L’accelerazione del segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, sulla legge elettorale ha finalmente fatto calare le carte perlomeno agli attori principali. Come dovrebbe funzionare, in particolare, il cosiddetto “Italicum” su cui sembra si sia trovato l’accordo?
FUNZIONAMENTO E DETTAGLI MANCANTI
Va in primo luogo detto che se la proposta approvata durante la direzione del PD di lunedì 20 gennaio 2013 contiene più informazioni di quelle circolate nei giorni precedenti, non è da sola sufficiente a essere trasformata in una legge elettorale. E, come si sa, il diavolo si nasconde fin troppo spesso nei dettagli.
Il modello di allocazione dei seggi ricorda molto da vicino quello dell’elezione del Sindaco, con un misto tra Comuni sopra e sotto i 15.000 abitanti. Nei Comuni piccoli, infatti, al candidato Sindaco vincente basta un voto in più del secondo per vincere e ottenere il premio di maggioranza (nell’Italicum, bisogna superare la soglia del 35 per cento); nei Comuni grandi, invece, se nessuno raggiunge la maggioranza assoluta, è necessario un secondo turno (come nell’Italicum in caso nessuno raggiunga la soglia del 35 per cento). Il premio di maggioranza è variabile: del 18 per cento se il primo partito (o coalizione) ottiene il 35 per cento, e poi decrescente, perché comunque anche al vincitore non possono essere assegnati più del 55 per cento dei seggi. Quando è necessario il secondo turno, al vincente è assegnato direttamente il 53 per cento dei seggi. Allocati i seggi al primo, dopo uno o due turni di votazioni, i restanti sono ridistribuiti su base puramente proporzionale all’interno di un collegio unico nazionale. Sono previste soglie di sbarramento esplicite del 5 per cento per i partiti che appartengono a una coalizione, dell’8 per cento per i partiti che corrono soli, e del 12 per cento per le coalizioni. La legge elettorale dei Sindaci non prevede soglie esplicite: tuttavia, il numero limitato di posti in Consiglio comunale, sommata all’elevato numero di liste concorrenti, induce soglie implicite non molto diverse da quelle proposte da Italicum. Ovviamente, nel nostro sistema parlamentare, la legge elettorale nazionale non può proporre alcuna elezione diretta del premier, se non una vaga indicazione come già avviene con l’attuale legge elettorale e come già avveniva con il Mattarellum.
L’ASSEGNAZIONE DEI SEGGI
E come verrebbero riempiti i posti in Parlamento, una volta distribuiti i seggi? Qui è dove il meccanismo è meno chiaro. Il collegio unico nazionale dovrebbe essere suddiviso in un numero di collegi corrispondenti alle province o più piccoli e a ognuno di questi collegi dovrebbero essere assegnati un certo numero di deputati (ipotizziamo, in base alla popolazione residente). Si tratta quindi di piccoli collegi plurinominali. Sulla scheda elettorale, ogni elettore dovrebbe trovare i partiti che corrono alle elezioni e una lista bloccata di candidati (ancora, ipotizziamo di lunghezza pari al numero di deputati assegnati a quel collegio). A seconda dei seggi assegnati a ogni partito su base nazionale, le cifre elettorali dei singoli collegi dovrebbero servire a determinare quanti dei candidati di quel collegio sono eletti. Con la possibilità ovviamente che un partito o lista risulti “vincente” a livello locale ma non veda eletto alcun candidato a livello nazionale (si pensi a un partito fortissimo a livello locale che però non è in grado di superare la soglia a livello nazionale).
Sono infine previsti criteri per evitare le “liste civetta” (non specificati, ma forse nascosti nella previsione di impossibilità di apparentamento tra primo e secondo turno) e il riequilibrio dei generi (quest’ultimo, davvero misterioso: non si capisce nemmeno se si tratta di un riequilibrio necessario ex ante o addirittura ex post).
L’ITALICUM E LA CONSULTA
La nuova legge elettorale supera i problemi d’incostituzionalità del Porcellum? I punti sollevati dalla Corte sono sostanzialmente due: l’eccessivo premio di maggioranza, indipendente da una soglia minima, e l’impossibilità di riconoscere i candidati all’interno di liste troppo lunghe.
