“Il nuovo inizio”. Così il premier sulla fase del suo Governo che comincia ora con un orizzonte di 15 mesi. Che cosa fare -e non fare- per agganciare la ripresa ed evitare al paese il rischio di derive anti-europee?
Introduzione di Francesco Giavazzi
C’è sempre un ritardo di qualche trimestre fra la ripresa della produzione e il miglioramento del mercato del lavoro, perché le imprese non rischiano nuove assunzioni ai primi segnali di miglioramento della domanda: aspettano che questa si consolidi. Quindi, anche se “la ripresa è alle porte”, come pensano Letta e Saccomanni, non aspettiamoci miglioramenti sul fronte del lavoro, almeno fino a metà anno. [tweetability]La campagna elettorale per le europee si svolgerà quindi in un’atmosfera molto difficile[/tweetability]. Da un lato l’ansia di famiglie sempre più direttamente esposte alla disoccupazione e alla difficoltà concreta (per molte sarà la prima volta nella vita) di arrivare alla fine del mese; dall’altro le sirene di chi batterà l’Italia chiedendo l’uscita dall’euro.
Se il Governo non fa qualcosa per evitare questa tenaglia ne verranno stritolati, e con essi tutti noi. Che fare? La strategia è chiara: meno tasse, rifinanziare ed estendere il supporto si disoccupati e riforma dei contratti di lavoro. È una strategia che necessariamente ci porta fuori dal 3 per cento e quindi richiede di essere negoziata con Bruxelles. Per questo la riforma del mercato del lavoro è il primo punto. Senza un’approvazione definitiva di una riforma convincente, a Bruxelles non si riuscirebbe neppure ad avviare la trattativa, a meno di non accettare di essere sottoposti alla Troika. I tempi sono strettissimi, anche perché i giorni che il Parlamento sta dedicando alla Legge di stabilità, per questa strategia sono essenzialmente gettati al vento. Matteo Renzi ha annunciato un contratto, cioè un calendario di provvedimenti che chiederà al Governo di approvare e che ne determineranno la sopravvivenza. È una strategia rischiosa perché se Letta fallisse a maggio, nel clima sociale che descrivevamo, voteremmo per il parlamento italiano, non solo per quello europeo. Ma sarà l’unica strategia possibile. Quindi è essenziale che il contratto si concentri su 5 punti cruciali:
1) [tweetability]Legge elettorale, da approvare entro il 15 gennaio.[/tweetability]
2) [tweetability]Nuovi contratti di lavoro secondo le proposte di Boeri, Garibaldi e Ichino da varare entro fine gennaio[/tweetability].
3)[tweetability]Accelerazione dei tagli alla spesa dando a Cottarelli obiettivi semestrali[/tweetability]: mentre sinora il presidente del consiglio ha indicato come scadenza per una verifica il 2016, quando certamente non sarà più a palazzo Chigi.
4) [tweetability]Riduzione del cuneo fiscale dal 1 febbraio 2014. Il 10 per cento in meno, 22 miliardi.[/tweetability]
5) [tweetability]Un accordo con Bruxelles per consentire a fronte di riforme approvate uno sforamento per due anni del 3 per cento.[/tweetability]
Se questo piano non fosse approvato in tutte le sue parti entro il 31 gennaio, prepariamoci ad elezioni anticipate, sotto il controllo della Troika: ammesso che i movimenti anti-euro le consentano di arrivare a Roma.
[toggle title=”Priorità al lavoro | Tito Boeri e Pietro Garibaldi”]
IL CIRCOLO VIZIOSO
Se si guardano attentamente le statistiche del lavoro, si rischia di cadere in crisi depressiva. Il tasso di disoccupazione, che per un decennio è stato sotto la media europea, da ormai due anni ha superato quello medio del continente e ha raggiunto il 12,5 per cento nel terzo trimestre 2013. Più del 50 per cento di queste persone sono state in condizione di disoccupazione per più di un anno, contro il 40 per cento in Europa. La disoccupazione giovanile è ormai saldamente al di sopra del 40 per cento. Solo Spagna e Grecia fanno peggio di noi nell’Unione Europea. E tra i pochi giovani occupati, quasi il 50 per cento ha un lavoro temporaneo, contro il 40 per cento in Europa.
Riflettendoci, non può che essere così. Con un paese in recessione da cinque anni e con la peggiore performance di crescita del Pil tra i paesi Ocse nell’ultimo decennio, un mercato del lavoro non può che produrre disoccupazione, bassi salari e povertà. Se poi allarghiamo il campo e riflettiamo sugli impegni di finanza pubblica dei prossimi venti anni, quando dovremmo ridurre il rapporto debito-Pil di circa due punti all’anno, sembra davvero che quattrini per il lavoro non ve ne siano e il nostro mercato del lavoro sia destinato a rimanere intrappolato in un circolo vizioso di bassa crescita, disoccupazione inarrestabile e precariato crescente, soprattutto tra i giovani.
UN PIANO IN TRE PUNTI
Siamo convinti invece che esista un’alternativa. Che sia possibile cambiare scenario. Siamo anche profondamente convinti che la priorità assoluta di questo Governo, e di quelli che verranno dopo, debba essere il mercato del lavoro.
Un piano per il lavoro dovrebbe essere basato su tre punti essenziali e immediati.
1) Riduzione immediata del cuneo fiscale di circa 5 punti e di altri 5 nel giro di tre anni sui contratti a tempo indeterminato. Il piano può essere finanziato tagliando subito i contributi alle imprese, inclusi i trasferimenti alle ferrovie dello Stato. I cittadini pagheranno più caro il treno, ma almeno torneranno al lavoro. Oggi, su un aumento del costo del lavoro di 100 euro, un lavoratore ne intasca soltanto 40: bisogna far sì che si arrivi almeno a 50 euro. Una parte della riduzione della pressione fiscale avverrà attraverso la riduzione dei contributi previdenziali. Questo vuol dire pensioni pubbliche più basse in futuro. Ma permetterà a più giovani di lavorare.
2) Sostegno diretto al reddito per i lavoratori a basso salario. L’esempio è quello dei mini-jobs tedeschi, dove il Governo trasferisce direttamente al lavoratore la differenza tra quanto percepisce dall’impresa e un dato livello di salario. Per l’Italia il livello potrebbe essere 5 euro all’ora: lo Stato finanzia la differenza tra quanto guadagnato dal lavoratore e i 5 euro stabiliti. Per sostenere i redditi dei lavoratori ed evitare abusi, l’iniziativa dovrebbe essere accompagnata dall’introduzione del salario minimo, che potrebbe essere di circa 4 euro. Una manovra di questo tipo farebbe emergere lavoro nero, e da qui si potrebbero ricavare una parte delle risorse per il suo finanziamento.
