Nonostante i pessimi risultati in Iowa, New Hampshire e Nevada, Joe Biden è riuscito nella rimonta. In cinque giorni si è rimesso in corsa e ora, dopo che è stato assegnato più di un terzo dei delegati, è primo tra i candidati democratici alla Casa Bianca.
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Dopo aver vinto le primarie del centro-destra francese, Fillon sarà molto probabilmente il prossimo inquilino dell’Eliseo. La sua filosofia economica è di impronta fortemente liberale, tanto da rivendicare un debito verso Margaret Thatcher. Ma altri temi potrebbero essere il suo tallone d’Achille.
Un disegno di legge mira a regolare lo svolgimento delle primarie. Sono diversi gli aspetti che suscitano dubbi. A partire dal fatto che si tengano per l’elezione di sindaci e presidenti di regione, ma non per scegliere il candidato presidente del Consiglio. Multe a chi non rispetta il risultato.
Il partito democratico e le donne
Qualche giorno fa, il presidente Obama ha reso noto un progetto per cui tutte le imprese statunitensi con più di cento dipendenti dovranno fornire i dati sugli stipendi alla Equal Employment Opportunity Commission (Eeoc). Sembra noioso, vero? Effettivamente, la maggior parte delle questioni che riguardano le risorse umane e il rispetto della legge lo sono. Ma grazie al suo tempismo, il piano del presidente potrebbe finire per avere un impatto nelle imminenti elezioni presidenziali. Potrebbe sembrare inverosimile, ma bisogna considerare un aspetto. Hillary Clinton, che sembra essere il candidato democratico preferito di Barack Obama, non riscuote particolare successo tra chi dovrebbe essere considerato il suo sostenitore chiave: il pubblico femminile. Il suo messaggio elettorale “è ora che una donna entri alla Casa Bianca” non sembra risuonare molto all’interno di questo target o, almeno non tanto quanto dovrebbe. Secondo un recente sondaggio di USA Today, tra le donne di età compresa tra i 18 e i 34 anni Hillary Clinton ottiene il 31 per cento di consensi e rimane dietro a Bernie Sanders, che in quella fascia di età raggiunge il 50 per cento. Più in generale, negli ultimi anni i sondaggi hanno mostrato che le donne più mature sono maggiormente portate a votare in base al genere, a differenza delle più giovani. È la fine della questione di genere? Il cosiddetto gender gap non è una costante universale della politica americana: è emerso negli anni Ottanta, quando l’elettorato femminile ha spinto il partito democratico a reagire contro l’opposizione del partito repubblicano all’aborto. Ma oggi le questioni di pari opportunità potrebbero essere uscite dalle priorità della campagna elettorale o la Clinton non è capace di costruirci qualcosa sopra. In entrambi i casi, si tratta di una cattiva notizia per il partito democratico, che da sempre fa affidamento sul gender gap. Ancora peggio, sembra che Donald Trump stia guadagnando popolarità con la sua campagna contro il “politicamente corretto”: un altro indice, forse, che il pendolo potrebbe oscillare dall’altro lato e non riconoscere il tema della parità di genere come tema fondamentale delle primarie. La Clinton e il partito democratico hanno dunque bisogno di innalzare il profilo delle pari opportunità rendendole parte della campagna elettorale. E una serie di nuove e controverse rivelazioni sulle differenze nei salari nelle aziende americane potrebbe aiutarli nel compito.
I dati sui salari
Si ritorna quindi alla questione dei dati sui salari richiesti dalla Equal Employment Opportunity Commission e che per la prima volta forniranno una rappresentazione degli stipendi degli impiegati per etnia, genere e occupazione. Saranno anche in grado di cambiare le regole del gioco? Magari. Le aziende hanno gelosamente custodito le informazioni sui salari essenzialmente per due ragioni. In primo luogo, per il morale dei dipendenti: per definizione, in qualsiasi gruppo metà dei dipendenti è pagata meno rispetto alla paga mediana nello stesso gruppo. Scoprire una cosa del genere danneggerebbe il loro morale. In secondo luogo, questi dati sono una minaccia. Infatti, quando informazioni del genere si diffondono in un gruppo, alcune categorie protette (le donne, le minoranze o i lavoratori più anziani) trovano conferma alla loro percezione di essere pagati meno rispetto alla media. La pubblicazione dei dati darebbe avvio a cause giudiziarie e a quel punto l’onere della prova sarebbe del datore di lavoro, che si troverebbe nella situazione di dover giustificare le disparità. Anche qualora dovesse vincere la causa, il datore di lavoro avrebbe comunque danni di reputazione. Come fonte di polemica, i dati sui salari si prospettano essere un vaso di Pandora per l’equità di genere. Nella maggior parte delle aziende, le donne in media percepiscono un reddito minore rispetto a quello degli uomini. Parte della disuguaglianza sembra riflettere differenze nelle mansioni o negli obiettivi del dipendente, e una parte può genuinamente riflettere un errore. Il compito di districare gli errori dagli altri fattori è estremamente delicato e probabilmente deve essere condotto caso per caso. Se dobbiamo giudicare in base al suo comportamento passato, è probabile che l’Eeoc non esiti a fare affermazioni forti in pubblico, affermazioni che porteranno al sorgere di controversie. Nessuno intende dire che svelare queste informazioni sia sbagliato: è importante conoscere i fatti. Il punto è che il processo attraverso il quale saranno rivelate sicuramente innalzerà il profilo dell’equità di genere a questione politica. Se la questione dovesse emergere poco prima delle elezioni presidenziali di novembre, andrebbe a beneficio del candidato democratico, specialmente se quel candidato fosse Hillary Clinton. C’è tempo sufficiente per raccogliere i dati? L’Eeoc ha affermato che si propone di ottenerli entro settembre. Sarebbe interessante vedere se, per una volta, il governo può operare secondo un’agenda stringente. Se i dati dovessero essere diffusi prima delle elezioni, le presidenziali potrebbero davvero diventare una questione di equità di genere.
(Traduzione a cura di Mariasole Lisciandro)
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