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Le sofferenze bancarie frenano il credito

Dal 2009 l’incidenza delle sofferenze bancarie, più o meno gravi, è continuamente aumentata. E le banche hanno reagito riducendo l’erogazione di finanziamenti. Come uscirne? Da valutare con cautela l’idea di una bad bank, sull’esempio spagnolo. Andrebbe ripreso il discorso sulle cartolarizzazioni.
LA DINAMICA DEI CREDITI DETERIORATI
Tra le molte conseguenze negative della crisi economico-finanziaria che ha colpito l’Italia, vanno senz’altro annoverate le crescenti difficoltà che le imprese, soprattutto di piccola dimensione, e le famiglie hanno nel far fronte ai debiti contratti negli anni passati. Un riscontro diretto si rileva dall’andamento delle sofferenze bancarie, ovvero di quei crediti vantati dalle banche verso soggetti in stato di insolvenza. Secondo i dati relativi a gennaio 2013 le sofferenze, al lordo delle svalutazioni e dei passaggi a perdita eventualmente effettuati, ammontano a oltre 125 miliardi di euro, in crescita del 17 per cento rispetto a un anno prima (circa 20 miliardi in più in valore assoluto).
Il tema della qualità del credito bancario e dei suoi riflessi sulle politiche di erogazione dei finanziamenti è stato approfondito, in particolar modo, nell’ultimo Rapporto banche realizzato dal Cer. Oltre ai finanziamenti in uno stato di grave insolvenza sono stati considerati anche i crediti con un minor grado di problematicità. Nel complesso, l’aggregato viene definito dalla Banca d’Italia come “crediti deteriorati”, che possono poi classificarsi in quattro livelli crescenti di patologia:
– esposizioni scadute o sconfinanti: crediti che, alla data di segnalazione, sono scaduti o sconfinanti, rispetto al fido concesso, per oltre 90 giorni continuativi;
– esposizioni ristrutturate: crediti le cui condizioni contrattuali originarie sono state modificate a favore del debitore al fine di tener conto del peggioramento delle condizioni economico-finanziarie di quest’ultimo;
– partite incagliate: crediti nei confronti di soggetti in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, di cui però si prevede la possibile soluzione in tempi congrui;
– sofferenze: crediti verso soggetti in stato di insolvenza o in una situazione sostanzialmente equiparabile.
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La dinamica dei crediti deteriorati, e della loro ripartizione, è riportata nel grafico 1. Il grafico è ottenuto utilizzando le informazioni presenti nell’Osservatorio Avantage Reply, che raccoglie i dati di bilancio di un campione di circa venti gruppi bancari italiani che complessivamente rappresentano oltre l’80 per cento del totale dei crediti erogati dal sistema bancario italiano. Le informazioni sui singoli dati di bilancio permettono di avere un quadro più ampio rispetto al dettaglio offerto dalla Banca d’Italia nel Bollettino statistico. Nello specifico si può osservare come dal primo trimestre del 2009, periodo in cui si sono dipanati tutti gli effetti della crisi finanziaria ed economica, fino al terzo trimestre del 2012, i crediti deteriorati hanno raddoppiato la loro incidenza. Dal dettaglio per patologia si può riscontrare che l’incremento ha riguardato tutte le tipologie, sia quelle più gravi sia quelle più lievi. In termini percentuali, l’incremento maggiore si può comunque constatare per i crediti ristrutturati, a evidenza del fatto che le banche italiane hanno cercato di evitare situazioni patologiche ancor più gravi concedendo migliori condizioni a una fetta crescente di debitori che si sono trovati in difficoltà.
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Note: 1° e 99° percentile della distribuzione delle due variabili considerate sono stati eliminati.
I gruppi maggiori (Irb) includono Unicredit, Intesa e Mps. I gruppi grandi (non Irb) includono Bnl, Banco Popolare, Bper, Bpm, Bpvi, Carige, Cariparma e Ubi. I gruppi medio-piccoli (non Irb) includono Banca etica, Bp Spoleto, Bra, Cr Bolzano, Fucino, Mediolanum e Veneto Banca
*Relazione statisticamente significativa all’1 per cento.
Fonte: elaborazioni Cer su dati Osservatorio AvantageReply.
EFFETTI SUL CREDITO
L’insorgere dei crediti di peggiore qualità non è però un problema circoscritto alle sole banche, in quanto effetti negativi si ripercuotono anche sul mercato del credito. Per evidenziare la relazione tra qualità del credito e sua dinamica è utile distinguere il campione di banche esaminato in tre diverse categorie:
– i gruppi maggiori che, per tutto il periodo di tempo considerato, hanno adottato modelli di valutazione interna del rischio di credito (Internal Ratings Based, o Irb);
– i gruppi grandi che non hanno adottato i modelli Irb per tutto il periodo considerato; (1)
– i gruppi medio-piccoli che non hanno adottato i modelli Irb.
Nel grafico 2 è rappresentata la relazione esistente tra l’incidenza dei crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti, rilevata quattro trimestri prima (t-4), e il tasso di crescita degli impieghi osservato nel trimestre di riferimento (t). Nel grafico, per ogni banca, sono rappresentate le singole osservazioni trimestrali nonché la retta di regressione lineare che approssima la relazione esaminata. Dal grafico si rileva come per le banche di grandi dimensioni la relazione tra crediti deteriorati e crescita degli impieghi sia negativa e statisticamente significativa, mentre per le altre due categorie di banche la relazione, seppur positiva, non risulta essere robusta da un punto di vista statistico. In altri termini, all’aumentare dell’incidenza dei crediti in stato di patologia, più o meno grave, queste banche hanno reagito, nel periodo considerato, riducendo l’erogazione di finanziamenti.
Una possibile spiegazione di questa diversa reazione può essere ricercata, da un lato, nella differente dotazione di capitale tra le tipologie di banche considerate: se i gruppi maggiori hanno infatti evidenziato un Tier1 ratio, nel periodo compreso tra l’inizio del 2009 e il terzo trimestre del 2012, pari in media al 9,4 per cento, ottenuto anche grazie al minor assorbimento di capitale derivante dal semplice utilizzo dei modelli Irb, i gruppi grandi non Irb si sono fermati all’8,2 per cento. Rispetto ai gruppi medio-piccoli il divario di capitale è invece meno marcato (Tier1 ratio medio dell’8,4 per cento), ma quest’ultima tipologia di banca, avendo un potenziale impatto sistemico ben più contenuto data la ridotta dimensione, risulta essere meno pressato dalla vigilanza bancaria nazionale ed europea.
In definitiva, l’influenza negativa dei crediti patologici sulle politiche attuate dagli istituti di credito in termini di erogazione dei finanziamenti dovrebbe indurre a dare vita ad alcuni interventi mirati a “ripulire” i bilanci bancari dall’eccessivo e crescente peso dei crediti deteriorati. Tra le possibili soluzioni potrebbe esservi quella dell’istituzione di una bad bank, prendendo ad esempio spunto dalla recente esperienza spagnola, che raccolga e gestisca i crediti patologici. Questa strada andrebbe però percorsa con cautela, posto il rischio di far percepire l’industria bancaria italiana in uno stato di dissesto e acuire le difficoltà nel reperimento dei capitali sui mercati finanziari. Altra strada potrebbe essere quella di intervenire per migliorare e normare alcuni meccanismi di funzionamento delle procedure di cartolarizzazione dei crediti in sofferenza, al fine di cercare di rilanciare questo segmento di mercato che dopo la crisi finanziaria si è pressoché prosciugato.
(1) Al riguardo va sottolineato che Ubi e Banco Popolare hanno adottato i modelli Irb solo a partire dal secondo trimestre del 2012.