3) Istituzione immediata a livello statale di un contratto di inserimento a tutele progressive. Questa misura è essenziale per dare stabilità ai giovani e ridurre il precariato. La nostra proposta prevede un contratto a tempo indeterminato con tutele progressive, certe e crescenti contro il licenziamento economico nei primi tre anni. Sui dettagli si può discutere, ma un intervento di questo tipo non è più rinviabile. E il contratto deve essere siglato a livello statale a valere su tutto il territorio nazionale, senza alcun riferimento alla legislazione regionale.
Un Governo e un Parlamento che approvassero nel giro di tre mesi queste proposte darebbero un segnale fortissimo, anche a Bruxelles. A quel punto, si potrebbe negoziare un temporaneo incremento del disavanzo.
Siamo consci che questi tre punti non esauriscono le riforme del mercato del lavoro. Il sostegno ai disoccupati è ancora limitato, confuso e iniquo, anche dopo la riforma Fornero-Monti. Mentre l’apprendistato resta totalmente bloccato dalle legislazioni regionali. Ma queste misure, che possono essere varate nei prossimi 3 mesi, rappresentano, a nostro giudizio, le cose più urgenti da fare. [/toggle]
[toggle title=”Riassetto del sistema finanziario | Luigi Guiso”]
INTERVENTI POSSIBILI IN TRE MESI
1. Separazione definitiva tra banche e fondazioni. Adozione volontaria entro un mese dal varo di un decreto di un piano di cessione delle quote detenute nelle banche di riferimento (o altre partecipazioni rilevanti) attraverso vendite automatiche al meglio e conclusione del processo entro una data certa. In caso di non ottemperanza, trasformazione automatica delle azioni nella banca di riferimento in azioni di risparmio senza diritti di voto.
2. Promozione dei fondi pensione. Mandato alla Covip per una seria campagna di sviluppo dei fondi pensione che, avvalendosi della collaborazione dell’Inpas e del Mefop, agisca su due fronti:
a) Dal lato della domanda conduca una campagna di informazione sui benefici pensionistici (attraverso la lettera arancione Inps, anche questa da varare) e sulle caratteristiche dei fondi pensione privati;
b) Dal lato dell’offerta, rivedendo profondamente l’organizzazione e struttura dei fondi pensione. Oggi il settore è estremamente polverizzato – 545 fondi, 10 con oltre 10 mila iscritti e ben 274 con meno di 10mila e 137 con meno di 100. Occorre fonderli e ridurne il numero per sfruttare ovvie economie di scala che consentirebbero di: accrescere la gestione professionale dei risparmi; permettere politiche disinvestimento più remunerative senza accrescere il rischio grazie alla diversificazione consentita dalla scala.
INTERVENTI POSSIBILI IN UN ANNO
1. Separazione delle banche dai fondi di investimento. Obbligo per le banche di cedere le partecipazioni in società di gestione del risparmio. Queste sono oggi fonte di irrimediabili conflitti di interesse sia quando le banche agiscono da consulenti finanziari e venditori di prodotti finanziari al dettaglio sia, come insegna la vicenda Telecom, quando le partecipazioni nelle Sgr possono essere usate dalle banche per trarre vantaggi interferendo nel governo delle società.
2. Creazione di un Bureau per la protezione finanziaria del risparmiatore. Ispirato al Consumer Financial Protection Bureau creato dall’amministrazione Obama. Perché farlo? Perché le interazioni tra risparmiatori e mercati finanziari sono oggi il cuore della finanza; la ricchezza amministrata per conto delle famiglie e il debito in capo alle famiglie sono le fonti primarie di profitto per le banche e i volumi eccedono ormai il debito delle imprese. I problemi relativi richiedono un’ unità specializzata. Le risorse umane possono derivare in parte da istituzioni esistenti, come Consob e banca d’Italia, assorbendo alcune delle funzioni presenti in esse.[/toggle]
[toggle title=”Cosa non fare per Banca d’Italia | Angelo Baglioni”] Richiesta: eliminare dal decreto-legge sulle quote di proprietà della Banca d’Italia la norma che introduce la libera circolazione delle quote stesse.
ECCO PERCHÈ
Il decreto-legge n.133/2013 relativo alla rivalutazione delle quote di partecipazione nella Banca d’Italia è già stato oggetto di analisi e critiche sul nostro sito: si veda il dossier . Attualmente è all’esame del Parlamento per la conversione in legge. Senza neppure attendere l’esito dell’iter di conversione, il Governatore ha già convocato per il 23 dicembre l’assemblea della Banca per modificare lo Statuto, al fine di dare attuazione al decreto; si noti che il decreto stesso gli lasciava sei mesi di tempo. Questo modo di procedere, a cominciare dal ricorso al decreto-legge, sembra finalizzato a realizzare una riforma della proprietà della banca centrale, senza affrontare il necessario dibattito politico-parlamentare.
Al di là degli aspetti di metodo, vi è (almeno) un aspetto di sostanza del decreto che va ripensato e modificato: quello che prevede l’abrogazione della clausola di gradimento alla cessione delle quote, ora contenuta nello Statuto della Banca d’Italia. Abrogando questa clausola si introduce la libera circolazione delle quote che rappresentano la proprietà della banca centrale. Come già abbiamo argomentato nel dossier, il limite del 5 per cento e la definizione delle categorie di soggetti (europei) che possono acquistare le quote non è una garanzia sufficiente, poiché possono essere aggirati (attraverso partecipazioni indirette e accordi tra azionisti). È vero che l’assemblea dei partecipanti non può interferire nell’esercizio delle funzioni istituzionali della Banca (politica monetaria e vigilanza, esercitate nell’ambito del Sebc) ma ha comunque poteri molto rilevanti: la nomina del Consiglio superiore (che a sua volta nomina il Direttore generale e i Vice Direttori generali e concorre alla nomina del Governatore) e del Collegio sindacale, nonché l’approvazione del bilancio. Quindi il fatto che potenzialmente soggetti esteri e di qualunque natura possano acquisire partecipazioni rilevanti nella proprietà della Banca d’Italia desta qualche preoccupazione. La motivazione ufficiale a sostegno del provvedimento è la seguente. Il processo di concentrazione vissuto dal sistema bancario italiano ha portato alcune banche a detenere una percentuale elevata di quote di proprietà, facendo nascere la percezione di una loro possibile influenza sull’esercizio delle funzioni istituzionali della banca centrale. Occorre quindi una diluizione di queste quote. Questa argomentazione è corretta, ma si presta a due obiezioni. Primo, la diluizione delle quote non comporta necessariamente la loro libera trasferibilità: si può benissimo prevedere che chi ha partecipazioni superiori al 5 per cento ceda la parte eccedente, senza che questo comporti la creazione di un mercato libero delle quote. Secondo, in realtà in problema riguarda solo due banche: Intesa Sanpaolo e Unicredit, che hanno partecipazioni rispettivamente del 30.3 per cento e 22.1 per cento. Le altre banche hanno già partecipazioni ampiamente inferiori al 5 per cento (con l’eccezione di Cassa di Risparmio di Bologna con il 6.2 per cento). Forse si poteva trovare una soluzione ad hoc per quelle due banche, anche attraverso una azione di moral suasion, affinché diluissero nel tempo le loro quote.
