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Ma la Lombardia non vuole il nuovo Isee

L’accordo sul nuovo Isee sembrava cosa fatta, ma la Lombardia lo ha bloccato. Motivo del contendere sono soprattutto la valutazione della ricchezza patrimoniale e le modalità di aiuto alle famiglie numerose. L’indicatore lombardo pone però problemi di equità, oltre che di sostenibilità finanziaria.
LA DEFINIZIONE DI UN NUOVO ISEE

Il Governo ha lavorato in questi mesi alla revisione dell’Isee, prevista dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011 (di conversione del cosiddetto decreto “salva Italia”) cercando di pervenire a un nuovo strumento di misurazione della situazione economica delle famiglie richiedenti prestazioni socio-assistenziali di carattere universale, ma per le quali vige un principio di razionamento o tariffazione (come asili nido, mense scolastiche, servizi per la non autosufficienza, contributi economici).
L’Isee non è il primo strumento con cui in Italia si opera la prova dei mezzi, ma la sua introduzione, oltre un decennio fa, era finalizzata a individuare criteri unificati di valutazione della situazione economica dei richiedenti prestazioni sociali. (1) Tuttavia, il suo ambito di applicazione è stato alquanto limitato, la sua attuazione molto frammentata e disomogenea e diverse criticità sono via via emerse rispetto alle sue componenti di calcolo.
Una sua revisione era dunque necessaria e il Governo mirava appunto alla definizione di un nuovo indicatore che limitasse l’eccessiva discrezionalità nell’accesso alle prestazioni, a garanzia di una maggior equità, e ne rivedesse le modalità di calcolo. Tra i correttivi più significativi messi a punto, possiamo citare la necessaria valorizzazione degli elementi di ricchezza patrimoniale delle famiglie, la considerazione dei redditi esenti da imposizione fiscale, la possibilità di detrarre le spese sanitarie per disabili o gli assegni per il mantenimento dei figli, la possibilità di rendere più flessibile l’indicatore in funzione delle differenti prestazioni per le quali viene calcolato.
Ora, a un passo dall’approvazione del provvedimento nazionale, la Regione Lombardia fa ostruzionismo, opponendosi da sola all’espressione di intesa della Conferenza Stato-Regioni-autonomie, che accordi preliminari sia tecnici che politici davano quasi per scontata.

IL FATTORE FAMIGLIA DELLA LOMBARDIA

Con la legge regionale n. 2 del 29 febbraio 2012 e la successiva Dgr del 18 luglio 2012 n. IX/3779, la Regione Lombardia aveva deliberato l’introduzione del “fattore famiglia” (Ffl), un nuovo strumento che si univa ai numerosi, più o meno sofisticati, già esistenti e ne avviava la sperimentazione su un campione di quindici comuni, per lo più di piccole dimensioni, pare definiti sulla base di auto-candidature, per un totale di 399mila abitanti complessivi, con il solo comune di Monza come capoluogo di provincia. Al di là della scarsa rappresentatività dei comuni selezionati per la sperimentazione, di cui peraltro poco si sa rispetto al livello di attuazione e agli esiti che produce, vale la pena soffermarsi su alcune modalità di calcolo dell’indicatore lombardo, che sono tra le motivazioni che avrebbero ostacolato l’intesa sul provvedimento nazionale.
Innanzitutto, rispetto all’Isee vigente, ma anche alle ipotesi di revisione, il Ffl aumenterebbe dal 20 al 30 per cento il coefficiente che redditualizza il patrimonio. Questo dovrebbe effettivamente comportare una maggiore considerazione della ricchezza patrimoniale delle famiglie, ma contemporaneamente il “riccometro” lombardo eleva le franchigie, invece di ridimensionarle, come si propone di fare la revisione nazionale, e non considera l’Imu. Ciò rappresenta una contraddizione, che nella migliore delle ipotesi non produrrà alcun effetto significativo per la valorizzazione della componente patrimoniale. È indubbio che la componente patrimoniale dell’indicatore vada maggiormente considerata anche in relazione all’importanza del suo ruolo nel ricostruire l’effettiva situazione economica della famiglia, ma con l’introduzione dell’Imu, di cui ovviamente il nuovo provvedimento nazionale tiene conto, il patrimonio finirà per essere già automaticamente rivalutato, secondo alcune stime, almeno del 60 per cento circa, senza necessità di modifica alcuna del coefficiente di conversione.
Altra critica lombarda al nuovo indicatore sarebbe la scarsa considerazione delle famiglie numerose e dei disabili. Innanzitutto, occorre tener presente che la scala di equivalenza Isee, spesso criticata per difetto di generosità, non è certo la più penalizzante nei confronti delle famiglie numerose, dipende infatti dal metro con cui la si confronta. La scala più conosciuta in Italia è la scala Carbonaro, che effettivamente cresce in misura maggiore della scala Isee all’aumentare del numero dei componenti familiari, ma se il paragone viene fatto con la scala Ocse modificata, utilizzata a livello internazionale, o con la scala per il calcolo della povertà assoluta, allora la scala Isee risulta decisamente più generosa. (2)
Attribuire un maggior peso ai nuclei familiari con più figli, specie se minori, e ai carichi di cura, può essere un elemento da considerare, tuttavia l’eccessiva manipolazione della scala di equivalenza può portare a discriminare certe tipologie familiari nell’accesso alle prestazioni sociali. Consideriamo ad esempio due famiglie entrambe di cinque componenti con un reddito ipotetico rispettivamente di 30mila e di 40mila euro. Il parametro della scala di equivalenza Isee corrispondente a una famiglia di cinque componenti è 2,85; se si dividono entrambi i redditi per quel parametro si ottengono redditi familiari equivalenti pari a 10.526 euro per la prima famiglia e a 14.035 euro per la seconda. Ipotizzando ora di alzare il parametro a 3,36, come previsto dal Ffl per le famiglie di cinque componenti, i nuovi redditi equivalenti risulterebbero rispettivamente pari a 8.928 euro per la famiglia più povera e a 11.905 per la famiglia più ricca. La diminuzione dei redditi resi equivalenti alzando il peso del coefficiente consentirebbe a entrambe di avere maggiori chance di beneficiare di una qualche prestazione sociale, ma il vantaggio risulterebbe più accentuato per la seconda famiglia, il cui reddito equivalentizzato si riduce di ben 2.130 euro, contro i 1.598 euro della prima. Ciò significa che agire sulla scala di equivalenza, e dunque sul denominatore dell’indicatore, ha un effetto moltiplicatore sul reddito (ovvero sul numeratore), favorendo così le famiglie con una più elevata situazione reddituale, rispetto ad altre pur in analoga situazione di fragilità sociale. (3)
Detrarre significa considerare i redditi familiari depurandoli di alcuni elementi di spesa o di ricchezza ritenuti meritevoli di specifica considerazione, come gli oneri per far fronte a situazioni di disabilità o le spese per la salute. Ecco perché la revisione nazionale dell’Isee tende a preferire detrazioni monetarie dal reddito, commisurate ai costi effettivi o ragionevolmente prevedibili piuttosto che l’aumento dei pesi della scala di equivalenza in funzione dell’aumento dell’ampiezza delle famiglie o in considerazione di particolari fragilità.
Il fattore famiglia lombardo agisce invece ampiamente sulle maggiorazioni alla scala, diversificandole poi per nuclei monogenitoriali, per la presenza di minori, per condizione lavorativa dei genitori, oltre che, ovviamente, per la presenza di condizioni di handicap. Al di là delle problematiche di equità redistributiva, occorrerà considerare anche l’impatto finanziario per il pubblico erario di una così generosa modulazione della scala di equivalenza, che porta ad ampliare la platea dei potenziali beneficiari delle prestazioni. E infatti è notizia recente come sia stato sospeso, perché finanziariamente insostenibile, il “quoziente Parma”, a cui il fattore famiglia lombardo si ispira. L’indicatore parmense aveva come obiettivo proprio quello di agevolare le famiglie numerose e fragili con maggiori detrazioni e sgravi, correggendone l’Isee con un apposito algoritmo.