Per quanto riguarda il primo punto, la proposta introduce una soglia minima, naturalmente arbitraria, pari al 35 per cento dei voti. Troppo poco? Forse sì, sia dal punto di vista politico, sia da quello costituzionale: un premio del 18 per cento dei seggi, nel caso scattasse, rappresenterebbe quasi il 50 per cento dei propri voti. Sarebbe quindi garantita la soglia minima, ma non sarebbe forse risolto il problema della “sproporzione” tra voti e premio. Evidentemente gli equilibri politici hanno spinto verso soglie difficilmente difendibili alla luce di altre considerazioni. Ma su questo bisogna anche essere chiari: o si opta per un sistema maggioritario o si devono accettare premi di maggioranza – anche elevati – per garantire governabilità all’interno di un sistema proporzionale. E vale la pena di ricordare che nei sistemi maggioritari le distorsioni tra seggi e voti possono essere anche peggiori di quelle indotte da sistemi proporzionali con premio di maggioranza.
Per quanto riguarda invece le liste, in molti sembrano pensare che la possibilità di scrivere l’intera lista di nomi sulla scheda superi il problema d’incostituzionalità. È possibile, e così sembra in effetti essersi espressa la Corte, facendone un problema quantitativo (la lunghezza della lista), anche se [tweetability]non è chiaro quanto debba essere lunga la lista perché sia costituzionalmente accettabile [/tweetability]. Tuttavia, l’escamotage appare più formale che sostanziale: resterebbe l’incertezza su quanti dei candidati potranno essere eletti, esattamente come avveniva con il Porcellum. E se non si elimina la possibilità di candidature multiple, di cui nulla si dice, il rischio di un parlamento di nominati resta sostanzialmente inalterato.
LE PROBLEMATICHE
Restano poi molti dubbi sul percorso. Implicitamente, [tweetability]la nuova legge scommette sul successo della riforma costituzionale [/tweetability], con la trasformazione del Senato in Camera non eletta e non legata a un rapporto di fiducia con il governo. Altrimenti, ci potrebbe essere il rischio di due camere, con due premi di maggioranza e due ballottaggi che conducono a vincitori diversi, un assurdo istituzionale. Ma per i processi diversi delle leggi ordinarie e di quelle costituzionali, la legge elettorale sarà necessariamente approvata prima dell’abolizione del senato; il rischio di un patatrac rimane dunque presente. Il punto più delicato è poi il riparto dei seggi a livello locale; se non verrà trovata una soluzione soddisfacente, il rischio di una riedizione dei problemi di carenza di accountability del Porcellum si riprodurranno tutti. Infine, pur sottolineando il successo dell’iniziativa di Renzi, fa un po’ specie che i diversi interessi dei partiti finiscano ancora una volta per produrre una legge elettorale complicatissima, che non ha paragoni in Europa, con soglie diverse di sbarramento per i partiti (in coalizione o meno), con un turno unico che però può diventare a due turni per una questione di percentuali, con collegi piccoli, ma il cui voto può non essere sufficiente a determinare gli eletti etc. Se lo scopo della legge elettorale è anche quello di avvicinare i cittadini alla politica, aumentando la trasparenza nel rapporto tra eletto e elettore, questa proposta lo fallisce miseramente.
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Massimo Matteoli
Ora che la proposta è abbastanza chiara si possono fare due osservazioni:
La prima è che in realtà più che dei comuni il modello ispiratore mi sembra quello delle elezioni provinciali (collegi piccoli con
attribuzione dei seggi su base proporzionale calcolata sul totale dei voti,, ed eventuale ballottaggio con premio di maggioranza).
Potrà apparire abbastanza macchinoso, e pur con tutti i problemi che si porta dietro (frutto perlatro della situazione politica) in realtà risponde ad una esigenza di governabilità e di chiarezza non rinunciabile
L’unica alternativa sarebbe, infatti, la palude dei governi delle
larghe intese, perché in un paese diviso in tre blocchi nessun sistema
diverso dal ballottaggio di coalizione garantisce una maggioranza certa,,
nemmeno il doppio turno di collegio.