Nella sua audizione presso la Commissione Finanze del Senato (12 dicembre), il Governatore cita i casi della Grecia e del Belgio come paesi che “riconoscono espressamente il diritto a soggetti stranieri di sottoscrivere il capitale sociale” delle rispettive banche centrali (peraltro in Grecia la possibilità per tali soggetti di intervenire in assembla e votare è limitata). È singolare come, nel cercare esempi da seguire nel panorama internazionale, si sia riusciti a trovare solo quelli di Grecia e Belgio: ma chi ha detto che dobbiamo prendere esempio proprio da questi due paesi? Si noti che (come lo stesso Governatore riconosce) perfino negli Usa le quote di proprietà nelle Federal Reserve Banks, detenute dalle banche commerciali, non possono essere cedute: quindi neppure in questo paese- notoriamente liberista- esiste un mercato dove scambiare la proprietà della banca centrale.
Infine, fanno sorridere le motivazioni addotte nel Comunicato stampa (N.239, 2 dicembre) del Ministero dell’Economia. L’urgenza, che motiva il ricorso al decreto legge, è giustificata così: “la revisione dell’assetto organizzativo della Banca d’Italia si rende necessaria in via d’urgenza anche per adeguarlo al nuovo Sistema Unico Europeo di Vigilanza Finanziaria”. Ma quel sistema entrerà in vigore tra un anno! E ancora: l’estensione a soggetti europei dell’autorizzazione a partecipare al capitale della Banca d’Italia viene ricondotta alla necessità di adeguarsi “ai Trattati europei ed ai principi di libertà in essi contenuti”; peccato che stiamo parlando di una banca centrale, non di una impresa privata…
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[toggle title=”Trasporto pubblico | Andrea Boitani e Giuseppe Catalano”] Un emendamento approvato in Commissione Bilancio della Camera prevede che “i costi standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, nonché i criteri per l’aggiornamento e l’applicazione degli stessi” debbano essere definiti entro il 31 marzo 2014. Se il testo legislativo riuscirà a sopravvivere fino all’approvazione definitiva da parte dei due rami del Parlamento, si aprirà una opportunità straordinaria per rimettere un po’ d’ordine nel sistema di finanziamento e, di conseguenza, nella programmazione e gestione di un servizio (quello di Tpl, appunto) che, nelle sue varie modalità, ha oggi un fabbisogno di oltre 6,5 miliardi di euro l’anno di danaro pubblico, oltre a quanto pagano i viaggiatori, eppure genera continue perdite alle aziende che lo gestiscono e conseguenti richieste di ripiano alle amministrazioni locali e allo Stato. Nonostante il fatto che i sistemi di finanziamento siano passati dal centralismo (1981-1995) al “federalismo” (1996-2012) e di nuovo al centralismo da quest’anno, la ripartizione delle risorse ha finito sempre per seguire un criterio di “spesa storica”, con l’effetto di incentivare le inefficienze gestionali e di permettere distorsioni nella quantità, qualità e modalità dei servizi forniti. Si sono così perpetuati eccessi di capacità e mezzi semi-vuoti in alcune aree, carenze di servizio in altre; extra-costi, privilegi corporativi, ma anche assurde disparità di trattamento tra dipendenti di una stessa azienda; invecchiamento del parco mezzi, carenze infrastrutturali e delle manutenzioni da un lato e, dall’altro, progetti sovra-dimensionati o semplicemente inutili.
Nessuno può realisticamente pensare che la formulazione e applicazione (“gradualmente crescente”, come prevede l’emendamento approvato) dei costi standard per la distribuzione delle risorse tra le regioni sia da sola capace di arginare la crisi insieme acuta e profonda che caratterizza il settore. Ma non bisogna cedere al “benaltrismo”: questo è il primo tassello per una scalata tutt’altro che breve e agevole. Perdere l’occasione o anche solo non rispettare i tempi – essendo gran parte della metodologia per calcolare i costi standard già definita e ampiamente condivisa – sarebbe veramente un peccato grave. [/toggle]
[toggle title=”Riforma delle professioni | Michele Pellizzari”]INTERVENTI POSSIBILI IN TRE MESI
1. Obbligo per tutti gli ordini professionali di mantenere un sito web e di pubblicarvi l’elenco degli iscritti, completo delle eventuali sanzioni e i verbali delle sedute.
2. Modifica delle norme di accesso con accoppiamento casuale delle sedi d’esame, come avviene oggi per gli scritti degli avvocati, da estendere a tutte le professioni e agli esami orali
3. Modifica della regola di determinazione delle sedi notarili con l’eliminazione della clausola che prevede che la sede sia definita in modo da garantire al notaio un volume d’affari di almeno 50mila euro all’anno.
4. Modifica del sistema sanzionatorio con assegnazione del procedimento a un ordine locale diverso (scelto casualmente) da quello di appartenenza del professionista la cui condotta è sotto scrutinio.
5. Eliminazione dai codici di condotta professionale di tutte le norme finalizzate esclusivamente a “garantire la dignità e il decoro della professione”.
INTERVENTI POSSIBILI IN UN ANNO
Per fine 2014 si può certamente pensare di rivedere la riforma delle professioni in senso più liberale.[/toggle]
[toggle title=”Liberalizzazione e privatizzazioni | Michele Polo”]
Nella ripartenza del Governo Letta un posto importante lo possono occupare i temi delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni. Tra i cardini di quelle riforme strutturali che ai sui inizi il Governo Monti aveva imposto al dibattito pubblico, questi capitoli sono state progressivamente risucchiati nel dibattito infinito sulla tassazione degli immobili scomparendo dall’agenda politica.