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  1. non si possono cartolarizzare i crediti deteriorati, perchè per lo IAS 39 la banca già non fa derecognition e risponde in pro-soluto dei crediti in bonis. E cartolarizzare crediti non in non si può fare, perchè non comprerebbe nessuno le azioni o le obbligazioni della SPV e la BCE non le prenderebbe a garanzia, quindi oltre a non fare derecognition si avrebbero costi e zero risultati.
    Le idee dovrebbero basarsi anche su cose fattibili, altrimenti meglio esporre i fatti e non conclusioni che non hanno una fattibilità pratica….

  2. Lettore interessato

    I crediti in sofferenza possono essere cartolarizzati e, trattandosi di cessioni pro soluto (e non pro solvendo), la banca non ne risponderebbe. E’ anche possibile (anche se non agevole) effettuare una cartolarizzazione di sofferenze che consenta alla banca cedente un deconsolidamento degli attivi. Le banche italiane ne hanno già realizzate. Mi sembra che il tema centrale è che oggi su questo tipo di attivi vi sono molti soggetti interessati ad investire (lo sa bene chi conosce questo mercato) ma non vi sono venditori (cioè le banche). Questo perchè vi è una differenza ancora incolmabile fra valore di mercato (bid dei potenziali investitori) e valore contabile (gross book value ovvero prezzo richiesto dalla banca). Ed avvicinarsi al valore di mercato vorrebbe dire realizzare pesanti perdite in contro economico. Che le banche oggi non possono permettersi. Complimenti per l’articolo.

    • buongiorno
      è vero che si possono cartolarizzare, ma se io Banca non faccio derecognition, ottengo cassa ma non modifico il bilancio e quindi l’assorbimento patrimoniale delle stesse. Ergo, sono sempre senza capitale e non posso erogare. gli acquirenti di NPL acquistano i non garantiti tra l’1% ed il 3% del valore degli stessi, i garantiti si arriva al 10%, In caso di vendite effettiva la banca registra a conto economico l’anno di cessione la perdita piena, ergo effetti sul patrimonio di vigilanza, ergo necessità ricapitalizzare.

      • filippo

        Prima bisogna trovare qualcuno che sia disposto ad acquistarli e poi magari ne parliamo.

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