Quello che non si capisce
(o, meglio, purtroppo si capisce anche troppo bene) è il ritorno delle
liste bloccate, dopo che la Corte Costituzionale le aveva eliminate.
Non mi rispondete che saranno corte, perché quello che conta non è la
loro lunghezza ma il totale dei candidati che possono esser nominati dai
segretari nazionali dei partito ed anche con questa proposta siamo al
100% esattamente come con il porcellum.
La cosa è ancora più
grave perché il sistema funziona perfettamente sia con le preferenze che
con il collegio uninominale con recupero unico (è appunto così che si
eleggevano le Province);; se si è scelta, anzi imposta, una strada
diversa evidentemente c’è un interesse che con la governabilità non ha
nulla a che vedere.
Spero che la voce dei cittadini e
dell’opinione pubblica si faccia sentire e forte per correggere questo
aspetto. Per quanto mi riguarda di nominati non ne posso più.
Davide Vittori
Ringrazio i due autori, finalmente trovo qualcuno che ritiene questa legge: a) al limite del costituzionale b) con il riparto nazionale dei voti, incapace di dare rappresentatività (anche perchè non si specifica a cosa servano le persone inserite nelle liste bloccate, dato che il mio voto potrebbe potenzialmente sbloccare altri seggi da altre parti d’Italia) c) fornisce un premio non “ragionevole” (cit. Corte Costituzionale) anche se pone una soglia: il premio consiste in più della metà dei voti presi da un partito/coalizione se si supera il 35% d) qualora la riforma Costituzionale non passi e il Senato rimanga così com’è avremmo una situazione al limite della totale ingovernabilità, peggiore anche degli esiti del Porcellum.
Quindi non vedo come Renzi possa cantare vittoria o blindare la legge per l’esame in Parlamento.
Questo propor-alismo (un misto tra proporzionale tedesco e tentativo di creare un bipolarismo) è veramente un assurdo politico.
Angelo Palma
Personalmente sarei contento se la proposta non contenesse tutti gli elementi per la sua trasformazione in legge in quanto lascerebbe spazio al Parlamento.
Forse il riequilibrio dei generi varrà per le candidature, altrimenti andrebbe studiato un meccanismo probabilmente complicato.
E’ possibile che il Parlamento introduca le preferenze o altrimenti – con liste corte – bisognerà utilizzare le primarie almeno in quei partiti che vorranno adottarle. Si potrebbero però introdurre per legge.
Spero che il Parlamento vieti le candidature multiple.
Potrebbero effettivamente esserci problemi se, a legge approvata, non venisse abolito in tempo il Senato elettivo. Ma l’inconveniente paventato farà da deterrente alla fine anticipata della legislatura.
Guest
Personalmente, se è lecito esprimere un auspicio, sarei per un maggioritario, doppio turno e collegi uninominali, ma l’assunto implicito, o dichiarato, è l’eccezionale ingovernabilita’ Italiana (ho contato 59 governi dal sito del Governo Italiano dalla fine del governo transitorio; mi scuseranno per eventuali omissioni, altamente probabili). Non mi si fraintenda, condivido i caveat esposti nell’editoriale, ma allora perché non dire espressamente quale modello e perché? Né sfugga che l’ultimo paragrafo verte sul Senato della Repubblica Italiana, la cui funzione è tanto evanescente che ci si sforza invano di rinvenirne una giustificazione da decenni (anche in questo caso periodizzazione approssimata per difetto)
Il modello di allocazione e’ evidentemente esemplificato su quello del Sindaco, l’unico modello in grado di produrre qualche risultato, in Italia a patto che si vieti l’aberrazione della possibilità di candidarsi in più seggi.
In breve: una legge che si regge con il ‘bilancino’ nel tentativo di scongiurare le larghe intese.
Fabrizio
Ma è ancora più grave che i voti di una lista che non supera lo sbarramento vengano attribuiti alla coalizione. Quindi viene meno il principio di mandato diretto tra elettore ed eletto. Andrebbe abbassata la soglia, anche fino al 3%, ma i voti dei partiti che non la superano devono andare persi. O no?