Le misure che possono essere messe in cantiere debbono rispettare una sequenza logica che vede, prima di tutto, l’apertura dei mercati e, conseguente a questo, le possibilità di coinvolgere investitori privati attraverso la privatizzazione di imprese oggi in controllo pubblico. Tra queste, inoltre, è utile distinguere tra quante hanno come oggetto la realizzazione e la gestione di infrastrutture, per le quali una presenza dell’azionista pubblico può essere desiderabile, a garanzia anche per gli investitori privati della stabilità del quadro regolatorio e del ritorno sugli investimenti, e imprese impegnate nell’erogazione dei servizi, spesso in concorrenza con altri soggetti privati, per le quali invece le ragioni di una presenza pubblica sono assai meno forti.
In questo quadro, un settore che si è aperto alla liberalizzazione con largo anticipo rispetto al ridisegno degli assetti di mercato e alla predisposizione di un quadro regolatorio completo è quello del trasporto ferroviario nei servizi dell’alta velocità. Le potenziali distorsioni della concorrenza hanno costellato il decollo della concorrenza da parte di un secondo operatore – Ntv- che offre servizi su alcune delle tratte coperte da Trenitalia. La soluzione che meglio favorisce una riduzione di questi ostacoli, e che è in grado di mettere sul mercato un ramo di attività con prospettive di redditività interessanti, è quella di una privatizzazione delle attività di trasporto ad alta velocità (Frecciarossa e Frecciargento) attualmente offerte da Trenitalia. In questo caso, esigenze di liberalizzazione e di privatizzazione procederebbero in modo coerente, rompendo la commistione tra gestione delle infrastrutture e dei servizi che oggi distorce la concorrenza.
Nell’ambito dei settori energetici, si è già osservato come diverso sia il discorso per le attività di erogazione dei servizi, nelle quali sia Eni che Enel potrebbero vedere ridotta la quota detenuta dallo Stato con una ulteriore tranche di privatizzazioni, e attività di gestione delle infrastrutture elettriche (Terna) e del gas (Snam Retegas), per le quali si è già operata una separazione societaria ma lo Stato mantiene, attraverso Cassa Depositi e Prestiti, una presenza che ne consente il controllo. La redditività di queste aziende, fortemente legata alla regolazione dei prezzi di accesso alle infrastrutture, consente di attrarre capitali privati, e quindi di portare avanti programmi di privatizzazione parziale.
Nei servizi oggi gestiti da Poste Italiane è bene che il governo inizi una riflessione su quali tra questi ubbidiscano a obiettivi di servizio pubblico e quali siano attività del tutto equiparabili a quelle che già oggi molti concorrenti privati svolgono in competizione col gruppo pubblico, in campo finanziario, assicurativo, di telefonia mobile. Una più netta riorganizzazione societaria del gruppo tra queste attività è il primo passo per poi procedere a cessione di quote azionarie in alcune di queste.
Infine, un banco di prova dove il governo, nei complessi rapporti con le amministrazioni locali emersi anche nell’iter della legge di Stabilità di quest’anno, potrà svolgere un ruolo propulsivo riguarda il vastissimo e variegato universo delle partecipazioni degli enti locali in attività di erogazione dei servizi. Ci attendiamo dall’esperienza amministrativa del neosegretario Renzi, e dalla sua impostazione innovativa, l’apertura di un confronto tra governo e enti locali che individui gli strumenti e le forme di incentivazione al recupero di risparmi, per le amministrazioni locali, attraverso l’abbandono di opache e inefficienti forme di fornitura inhouse, o di parnership mascherate, a favore di sistemi generalizzati di assegnazione dei servizi attraverso gare e di coinvolgimento dei privati nella loro fornitura.
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Mentuhotep II
E le pensioni retributive sopra i 1500 Eur netti? Quando dirottiamo l’iniquo “bonus” generazionale da retributivi 1500+ ai veri poveri, i pensionati e lavoratori che ne hanno bisogno. Non è che vi sia un conflitto di interessi che accomuna politici, amministratori, ricercatori, banchieri, giudici, professori….che per reddito (ed età) rientrano tutti nella richiamata categoria di beneficiari dell’iniquo bonus. Basta Robin Hood al contrario, questo problema è il vero gigante che soffoca le risorse del Paese.
Oppenheimer_ia
Tpl: “gestione di un servizio (quello di Tpl, appunto) che, nelle sue varie modalità, ha oggi un fabbisogno di oltre 6,5 miliardi di euro l’anno di danaro pubblico, oltre a quanto pagano i viaggiatori” .
Intendete dire che i viaggiatori pagano altri 6,5 mld? 9? 3? detta cosí é una frase fatta (di quelle che piacciono tanto a Giavazzi).
Enrico
<>
Prepariamoci
Emilio O
Con codesti non eletti al governo di una non-nazione, non mi fido e non ci credo. Troppo impegnati nei balletti del palazzo quando sta per crollare emulano Nerone che suonava la cetra quando Roma bruciava. E Nerone di riforme decenti ne aveva fatte prima di dedicarsi ad altre attività.
giancarlo
Ma perché avete paura di chi, dopo essersi letto un semplice trattato di economia, ci dice che la rottura dell’euro è ineluttabile? Perché temete questo fatto come il fatto che due più due faccia quattro? Perche certa informazione distorce la verità? Facciamo svolgere al mercato il suo compito anche nell’equilibrio fra le monete che ad oggi è artatamente sospeso per via dell’euro. Non chiedo altro
Luciano
“Prepariamoci ad elezioni anticipate sotto il controllo della troika; ammesso che i movimenti anti euro le consentano di arrivare a Roma”..ma anche a Madrid e Parigi e “sloggiare” da Atene e Lisbona.
Musica x i popoli d’Europa piegati dalla crisi e dalle deliranti politiche di austerità in salsa tedesca.
Il fiscal compact -cosi com’è- non è sostenibile ne dall’Italia, ne tantomeno da Spagna e Francia (non c’è riformina o riformona che tiene).
I trattati vanno rivisti “senza se e senza ma”..in caso contrario tra poco tempo nell’euro resterà solo la Germania (disastrata economicamente al pari di tutti gli altri paesi europei).
Le politiche liberiste/rigoriste; l’idea della crescita attraverso austerity hanno fallito.
Al contrario serve più Keynes e meno Hayek, più laburismo e meno liberismo e alle ortiche l’ossessione “anti-inflazione” della Bce (l’area euro stà affondando nelle sabbie mobili della deflazione).
