Dopo mesi di numeri negativi, dai dati di luglio e agosto su fatturati e ordini è finalmente arrivata qualche buona notizia per l’economia. Ma è difficile che i gracili germogli di ripresa si trasformino in una ripresa duratura. L’economia mondiale che ha finora aiutato gli esportatori sta rallentando. Sul mercato interno pesa la stretta fiscale e sul paniere della spesa degli italiani pesa la mancanza delle liberalizzazioni.

Dopo mesi di numeri negativi, dai dati di luglio e agosto pubblicati a metà ottobre dall’Istat è finalmente arrivata qualche buona notizia per l’economia. Sono così rare le buone notizie di questi tempi che vale senz’altro la pena di capire meglio. C’è davvero da sperare in un’inversione di tendenza tante volte annunciata e per ora sempre rinviata ai mesi successivi?

LE BUONE NOTIZIE DA FATTURATO E ORDINI

Nel mese di luglio, il fatturato delle imprese industriali – destagionalizzato, cioè reso confrontabile mese per mese – ha mostrato finalmente un +1,3 per cento. Il dato è stato anche migliore per il mese di agosto, durante il quale il fatturato industriale ha aggiunto un altro +2,9 per cento. Lo stesso vale più o meno per gli ordini industriali che sono saliti del 2,9 per cento in luglio e di un più magro 0,7 per cento in agosto. L’andamento degli ordini è stato erratico nei mesi precedenti, con un’alternanza di dati positivi e negativi per tutto il 2012. I dati estivi del fatturato segnano invece un’inversione di tendenza dopo cinque mesi di segni “meno”.
Se si guarda tra le imprese industriali distinte per macro settori (produttori di beni durevoli, non durevoli, strumentali, intermedi ed energetici), in testa alla classifica di chi è andato bene sono i soliti noti, cioè le imprese attive nel settore energetico (+10,1 tra luglio e agosto). Ma significativamente i numeri positivi riguardano anche i produttori di beni di consumo durevole (+2,8 per cento) e di beni strumentali (i beni di investimento acquistati dalle aziende, che hanno mostrato un buon +5,2 per cento), i cui dati stagnanti o drammaticamente negativi sono stati per tutto il 2012 il miglior riassunto della crisi di fiducia in cui si trova l’economia italiana.
Le note meno positive continuano a venire dal mercato interno che ha alternato un buon +2,2 per cento in luglio con un -0,8 per cento in agosto. Purtroppo già da tutto il 2010,  l’economia italiana è caratterizzata da un andamento schizofrenico delle imprese attive sull’estero e di quelle attive sull’interno. La crisi dei consumi, l’aumento della disoccupazione e l’erosione del potere d’acquisto dei salari a causa dell’aumentata inflazione (soprattutto dei prezzi di luce, gas e benzina) hanno depresso profondamente le vendite e quindi i fatturati aziendali sul mercato interno. Le imprese attive sull’estero si sono invece difese bene, alcune benissimo, come emerge dagli altri dati Istat sulle imprese esportatrici da cui risulta che nel primo semestre 2012 metà delle imprese esportatrici hanno aumentato le loro esportazioni, soprattutto verso l’Asia (Giappone ed emergenti) e verso gli Stati Uniti. Ma nel complesso le buone notizie estive, per una volta, non riguardano sole le imprese esportatrici.  E’ una notizia che, se confermata per i mesi a venire, sarebbe davvero un segno cruciale di inversione di tendenza.

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LE INCOGNITE SULLA RIPRESA FUTURA

Se i gracili germogli estivi si trasformeranno in una fiorita ripresa autunnale dipende da due circostanze.
La prima è fuori dalla portata dell’Italia e riguarda l’andamento dell’economia mondiale. Malgrado ciò che dicono i pessimisti, il mondo per ora non è (ancora) in recessione: non lo è l’America, non lo è la Russia, non lo sono i paesi emergenti diversi da India e Cina. E in recessione non c’è ancora neanche l’Europa nel suo complesso: non lo è la Germania, non lo sono i paesi scandinavi e non lo è il più grande dei paesi dell’Europa Orientale, la Polonia. In recessione è una parte importante della zona euro che include i paesi dell’Europa del sud e, probabilmente, la Francia. Ma le aziende italiane esportano la maggior parte dei loro prodotti fuori da Francia, Grecia, Spagna e Portogallo. Se però oltre alla Cina anche Germania, Giappone, Stati Uniti e Russia rallentassero, neppure le imprese esportatrici potrebbero fare molto. I dati di settembre del commercio extra-Ue che mostrano un -2 per cento non sono un buon segno per i mesi a venire.
Il secondo ordine di circostanze riguarda il mercato interno. E qui purtroppo in negativo su consumi e investimenti continueranno a pesare le inevitabili restrizioni fiscali in atto. Peserà anche qualcosa che inevitabile non era: la mancata attuazione di liberalizzazioni più incisive nel ridurre rapidamente il costo del paniere della spesa dei consumatori italiani. Le riduzioni dei prezzi dell’energia, dei farmaci, dei servizi professionali, dei costi assicurativi e bancari che avrebbero potuto arrivare da liberalizzazioni e privatizzazioni non si sono viste. E la loro mancanza rende più pesante il paniere della spesa degli italiani.

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