Mauro
Ottimo articolo. In relazione alla possibile incostituzionalità, la Corte ha stabilito che il Porcellum determinava una “una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare”. Purtroppo l’Italicum rischia di fare lo stesso: un partito che prende il 20% alleato con 4 partiti che si fermano al 4 potrebbe ottenere la maggioranza assoluta di seggi; un partito al 15% alleato con 5 partiti che prendono il 4 potrebbe ottenere la maggioranza assoluta di seggi….. e così via.
Emanuele
Mi spiace ma non funziona come dice lei. I partiti che nel suo esempio prenderebbero il 4% sarebbero sotto la soglia di sbarramento(stabilita all’8% per i singoli partiti che si coalizzano)
Mauro
Dal sito del PD: “Il modello prevede una distribuzione dei seggi con metodo proporzionale,
con l’assegnazione di un premio di maggioranza eventuale e limitato e l’attribuzione dei seggi su base nazionale. In particolare, alla lista o alla coalizione di liste che abbiano conseguito il maggior numero di voti viene attribuito un premio di maggioranza pari al 18% del totale dei seggi in palio. Tale premio tuttavia viene assegnato
esclusivamente se la lista o la coalizione di liste maggiore ha conseguito almeno il 35% dei consensi”.
Io capisco che una coalizione che ha superato il 35% ottiene il premio. Se al suo interno ci sono partiti che non superano la soglia, allora il premio va solo al partito maggiore. Era così anche con il porcellum, credo.
marco parigi
corretto, infatti.
Marco Nichele
Il problema vero restano i poteri del governo (che nella Costituzione italiana non esistono e andrebbero introdotti, al pari delle altre costituzioni europee). La legge elettorale può favorire un sistema dell’alternanza piuttosto che un sistema consociativo, ma non realizzerà mai la governabilità e la stabilità, che possono essere ottenute solo dando al governo dei precisi poteri sul piano costituzionale.
Giuseppe
Ci dovremmo tenere il proporzionale puro che la Consulta ci ha dato, e perseguire la governabilità con una repubblica presidenziale. Il Presidente delle Repubblica dovrebbe essere capo del governo e scegliersi i ministri a piacimento (e vedrete come diventerà naturale la scelta di bravi ministri tecnici piuttosto che mezze tacche di politici). In un regime parlamentare, dove il Governo può essere sfiduciato in qualsiasi momento non ci può essere governabilità. O si litiga nel governo o nella coalizione o si fa un grande partito che stravince e si litiga nel grande partito. Bisogna accettare l’idea di un meccanismo che dia un vincitore e che questo vincitore, capo del governo, sia irrevocabile dal parlamento. D’altra parte già oggi lo spirito costituzionale della repubblica parlamentare è stato stravolto, perché ogni provvedimento arriva a botta di decreti legge che dovrebbero essere approvati dal Capo dello stato solo per necessità e urgenza. Ma invece sono la regola. Il capo dello stato consente ormai sistematicamente l’invasione di campo del governo nelle prerogative del parlamento. Quindi facciamo il presidenzialismo e la facciamo finita. Così il presidente ce lo scegliamo noi, magari col doppio turno.
Luigi Barberio
Sicuramente non agevola la trasparenza ed allontana la gente dalla politica. Invece di semplificare complica e non poco. Ma le scelte semplici, che sono le migliori, perché non si possono perseguire? Chi coagula almeno il xx% dei voti prende la maggioranza. Non sono consentiti apparentamenti preventivi tra liste, le posizioni devono essere ben chiare prima e non modificabili.
Leonardo Padovano
Questo sarebbe un sistema maggioritario e non proporzionale
Guest
Chiaramente un incentivo ad aggregarsi/ strutturarsi prima di entrare in Parlamento, esemplato sull’altro modello di legge elettorale disponibile.
Due partiti sono piu’ che sufficienti: si elaborano proposte, si discutono e si implementano.
Bisogna vedere concretamente come la redigono. Fermi I Dubbi sollevati.
Piercarlo Giustiniani
Ho alcuni appunti da fare sull’ “Italicum” così come descritto nell’articolo e nei giornali.
Il primo riguarda la soglia del 35%.