Se cambiamo velocemente rotta -forse- siamo ancora “in tempo” ad evitare la disastrosa deflagrazione dell’euro.
Piero
L’esempio di Emilio con Nerone penso sia la cosa più intelligente, oggi Letta dice che mangierà il panettone anche il prossimo Natale e l’Italia va a picco, il provvedimento della stabilità deve essere titolato provvedimento dell’instabilità, oggi abbiamo bisogno di soldi per le imprese, meglio la Troika che di questi governanti, almeno riprendiamo i nostri soldi dati al fondo salva stati, vedi il caso della Spagna hanno incassato 50 miliardi senza intervento della Troika ed hanno rimesso a posto il sistema bancario con la creazione della bad bank, al contrario in Italia si continua a dire che siamo belli e bravi, Letta dice che vi sarà la ripresa nel 2014, naturalmente e’ tutto falso, si afferma ciò per un lieve aumento delle esportazioni, ma un’aumento delle esportazioni a scapito del consumo interno, non può essere un segnale di ripresa, abbiamo un Pil negativo nel 2013 e lo sarà anche nel 2014. Il problema delle imprese e’ un problema di liquidità, parlare di riforme del lavoro, di riforme costituzionali ecc, in questo momento non sono le priorità, si deve creare lavoro si deve vedere le esigenze delle imprese e trovare un modo per venire incontro alle loro esigenze, ricordiamoci che sono loro che salvano l’occupazione, dobbiamo ridiscutere non lo sforamento del 3% che è la cosa più sbagliata! ma il cambio della politica monetaria di Draghi, qui c’è una divergenza di vedute con la Merkel, ma solo questa e’ la soluzione per salvare l’euro, l’Italia con il suo debito non può continuare a subire tale linea di politica monetaria, al contrario la politica di pareggio del bilancio e’ da considerarsi una politica virtuosa che deve essere continuata, in conclusione se gli obbiettivi sono quelli dell’articoli, essi non risolvono tale situazione di crisi italiana.
Piero
Ricordo a Giavazzi il commento che feci nel 2007 al suo articolo Sarkozy e la Bce titolato l’Italia e l’euro:
“Con l’euro abbiamo accettato il cambio fisso della moneta all’interno dei paesi europei più sviluppati, rinunciando quindi sia alla politica monetaria che al ruolo stabilizzante di un regime a cambi variabili, con grande plauso dei partner europei in primis della Germania che sono stati sempre infastiditi dalle continue svalutazioni della nostra moneta. È chiaro, che il cambio fisso richiede una politica di bilancio condivisa da tutti i paesi partecipanti, ha prevalso la strada di fissare dei parametri da rispettare sia sul debito che sul disavanzo, ciò perché si voleva tutelare la moneta al fine di controllare l’inflazione, invece che la tutela dell’occupazione e della crescita del pil europeo. L’Italia parti con un debito pubblico di oltre il 100% del pil e con un arretramento di infrastrutture ed opere pubbliche nei confronti degli altri paesi dell’area euro, si era in presenza di un paese che aveva bisogno di tutto, meno che di avere una moneta forte, forse doveva in modo “spietato” far pagare all’estero i suoi squilibri e poi fare il passo verso la moneta unica (una svalutazione della moneta del 50% avrebbe fatto crescere il pil, avrebbe provocato un aumento generale dei prezzi riducendo quindi il valore reale del debito pubblico, lo stesso debito sarebbe aumentato solo degli interessi, quindi il rapporto D/PIL sarebbe sceso al 70%, naturalmente si poteva rischiare una crisi finanziaria come quella dell’argentina? Ciò però non avvenne nel 1992 con una svalutazione di oltre il 40%). Il governo ha scelto la via di entrare subito nell’euro e quindi siamo stati costretti a rispettare i parametri obbligatori previsti. Tali parametri sono stati più gravosi per le economie che si sono presentate all’euro con i dati non in ordine e tra queste l’Italia, che in ogni anno ha attuato politiche di bilancio al fine di rispettare con grande difficoltà il parametro del 3%, non si poteva pensare che avrebbe ridotto anche l’enorme peso del debito pubblico. Poi anche i tassi, si è detto che con l’entrata nell’euro, il paese avrebbe goduto di tassi più bassi e quindi si avvantaggiava il paese con il debito più alto. Ma anche questa affermazione si è rilevata infondata, in quanto se si vuole creare una moneta forte il suo tasso è più alto delle altre. In questo scenario il nostro paese con i vincoli dei parametri non ha potuto fare nemmeno le opere pubbliche necessarie per recuperare l’arretramento infrastrutturale nei confronti degli altri paesi europei. Cosa fare quindi? Si sta levando una campagna di scudi contro il dirigismo della Bce che avendo come compito quello di controllare l’inflazione è contraria ad una politica monetaria espansiva per svalutare l’euro, ciò è possibile in quanto la Bce è svincolata dai governi dei singoli paesi. Secondo me sposterei il problema alla data dell’ingresso nell’euro, sicuramente è stato un passo affrettato e non si è fatto pesare agli altri partner che era impossibile rispettare i criteri previsti, si doveva subito riallineare le economie in fatto di debito pubblico creando delle obbligazioni europee che dovevano assorbire i debiti pubblici oltre le soglie del 50/60 %. Tali obbligazioni europee dovevano essere rimborsate da tutti i paesi, in rapporto al pil prodotto da ogni paese, in tale modo tutti partivano con lo stesso debito e quindi la regola del 3% non serviva in quanto si doveva obbligare il pareggio. In alternativa invece di fissare i parametri attuali che non permettono la crescita dell’economie più indebitate si dovevano utilizzare dei parametri che tenevano conto dell’occupazione e del reddito procapite di ogni cittadino e del ritardo delle infrastrutture, in modo tale che si potesse permettere sforamenti al bilancio per investimenti pubblici, o misure di agevolazioni alle imprese per l’incremento dell’occupazione ed infine misure fiscali (ad esempio l’iva sociale con opportune modifiche) destinate alla riduzione dei contributi statali sui dipendenti che a parità di costo per l’impresa permetta l’aumento del reddito spendibile. Ciò non è stato fatto ieri, però non è detto che non si possa fare oggi, rimettendo in discussione sia i poteri della Bce che la creazione di queste obbligazioni europee o la fissazione di nuovi parametri. Ma vi è di più la Bce dovrebbe mettere a disposizione di ogni stato membro a cui venga riconosciuta una carenza di infrastrutture, dei prestiti per colmare tale squilibrio. In tale modo la produttività di ogni paese cresce e chi ne guadagna è il sistema Europa