Dopo il fondo salva-Stati e il progetto di unificazione della vigilanza, resta da aggiungere un ultimo tassello: un equilibrato sistema di regole in grado di governare le crisi delle banche. Se l’onere di una crisi bancaria non può essere sopportato dalle finanze di un solo paese e deve necessariamente spalmarsi su tutta la comunità, è necessario che le autorità di vigilanza nazionali facciano un deciso passo indietro a favore di un’unica resolution autority comunitaria con adeguati poteri. Altrimenti, rischia di saltare tutta l’architettura faticosamente costruita.

Alla fine, gira e rigira si torna sempre all’antico e ancora irrisolto dilemma: chi paga? Sulla strada dell’unione bancaria europea, dopo il fondo salva stati e il progetto di unificazione della vigilanza, c’è adesso l’ultimo, e per certi versi più difficile, ostacolo che, in assenza di soluzioni condivise, rischia di far saltare tutta l’architettura finora faticosamente costruita. Bisogna definire un buon ed equilibrato sistema di regole in grado di governare le crisi delle banche, come emerge chiaramente nel comunicato finale del Consiglio europeo di giovedì scorso.(1)

PRIMA DELLA CRISI

La storia ci dice che l’insolvenza bancaria è un fenomeno trasversale che coinvolge molti e delicati interessi in gioco. Non si tratta, come avviene nei fallimenti delle normali società commerciali, di soddisfare i creditori e di liquidare gli asset rimanenti ai soci. Bisogna, infatti, preoccuparsi principalmente dei depositanti, non soltanto rimborsandoli in caso di default, ma anche con interventi della banca centrale in qualità di prestatore di ultima istanza, per evitare il noto rischio contagio. Occorre poi governare con appositi strumenti la fase immediatamente precedente la crisi, con la richiesta da parte dei supervisori di appropriati interventi correttivi per prevenirenella misura più ampia possibile il degenerare della situazione; e naturalmente pensare a chi si fa carico deicosti dei salvataggi (alla fine sono sempre i tax payer, cioè tutti noi) se le risorse private come i sistemi di assicurazione dei depositi non bastano. Le cose, poi si complicano, alla luce sia delle dimensioni delle banche, per cui è pura illusione pensare che i sistemi di assicurazione abbiano sempre disponibilità sufficienti, sia della operatività transfrontaliera, perché ogni paese, giustamente, vuole tutelare i suoi depositanti e non accollarsi i salatissimi costi dell’intera crisi.
Queste, in estrema sintesi, le ragioni per le quali l’unione bancaria avrà scarse possibilità di successo in assenza di regole comuni anche nel governo delle crisi.

IL RUOLO DELLA BCE NELLE CRISI BANCARIE

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È innegabile che la recente proposta sul consolidamento della vigilanza in capo alla Bce fa su questa strada qualche passo avanti. Infatti, tra i nuovi poteri attribuiti dall’articolo 4 ci sono quelli di realizzare interventi preventivi (early intervention), in coordinamento con le relative resolution authorities.
Per early intervention si intende principalmente l’attivazione delle previsioni contenute nei piani di risanamento (recovery plans), la concessione di prestiti intragruppo e l’adozione di determinate decisioni del supervisore. Tra queste possono rientrare quelle attuabili ai sensi dell’articolo 136 della direttiva sui requisiti di capitale, come la possibilità di ordinare la convocazione dell’assemblea degli azionisti, rimuovere e sostituire i membri del consiglio di amministrazione, o, se non sufficienti, iniziare una procedura di amministrazione straordinaria.
Ma qui nascono i primi problemi perché le misure si devono realizzare in coordinamento con le resolution authorities e cioè gli organi di vigilanza degli stati membri con competenze in materia di soluzione della crisi. Laproposta di direttiva del giugno scorso sulle crisi bancarie, direttiva di armonizzazione minima (e non massima, come per esempio nel caso della regolamentazione del capitale), lascia agli Stati membri ampia autonomia decisionale, sia nell’individuare la resolution authority (banca centrale, ministero o altra autorità di regolamentazione/supervisione) sia nella implementazione delle modalità di intervento. Il rischio è che molti, e non piccoli, granelli rendano difficile il funzionamento di questo complesso ingranaggio, anche perché gli Stati membri possono avere interesse a non riconoscere immediatamente la crisi di un proprio intermediario o a interpretare diversamente gli input della Bce. (2) Questa è la ragione per la quale il vero snodo del progetto di vigilanza unitaria non sono solo (e tanto) le competenze della Bce, ma quelle dell’Eba che ha il compito di definire il rulebook delle regole e delle prassi di vigilanza per prevenire arbitraggi regolamentari (in termini più brutali evitare che ciascuno interpreti le norme a proprio piacimento). E infatti il Parlamento europeo ha già proposto emendamenti al progetto della Commissione proprio per rafforzare il ruolo dell’Eba nella individuazione di standard comuni per i recovery and resolution plans(3) La soluzione migliore sarebbe comunque quella di attribuire direttamente i poteri di intervento preventivo sulle crisi alla Bce. (4)

UN MESSAGGIO CHIARO

Ma tutto questo non è comunque sufficiente perché, se per quanto riguarda le misure preventive si tratta soltanto di superare la discrepanza tra chi le decide (la Bce) e chi le deve attuare (resolution authority), per quanto concerne gli interventi ex post (come ad esempio la vendita ad acquirente privato e la cessione diasset a una bridge bank ) gli unici soggetti responsabili rimangono le resolution authority nazionali.
Ed è evidente che una simile asimmetria corre il pericolo non solo di pregiudicare gravemente l’efficacia del governo delle crisi ma, e soprattutto, di eludere il dilemma di cui sopra: se l’onere di una crisi bancaria non può essere sopportato dalle finanze di un solo paese e deve necessariamente spalmarsi su tutta la comunità (leggi i contribuenti della comunità), c’è bisogno che le autorità di vigilanza nazionali facciano un deciso passo indietro a favore di un’unica resolution autority comunitaria con adeguati poteri in materia, altrimenti (ed è quello che di fatto sta succedendo in questi giorni) tutti si proclamano a favore dell’unione bancaria, ma nessuno si fida più di nessuno.
Molte sono le proposte: dalla attribuzione dei compiti di resolution authority al fondo salva stati, alla creazione di un nuovo organismo che gestisca anche il fondo di garanzia dei depositi europeo, ma una cosa è certa: la vigilanza europea non potrà funzionare senza una analoga centralizzazione sul terreno delle crisi bancarie. (5) Ed è questo un terreno sul quale, ormai, non ci possiamo più permettere nessuna ambiguità.

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(1) European Council , comunicato del 18 ottobre 2012, p. 2.
(2) D. Schoenmaker, D. Gros, A European Deposit Insurance and Resolution Fund – An Update, CEPS, Policy Brief n. 283/2012.
(3) EU Parliament, Committee on Economic and Monetary Affairs, Draft Report 2012/0244 (COD) del 9.10.2012, disponibile qui.
(4) J. Carmassi, C. Di Noia, S. Micossi, Banking Union: A federal model for the European Union with prompt corrective action, Ceps Policy Brief, n. 282/2012.
(5) A. Sapir, M.Hellwig, M. Pagano, Report of the Advisory Scientific Committee, European Systemic Risk Board, n. 2, ottobre 2012, disponibile qui.

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