Da un grafico che non ho riportato per motivi di editing e che rappresenta il premio di maggioranza necessario per ottenere una percentuale prefissata di seggi in Parlamento in funzione della percentuale di voti ottenuta al primo turno risulta che con un premio di maggioranza del 18% occorre una percentuale di voti del 43% per ottenere la maggioranza del 53% in Parlamento, e non del 35% come a prima vista si potrebbe pensare. Questo perché essendo il 18% del Parlamento destinato al premio di maggioranza, viene eletto soltanto il rimanente 82% e il 45% dell’82% dà appunto quel 35% che,aggiunto al 18% consente di ottenere il 53% dei seggi. Con un premio di maggioranza del 18% il valore del 35% è corretto solo se si fa riferimento ai seggi ottenuti in Parlamento; se si fa riferimento ai voti occorre parlare del 43%. Per ottenere la maggioranza del 53%, un partito che ha avuto al primo turno il 35% dei voti (cui credo si riferiscano i proponenti) deve contare su di un premio di maggioranza del 27%. Il secondo aspetto riguarda la soglia minima per accedere al premio di maggioranza. L’”Italicum” non prevede una soglia minima di voti per conseguire la maggioranza del 53%. Questo vuol dire che il premio potrebbe andare anche ad un partito che ottenesse il 25% dei voti. Può accadere infatti che al primo turno il primo partito ottenga il 34% dei voti e il secondo il 25% ed al secondo turno il secondo partito abbia la maggioranza. Ciò equivale ad un premio di maggioranza del 37%, valore forse eccessivo. E’ vero che in questo caso non si può parlare di premio di maggioranza ma del risultato di una elezione fatta per scegliere chi governerà
tra due partiti, ma è corretto che un partito con una così bassa rappresentatività possa pretendere il diritto di governare da solo? Il terzo aspetto riguarda il doppio turno. L’”Italicum” prevede che sopra la soglia del 35% (dei voti o del seggi del Parlamento?) non si faccia ballottaggio e sotto questa soglia sì. Ed è qui la complessità del meccanismo: se per esempio il premio da assegnare con un solo turno è del 27%, che corrisponde al 35% dei voti e si consente che un partito che non raggiunge al primo turno il 35% ma raggiunge il 25%, possa comunque avere la maggioranza del 53% in Parlamento dopo il secondo turno, occorre prevedere che il premio messo in palio al secondo turno sia del 37%. Questo comporta che l’10% di Parlamento potenzialmente neoeletto, se non viene raggiunta la soglia del 35% dovrà essere dismesso e sostituito da nuovi Parlamentari oppure che la scelta dei parlamentari eletti dopo il primo turno sia limitata al 63% e il resto assegnato dopo il secondo turno, oppure ancora che la scelta dei deputati venga differita dopo esecuzione del secondo turno.
Forse è meglio stabilire una soglia minima per la percentuale di voti necessaria per poter pretendere la maggioranza che consente di governare e di conseguenza un valore massimo per il premio di maggioranza. Se entrambi i partiti con maggior
numero di voti sono sopra o sotto la soglia minima si va al ballottaggio: nel primo caso però aggiungendo il premio di maggioranza sarà possibile raggiungere la maggioranza del 53%, nel secondo caso no e sarà necessario un patto di
governo con altri partiti. Nel caso che un solo partito superi la soglia minima non è necessario il ballottaggio. Il ballottaggio è necessario anche nel caso in cui entrambi i partiti superano la soglia minima perché non è pensabile che nella scelta tra due partiti con circa lo stesso numero di voti vengano esclusi gli elettori di tutti gli altri partiti e che basti un voto di differenza senza un secondo giudizio di tutto l’elettorato per assegnare una quota di Parlamento che varia dal 27% al 37% ad un solo partito. Il quarto aspetto riguarda la maggioranza compresa tra il 53% e il 55%
Può essere corretto il concetto di diminuire il premio di maggioranza all’aumentare della percentuale di voti ottenuta, ma è sbagliato dire che la percentuale in Parlamento viene limitata al 55%.