che risulterà più competitivo nei confronti del resto del mondo (tale motivazione dovrebbe essere sufficiente a superare il problema che si pone nel resto dell’Europa, ossia perché pagare i debiti dei paesi più indebitati?). Se l’Europa deve essere unita, non lo può essere solo con la moneta, in tale modo è come mettere la “camicia di forza” all’economia nazionale più debole. Continuare con la politica attuale, l’Italia diventerà in Europa il paese più povero (se c’era il cambio variabile, non vi sarebbero stati squilibri nella bilancia dei pagamenti, invece con il cambio fisso, lo squilibrio deve essere eliminato con la diminuzione dei redditi interni, data la rigidità dei prezzi al ribasso), le nostre aziende più sane o con più mercato verranno comperate dall’estero e l’Italia sarà in Europa come il mezzogiorno oggi è in Italia, si vivrà di sussidi da parte dei restanti paesi, è naturale che vi sarà da parte dell’economia più produttiva del nord un tentativo di sganciamento della restante parte dell’Italia. Quindi se lo spirito europeo non prevale su tutti i paesi, all’Italia non rimane altro che uscire dall’Europa e dall’euro riconquistando quindi tutti i benefici della politica monetaria utilizzando la lira pesante oppure in alternativa unirsi all’America, anche con il cambio fisso con il dollaro o utilizzando il dollaro invece della lira, perché in tale modo anche noi sfrutteremo l’attuale politica americana, che con un dollaro basso sta curando i propri mali. Se invece del cambio fisso euro, all’epoca l’Italia si agganciava al dollaro oggi i nostri prodotti in esportazione costavano il 40% in meno con un notevole incremento del pil. Non riesco a vedere un’altra via di uscita, si parla di crescita del pil dell’Italia, ma ciò è sbagliato si deve parlare di crescita del pil europeo, e l’unico modo per farlo crescere è unire l’economia dell’Europa. In Italia si parla di ridurre le imposte e ridurre le spese, ma ciò non produce l’effetto dell’aumento del pil, si è vero che con la riduzione delle imposte e delle spese vi è un arretramento dello stato dall’economia e quindi le imprese private che dovrebbero essere più efficienti saranno in grado di gestire meglio le risorse finanziarie, ciò sicuramente aiuta ma non risolve il problema alla radice come anzi citato.”
Carlo Pellitteri
Spiacenti, ma rimango fermamente dell’idea che la suprema priorità economica risieda nel massimo possibile abbattimento del cuneo fiscale sul lavoro dipendente. In Italia, per la maggior parte dei comparti produttivi, è assolutamente la domanda, che crea l’offerta, e la conseguente creazione di posti di lavoro …
Enrico
Scusate se pubblico il link di un altro giornale, ma questa dichiarazione del presidente del consiglio Letta conferma che nessuno di quei punti verrà probabilmente implementato.
Sarebbe interessante comparare queste dichirazioni con i dati reali.
http://www.repubblica.it/politica/2013/12/18/news/letta_crisi-73915614/?ref=HRER1-1
Piero
Oggi Saccomanni ha detto che l’accordo sull’unione bancaria raggiunto a livello europeo e’ un successo storico come quello dell’unione monetaria; abbiamo i politici lontani dalla realtà, l’unione bancaria con le regole dettate dai tedeschi non è altro che il controllo totale della liquidità a livello europeo, ricordiamoci che le banche, oltre agli stati ( tramite le banche centrali) sono i due soggetti che emettono la moneta ( nel suo concetto più ampio), oggi quindi l’altro dipendente della Merkel, brinda così come brindarono all’epoca al raggiungimento dell’accordo sull’unione bancaria.
I segnali di ripresa indicati da Giavazzi sono ininfluenti per l’economia italiana, parliamo di poche imprese di nicchia che naturalmente non aiutano l’occupazione ne tantomeno la crescita del Pil, ci aspettiamo un Pil di meno 2% anche nel 2014 (Letta dice + 1% nel 2014 e +2% nel 2015, penso che abbia sbagliato paese), tanto oramai sono 3 anni che viene affermato che il prossimo anno vi è la ripresa e puntualmente assistiamo ad un meno 2% del Pil.
Inutile finanziare ulteriormente gli ammortizzatori sociali, diminuendo la spesa, arriveremo nel 2014 alla riduzione degli stipendi pubblici di oltre il 20%, arriveremo ad una diminuzione delle spese sulla sanità e forse ad un taglio delle pensioni! ciò ci aspetta se non risolleviamo il Pil, tutti sanno ciò che occorre fare, la riforma del lavoro e’ solo un pretesto per governare ancora.
Se non cambia la politica monetaria della Bce, l’Italia ha bisogno di una scossa finanziaria di 200 mld, 50mld per i crediti deteriorati delle banche e 150 mld per le imprese, non se ne viene fuori diversamente, ben venga la Troika se vengono in Italia questi soldi, altrimenti fuori euro e basta con l’allarme che fuori euro c’è’ solo la morte.
Leonardo
Questa legislatura è stata dichiarata morta dalla corte costituzionale con la bocciatura del porcellum. L’unica strada sensata sono le elezioni anticipate in primavera (dopo aver fatto uno straccio di legge di stabilità), con o senza una nuova legge elettorale. A quel punto sta ai partiti dimostrare di saper raccogliere voti proponendo soluzioni agli elettori. Affidare alla legge elettorale il compito di sopperire alla mancanza di consenso della classe politica mi sembra poco ragionevole e antidemocratico. I partiti non raccolgono voti perchè non hanno proposte convincenti e credibili. Non ci concederanno mai di sforare il 3%, ma è una opinione personale, e per questo l’abbattimento del cuneo fiscale è un sogno senza un taglio della spesa. In un articolo da voi pubblicato viene spiegato come ci sia una profonda ingiustizia nel sistema delle pensioni. Risolvendola ripartirebbero immediatamente i consumi interni che secondo me sono ben più importanti del cuneo fiscale.
Amegighi
Condivido l’idea delle Professioni. Io sarei per l’abolizione completa degli Ordini (e la loro sostituzione come Associazioni), ma, al contempo, bisognerebbe che i consumatori avessero dalla loro una maggiore capacità di controllo come gruppi o associazioni.
Sarei anche per l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Questa è una riforma più ampia, ma incide, secondo me anche sulle figure professionali e sugli Ordini. Metterebbe in competizione reale le Università anche sul piano della Didattica (“stranamente” dimenticata nella riforma Gelmini e fonte di gravi problemi attualmente negli USA dove nei passati anni si è puntato troppo sulla qualificazione scientifica dei professori e non su quella didattica) oltre che su quello della Ricerca .
