Il Regno Unito ha il secondo primo ministro in meno di due mesi. Per arrivare alla nomina di Sunak il partito conservatore ha modificato le regole elettorali interne. Difficilmente però riuscirà a evitare una sconfitta alle prossime elezioni.
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Una pessima gestione della pandemia e delle sue conseguenze economiche, lo spettro di una Brexit senza accordo e le aspre lotte nella cerchia del primo ministro non minano la popolarità del governo Johnson. Perché anche l’opposizione è alla deriva.
Sembrava un’elezione dall’esito scontato. Invece il Regno Unito sorprende ancora con un risultato elettorale che ha l’apparenza del cataclisma. Ma Theresa May è ancora al potere, almeno per il momento. E per i negoziati Brexit rimangono due scenari.
Dopo l’uscita del Regno Unito dalla Ue, si apre un periodo di grande incertezza, che coinvolge tutti i protagonisti del voto e tutti i paesi dell’Unione Europea. Su un solo punto sembra esserci quasi totale unanimità di vedute: i danni causati dal referendum saranno profondi e di lungo periodo.
Il voto pro Brexit ci consegna un Regno Unito molto diviso. È probabile che la Scozia torni a chiedere l’indipendenza. Anche le linee di reddito segnano una divisione: le aree ricche hanno scelto “remain”, quelle meno benestanti hanno optato per il “leave”. E si apre una questione generazionale.
Tra un mese, il 23 giugno, i cittadini britannici saranno chiamati a esprimersi su una questione amletica: to Brexit or not to Brexit? Con l’avvicinarsi del voto, in piena campagna referendaria, il dibattito pro e contro si fa sempre più serrato. Di fronte a tanta propaganda è interessante chiedersi come si posiziona l’opinione pubblica e, vista l’importanza del tema, i sondaggi di certo non mancano. L’ultimo disponibile, del 17 maggio a cura di YouGov, vedeva il remain in vantaggio con il 44 per cento contro il 40 per cento favorevole alla Brexit.