Guardando il grafico non riportato risulta che se si stabilisce che la soglia minima di percentuale di voto è il 25% e di conseguenza il valore massimo del premio il 37% (valori presi solo come esempio), questo valore del premio vale per le percentuali di voto comprese tra il 25% e il 28%, finchè non si interseca la linea che corrisponde alla percentuale del 55% di seggi in Parlamento. Per valori superiori al 28% il premio cala in accordo con la linea verde azzerandosi per la percentuale del 55%. Ma se un
partito ottiene il 60% di voti, non è che il suo numero di seggi deve essere portato al 55%. La dizione corretta è quindi che “il premio decresce in modo da mantenere il numero di seggi al valore del 55% fino ad azzerarsi per una percentuale di voti pari al 55%.
Ugo detto Piero
Ma la problematica dei nominati non sarebbe opportunamente superata dalle primarie. Tornare alle preferenze potrebbe riaprire le problematiche di qualche tempo con i brogli e non solo, con gente sorretta non si sa da chi? Si dice che le primarie costano ma non costano maggiormente campagne elettorali in cui chi è messo in lista cerca “disperatamente” di farsi eleggere e quindi chi ha più disponibilità avrà vita facile? E poi la scelta ai cittadini è sempre limitata perchè qualcuno farà la lista ovvero il partito. Si teme allora che chi dirige il partito non vada bene e non rispetta i dettami di un programma discusso nelle varie sedi oppure vi è qualcosa che non va. Sembra sempre che se non si fa ciò che dice la minoranza si è antidemocratici. La libertà consiste nel rispetto delle minoranze, nell’ascoltarle ma se chi deve decidere non decide non si avrà mai una linea e mai vi sarà un colpevole che successivamente, sempre in democrazia, sarà “eliminato”.
Filippo Crescentini
Una lista da votare o da respingere in blocco, lunga o corta che sia, è l’espressione di un sistema elettorale che non consente la scelta agli elettori. Gli elettori scelgono se possono esprimere un voto di preferenza o se si trovano davanti una pluralità di candidati di tante liste diverse, uno per ogni lista. Il voto espresso a livello locale conta se la distribuzione dei seggi avviene al livello del collegio (il seggio lo prende chi ottiene più del 50% dei voti espressi, al primo turno o nel ballottaggio), non se concorre solo a fare la graduatoria tra le percentuali riportate dalla stessa lista in tutti i collegi. Chi ha pensato al Porcellum prima spezzato in tanti collegi elettorali per raccogliere i voti e poi ricomposto a livello nazionale per la distribuzione dei seggi, è un norcino, non uno statista né un politologo né un costituzionalista.
Pino
Personalmente credo che introdurre il Senato delle regioni nominato dalle regioni non sia democratico. Avevamo un parlamento di nominati e lo sostituiamo con una camera di nominati dagli enti locali che tanto bene hanno fatto con il federalismo fiscale (Scandalo Lazio, Piemonte,Campania, Sicilia, Lombardia, ecc..). Le capacità di gestione delle nostre regioni l’abbiamo visto in sede nella sanità con il moltiplicarsi di regioni fallite. Una camera la lasciamo a loro che potranno decidere su Sanità e IRAP (costo del lavoro) ? Ma siamo impazziti? E tutto questo per avere mano libera sulla riforma del restante titolo V e sulla gestione delle infrastrutture strategiche (TAV, TAP, rifiuti, Acqua, ecc..) tagliando fuori le regioni. Credete che le popolazioni residenti non protesteranno comunque se non c’è un accordo locale?!
Eliminiamo i piccoli partiti che non seguono il pensiero unico ed avremmo immensi partiti divisi in mille correnti come era la DC. Questo sarebbe il futuro?
Roberto Dondè
Esprimo lo stesso auspicio. Sarebbe l’unico modo di garantire la “trombabilità” di qualsiasi candidato.
Luigi Oliveri
Un simile sistema può andar bene negli enti locali, dove si amministra e non si fa politica, intesa come libera determinazione dei fini di un indirizzo politico da tradurre in legge. Per decidere se e dove asfaltare una strada, vanno bene sistemi rappresentativi spicci e alta forza dell’esecutivo. Quando si tratta di politica estera, economia, trattati internazionali, lavoro, istituzioni, professioni, la vita di un Paese appare piuttosto evidente l’inadeguatezza dell’Italicum, figlio evidentemente di una cultura dirigista e limitata alla sola esperienza di presidente di provincia e sindaco.