Luca
2 punti su 5 tra quelli proposti riguardano il fattore lavoro. Il problema è sempre come pagare meno i lavoratori, o come pagare meno per il loro lavoro. D’altra parte, a giudicare dai dati non sembra che in Italia ci sia un problema di costo del lavoro:
RWvhSe2L6FZ5v6esFrgp5L6p
Media eurozona €/ora 27,6
Media Italia €/ora 26,8
Non una parola sul costo del capitale per le imprese italiane
http://qzprod.files.wordpress.com/2013/07/interest-rates-on-loans-of-up-to-1-million-to-non-financial-companies-germany-cyprus-spain-france-italy-portugal-euro-area-ireland_chart.png?w=1024&h=576
Che è ancora maggiore della media europea.
Curiosa idea di economia.
Un punto è sulla legge elettorale, che Renzi vuole che abbia l’obiettivo di garantire la governabilità. Avete capito bene, non la corretta rappresentanza delle forze politiche ma il fatto che chi vince abbia il diritto di fare quello che gli pare per 5 anni.
Curiosa idea di democrazia.
Il problema, sia in economia che in politica sembra essere sempre il: “dateci il potere di fare quello che vogliamo perché noi sappiamo cos’è meglio per voi”.
Banale idea di regime.
Piero
Sono un professionista iscritto all’ordine, l’eliminazione dell’ordine non penso che faccia diminuire le tariffe che oggi non vengono rispettate da nessuno, i professionisti sono i primi colpiti dalla crisi, non hanno coperture sociali, se oggi qualcuno pensa che si voglia superare la crisi con l’eliminazione degli ordini lo faccia, oramai gli ordini sono morti, il futuro sarà svolto dalle associazioni dei professionisti, associazioni che cercheranno di pubblicizzare l’attività degli iscritti.
In Italia con il dlgs del 2010 sulla revisione sono state autorizzate le grandi firme della consulenza allo svolgimento delle attività di consulenza, naturale che i marchi della consulenza hanno più richiamo del singolo professionista, ciò ha già sancito di fatto la fine delle professioni ordinistiche.
mikid
Purtroppo in tutte le proposte per uscire definitivamente dalla crisi non leggo e non ho mai letto che uno dei maggiori problemi dell’Italia è il VERO riconoscimento del merito in ogni campo. In Italia non si mai premiato il merito, nello Stato perchè il bravo e il pelandrone sono trattati in modo quasi uguale (o uguale) e nel privato perchè non è praticamente possibile licenziare i pelandroni. Nella vita al pelandrone, o peggio, al nullafacente è consentito vivere come, e a volte, meglio del lavoratore; come si può pensare che una società così organizzata possa migliorare e competere nel mercato globale!
Piero
Letta oggi dicendo ricomincio da zero, ammette il fallimento della sua azione governativa, quando qualcuno sbaglia viene punito, invece Letta si da da solo un secondo tentativo, qui ogni tentativo sbagliato abbiamo anche i suicidi per motivi economici, ricordo a tutti che con Monti vi sono stati oltre 110 suicidi per motivi economici, con Letta si arresto tale fenomeno perché aveva dato la speranza ai cittadini di un futuro migliore, invece dopo sei mesi visto il suo insuccesso sono ripresi i suicidi per motivi economici, penso che con la vita Letta non possa scherzare, quindi il suo ripartire da zero va messo in discussione, lui non deve ripartire deve fare con decreto legge tutto quello che occorre, poi passerà la palla ai parlamentari di convertire i decreti legge.
Provvedimenti immediati con decreto legge:
-riduzione compensi parlamentari e consiglieri regionali, max 10000 per i parlamentari con tutti i rimborsi spese e benefit inclusi, max 5000 euro per i consiglieri regionali; stesso tetto per i manager pubblici, che in caso che le società da loro amministrate chiudono in perdita vanno immediatamente sostituiti;
-aumento immediato della garanzia del Mediocredito per i prestiti alle imprese, garanzia che deve arrivare se richiesto dall’impresa al 40% del fatturato! dal lato delle imprese vi dovrà essere l’impegno al mantenimento occupazionale per almeno tre anni, per l’aumento di tale garanzia lo stato non deve accantonare nulla nel bilancio statale, come non ha accantonato nulla per la garanzia prestata alle banche per gli Ltro della Bce, si prevede una richiesta di garanzie di oltre 100 mld, lo stato percepirà una commissione dell1% e sarà circa 1 mld che potrà destinare agli ammortizzatori sociali; intervento della Cdp per le imprese in crisi, con cartolarizzati in io con mutui di liquidità garantiti da asset di proprietà, ciò in presenza di piani di ristrutturazione concordati con i lavoratori e banche, tutti accettano sacrifici, la Cdp immette finanza nuova con garanzie e l’impresa supera la crisi.
– immediata presa di posizione in Europa affinché vi sia un cambio della politica monetaria o una mutualizzazione dei debiti statali, ciò al fine di salvare l’Europa nel suo spirito costitutivo.
Sono no cose che di possono fare subito, prima di fine anno, basta con provvedimenti che non contengono nulla sono solo provvedimenti di marketing governativo, ciò può significare ricominciare da zero, deve avere il coraggio delle cose, parlare di riforma del lavoro di tasse di legge elettorale, tutte cose giuste, prima dobbiamo evitare la morte del paese poi si può parlare di queste problematiche che sono anch’esse importanti con la riforma della pubblica amministrazione che naturalmente deve essere più efficiente.
Sono cose semplici che si possono fare subito il decreto l
Piero
Vorrei aggiungere che l’unico programma di salvataggio passa attraverso la liquidità che deve arrivare alle imprese, oggi parlare di riforme di lavoro, quando vi è sempre di più una richiesta agli ammortizzatori sociali e’ inutile, oggi dobbiamo creare il lavoro, ciò può essere attuato o dal settore pubblico o dal settore privato, nel settore pubblico dobbiamo aumentare la produttività, quindi non si possono aumentare i lavoratori, mentre nel privato avevamo la disoccupazione in media con l’Europa, oggi abbiamo la disoccupazione in linea con la Grecia, dobbiamo intervenire nel settore delle imprese private, immediatamente, le imprese private principalmente soffrono di liquidità, le banche non prestano più i soldi alle imprese, hanno i bilanci pieni di titoli statali, dobbiamo quindi trovare alternative nell’immediato, fino a che la Bce non cambia politica monetaria o fino a che non si esce dalla trappola di un euro gestito dalla Merkel nella modalità attuale:
-lo stato tramite il Mediocredito legge 662 deve immediatamente garantire gli affidamenti in modo automatico ( procedura semplificata), la misura dagli attuali 2,5 milioni di euro deve arrivare almeno al 40% del fatturato, in cambio le imprese devono garantire l’occupazione almeno per tre anni, su tali garanzie le imprese pagano l’1%, se come penso lo stato dovrà garantire almeno 100 mld, incassa 1 miliardo che può utilizzare per gli ammortizzatori sociali, su tali garanzie non si dovranno fare nessuno accantonamento, non si fede nemmeno per la garanzia data alle banche per gli Ltro del 2012 di Draghi.
