendibile, e forse non esisterà mai in quanto il potenziale è per sua natura una grandezza non osservabile. Tra un modello matematico, che per quanto evoluto non potrà mai rappresentare con precisione la realtà, e il buon senso (economico) bisognerebbe quindi affidarsi molto di più a quest’ultimo.