L’ambiguità interpretativa è una costante per molti aspetti del nostro vivere quotidiano. Anche il comportamento del sistema bancario in tempo di crisi si presta a diverse interpretazioni. Così come il fatto che aziende apparentemente in salute chiudono i battenti.
Da oltre un anno Il Sole-24Ore ha scelto la foto della Holland House Library dopo il bombardamento del settembre del 1940 quale icona della nuova “costituente per la cultura”. Infatti, secondo gli editori “ci sono immagini che insieme all’orrore sanno esprimere la speranza, e sono le più commuoventi, perché testimoniano la capacità della vita umana di resistere a ogni durezza”.
L’autore dello scatto è rimasto ignoto, ma la foto è indubbiamente molto bella e suggestiva. Peccato che alcuni esperti ritengono che gli uomini in essa ritratti, dato il loro tipico abbigliamento, fossero degli ispettori assicurativi che stavano valutando l’entità dei danni, più che degli intellettuali “visitatori assorti del tutto indifferenti (…) al contesto di distruzione e di pericolo nel quale si trovano”. La stessa foto sarebbe opera di un impiegato della Lloyd’s che doveva burocraticamente testimoniare i danni subiti da una delle più suntuose dimore di Londra, edificata nel 1605 da sir Walter Cope, salotto letterario frequentato da Charles Dickens, Walter Scott, George Byron, Thomas Macaulay, Benjamin Disraeli, John Allen.
COME INTERPRETARE UN GRAFICO
L’ambiguità interpretativa tocca ovviamente molti aspetti del nostro vivere quotidiano, incluso il comportamento del sistema bancario. Carlo Milani, in un recente articolo apparso su lavoce.info: “Le sofferenze nascoste delle banche”, mostra come il rapporto sofferenze su impieghi, un indicatore della qualità dei crediti presenti nei portafogli bancari, sia rimasto sostanzialmente allineato fra le banche piccole e quelle medio-grandi fino al 2010. Il dato relativo al 2011, invece, segnala una netta divaricazione tra le due tipologie di banche (grafico 2). Secondo l’interpretazione dell’autore la discontinuità sarebbe “legata alla mancata emersione di sofferenze da parte delle grandi banche”. In altre parole, le banche piccole avrebbero comportamenti più trasparenti in termini di segnalazione dei crediti dubbi. Tuttavia, il grafico si presta anche a un’altra interpretazione. Le banche piccole servono in maniera quasi esclusiva le imprese di minori dimensioni, che in questa fase storica hanno maggiormente patito la crisi economica. Questo sia perché le imprese piccole sono più concertate sul mercato domestico, che si è rilevato molto più fragile, sia perché tradizionalmente hanno una struttura patrimoniale più debole e sono più dipendenti dal credito bancario. A corroborare questa interpretazione sta il fatto che le banche maggiori, che servono ogni tipo di clientele, hanno visto crescere le loro sofferenze soprattutto nel comparto delle piccole e medie imprese. Negli ultimi anni, inoltre, le autorità di vigilanza hanno concentrato i loro sforzi sulle banche maggiori che presentano rischi sistemici, mentre le normative contabili sono diventate più severe. Infine, Mario Quariariello della Banca d’Italia in un recente lavoro mostra come le banche grandi subiscano meno delle piccole il ciclo economico in termini di sofferenze e tendano a fare meno politiche diincome smooting, cioè accantonano di più delle piccole durante le fasi recessive.
Degli altri infiniti segnali ambigui che vengono commentati in maniera opinabile vale la pena segnalare un recente articolo sul Sole-24Ore del primo dicembre di Lugi Guiso e Romano Guido dal titolo “Se chiude l’azienda florida”. Sulla base dei dati Cerved emerge che dall’inizio della crisi “oltre 40mila imprese sane” hanno chiuso volontariamente i battenti nonostante prima della chiusura avessero un buon rating e quindi apparentemente accesso al mercato dei capitali. Sulla base di questa evidenza gli autori concludono che “è in corso una forte riallocazione d’imprese italiane profittevoli verso mercati più dinamici, infatti, questi non solo offrono solide prospettive di crescita ma danno anche accesso al mercato finanziario dei capitali per finanziare l’investimento”. Accanto a questa interpretazione è tuttavia ragionevole ipotizzare che i dati Cerved non riescano a cogliere tempestivamente i repentini mutamenti di mercato che le aziende sono state costrette a subire in questi anni. I processi innovativi e la crisi sono stati in alcuni settori così violenti e repentini che aziende che sino a pochi mesi prima avevano rating molto alti sono finite rapidamente in crisi, se non in default. Le matrici di transizione dei rating, che misurano il passaggio di rating da un mese altro, danno una qualche testimonianza di questo fenomeno.
Dobbiamo allora tenere a mente le ultime battute dell’opera teatrale di Luigi Pirandello “Così è (se vi pare)”?
Signora Ponza: “Nossignori. – Per me, io sono colei che mi si crede!”
Laudisi: “Ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti? Ah! Ah! Ah!”.
» Restano i dubbi sulla salute dei grandi gruppi bancari, Carlo Milani 27.12.2012
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Gigenzo
(continua) Se si scomputano tali effetti contabili, le sofferenze di pertinenza delle banche minori nel 2011 risultano pari a 8,5 mld di Euro con un tasso di crescita del 19,2%, inferiore a quello medio. Di conseguenza il grafico corretto da tale effetto contabile avrebbe mostrato una crescita del rapporto sofferenze impieghi per le banche piccole e minori pari a 8 decimi di punto, solo poco meno di quanto fatto registrare dalle banche maggiori-grandi e medie (+9 decimi di punto). È così, per un semplice “salto di serie storica” tutto si sistema senza troppi sforzi interpretativi.
Gigenzo
Gentile Hamaui,
crediamo che far ricorso a categorie filosofiche come l’ambiguità interpretativa sia bello in sé, accade talvolta, però, che discussioni assai erudite vengano innescate da fatti inesistenti, come nel caso dell’articolo cui lei si ricollega. Veniamo al punto. Il differente andamento del rapporto sofferenze/impieghi tra il 2010 e il 2011 tra le diverse categorie dimensionali di banche nasce dal dato sulle sofferenze delle banche minori, passate da 7,1 mld di Euro nel 2010 a 20,0 mld di Euro nel 2011 (tavola a17.7 della relazione annuale della Banca d’Italia sul 2011). Ora, un incremento del 181% dovrebbe lasciare perplessi e indurre il ricercatore a leggere le note a piè di pagina alla stessa tavola che recitano “Nel 2011 la serie storica delle sofferenze è stata influenzata da operazioni societarie realizzate da alcuni gruppi bancari”. Se si scomputano tali effetti contabili (pari a 11,5 mld sulle banche minori), il rapporto sofferenze impieghi per le banche piccole e minori nel 2011 sarebbe pari a 8 decimi di punto, meno (e non più) di quanto fatto registrare dalle banche maggiori-grandi e medie. È così, per un semplice “salto di serie storica” tutto si sistema senza troppi sforzi interpretativi.