– lo stato tramite la Cdp dovrà fare mutui o prestiti di liquidità garantiti dagli asset immateriali o immobiliari delle imprese ( marchi o immobili) alle imprese da ristrutturare, naturalmente qui vi dovranno essere dei piani industriali di supporto condivisi anche dai lavoratori, alla fine e’ preferibile investire su tali aziende che fare scattare la cassa straordinaria per la tutela dei lavoratori.
– le imposte, si devono scendere, ma fino a che non cresce il Pil non si può toccare le imposte, oggi stiamo assistendo ad un -2% del Pil ogni anno! tra un po’ salta tutto se non viene invertita tale rotta! e’ falso quanto Letta ha detto che nel 2014 vi sarà un +1% del Pil.
Marcello Esposito
Per Luigi Guiso. Complimenti per le proposte,soprattutto per quella riguardante la trasformazione della Consob in una agenzia di tutela del risparmio (come la Costituzione vorrebbe) . Per completare le due proposte,aggiungerei il terzo “pillar” della difesa del risparmio. il divieto assoluto per le banche e le reti di promotori di percepire retrocessioni, monetarie o di altra natura, dagli emittenti dei prodotti/servizi finanziari da loro distribuiti. Il modello è quello inglese. Quindi, se una banca colloca un fondo comune, non può ricevere dalla SGR (italiana o estera) alcun compenso. In questo modo, l’interesse delle banche e quello dei loro clienti si allineerebbe immediatamente. In Inghilterra, sembra che nei primi mesi di attuazione di questo modello, le commissioni i gestione si siano quasi dimezzate. Aggiungerei che, nel collocamento di obbligazioni bancarie al pubblico retail, il prospetto dovrebbe riportare in prima pagina e ben evidenziato l’asset swap spread rispetto al BTP di pari scadenza. Ma questi sono dettagli che la nuova Consob sarebbe in grado di elaborare rapidamente se diventasse l’agenzia di tutela dei risparmiatori.
Francesco Eandi
La governabilità è un punto fondamentale di qualsiasi legge elettorale e conduce gioco forza a una aggregazione maggiore dei partiti che partecipano alle elezioni; il che a sua volta fa sì che l’elettorato possa sapere chi sarà il premier sulla base del partito che le vince. È questo un importante elemento di trasparenza. La “corretta rappresentanza delle forze politiche” puzza molto di proporzionale, che significa decine di partitini opachi e grandi inciuci nel post elezioni. Mi stupisce che ci sia ancora qualcuno che veda come fumo negli occhi il concetto di “governabilità”.
Luca
Intanto il “premier” in Italia non esiste ma abbiamo un Presidente del Consiglio che è un primo fra i pari e non un leader. Può non piacerle ma fino a quando non cambieremo la Costituzione sarà così.
Comprendo i suoi argomenti, in effetti ogni sistema ha i suoi pro e contro ma la mia opinione differisce dalla sua a causa di una semplice constatazione. In Italia, negli ultimi anni, non c’è stato un eccesso di discussione democratica ma uno strapotere del governo sul parlamento. In questo modo sono passati per decreto, e con la fiducia, provvedimenti antidemocratici come quelli che hanno difeso l’euro e penalizzato il lavoro. E, sempre fino a quando non avremo cambiato la Costituzione (quella su cui giurano i ministri, e il Presidente della Repubblica) l’Italia rimarrà una repubblica democratica fondata sul lavoro e non sull’euro.
Piero
Mi aspettavo commenti e proposte più incisive, chiaro che il passaggio dalla spesa storica a quella dei costi standard e’ il futuro per aumentare la produttività della pubblica amministrazione conseguendone la relativa diminuzione della spesa pubblica inefficiente ( la vera spending revue), ma Giavazzi si ricorda chi ha bloccato la spesa standard ritornando alla spesa storica? Monti.
Chiaro che le quote di una banca centrale non possono essere asset che possono essere scambiati sul mercato come qualsiasi altra merce,
Semplicistica, anche se condivisa, la riforma del lavoro, oggi il lavoro non c’è più, perché le imprese chiudono per mancanza di liquidità e affogate dalle tasse, si deve incidere su tali aspetti, poi il mercato del consumo interno e’ crollato creando un avvitamento delle imprese che avevano come sbocco il mercato italiano, considerato che il tessuto economico italiano e’ formato da pmi, si è’ avuto un crollo dell’occupazione senza precedenti, se non si interviene si ha un crollo più pesante del 1929, e non si da nulla per evitarli, si stanno facendo gli stessi errori di allora.
Mi aspettavo di più dagli Autori, su tale rivista da anni commento criticando la politica monetaria della Bce sulla linea tedesca, per una valuta forte come era il marco, questo poteva andare bene per la Germania e gli altri paesi del nord, ma non può andare bene e lo si è visto per i paesi meridionali; sulla politica domestica l’unico Autore che ha avuto coraggio e’ il Prof. Perotti che ha lanciato una campagna sui costi della casta, ciò di deve fare, invito anche gli Autori dell’articolo ad avere più coraggio critico nei confronti dell’attuale governo, che a mio avviso ha deluso tutti ad eccezione della “cricca” di Napolitano & C.
Piero
Brindare per lo spreed sotto i 200 punti e’ solo da pazzi, la Spagna ha fatto meglio di noi senza lacrime e sangue, hanno incassato con la bad bank quasi 100 mld, tutti riversati alle imprese che stanno ripartendo alla grande, al contrario in Italia abbiamo dovuto fare manovre sulle entrate per pareggiare il bilancio e tranquillizzare i mercati e quindi ridurre lo spreed, in sintesi non si deve brindare per avere ridotto lo spreed ma si deve conoscere come e’ stato ridotto o come si sarebbe potuto ridurre.
Franco T.
Ecco, appunto. La Troika a Roma non ci arriverebbe sana e ve lo dice uno che non è mai sceso in piazza.