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(1) L’Isee è regolato dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 e successive modifiche.

(2) Tangorra R., “L’Isee: una riforma incompiuta”, in Guerzoni L. (a cura di), La riforma del welfare dieci anni dopo la Commissione Onofri, Il Mulino, Bologna, 2008.

(3) G. Cerea, Le scale di equivalenza e il loro impiego per le politiche sociali, in Prospettive Sociali e Sanitarie, monografico, n.16-18, 2011; M. Menon, F. Perali, “Il costo di accrescimento dei figli”, in P. Donati (a cura) Il costo dei figli: quale welfare per le famiglie, Rapporto Cisf 2009, F. Angeli ed. Milano, 2010; pp. 170-193.

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Isee, un indicatore da salvare (riformato)

  1. Cesare Didoni

    L’ISEE è il classico esempio di intervento che ha buone intenzioni, ma porta a risultati opposti, perché: 1) crea complessità e burocrazia improduttiva (alimenta la “produzione di carta per mezzo di carta”, finanzia gli apparati sindacali dei CAF, risente di una mentalità statalista e moralista che etichetta ogni individuo con l’equivalente della “tessera” del pane); 2) il 30% degli ISEE sono falsi rispetto ai dati, già disponibili e conoscibili dalla Pubblica Amministrazione (così risulta dai controlli della Finanza), perché i furbi “omettono” redditi e patrimoni (Se non ci credete, parlate con qualcuno che lavora in un CAF). 3) una percentuale sconosciuta è falsa rispetto alla realtà dei redditi e dei patrimoni in nero. Ne consegue che i furbi che dichiarano il falso e gli evasori che hanno redditi e patrimoni in nero, non solo pagano meno tasse, ma vengono ulteriormente premiati e pagano meno tasse universitarie, ottengono posti negli asili nido, mangiano a prezzi scontati nelle mense scolastiche, evitano i ticket sanitari etc. In un Paese civile, moderno, liberale e socialmente responsabile si dovrebbe invece: a) avere “una” tassazione complessiva semplice, ragionevole e giustamente progressiva; b) concentrare le risorse dell’amministrazione sul buon funzionamento del sistema fiscale, sugli accertamenti e sulla riscossione effettiva (e sulla galera per i furbi). c) prevedere interventi attivi a sostegno delle situazioni realmente di bisogno. Punto.

    • Daniela Mesini

      Come ribadisce giustamente Paolo Silvestri nel suo articolo, la funzione principale dell’ISEE è quella di ordinare le famiglie secondo la loro condizione economica, per stabilire quali, ed in che termini, sono più ‘meritevoli’ di altre nell’accesso a determinate prestazioni. Di sicuro si tratta di uno strumento perfettibile, ma per dirla con Gorrieri “La valutazione delle condizioni economiche soffrirà sempre di qualche margine di approssimazione: sia per le specificità delle singole situazioni familiari, sia per le reticenze e gli espedienti a cui possono ricorrere gli interessati. Non si può concludere che meglio sarebbe non farne niente: significherebbe rinunciare a qualsiasi selettività e distribuire a pioggia gli interventi sociali secondo la logica perversa di un contentino a tutti” (E. Gorrieri, Parti uguali fra disuguali, Il Mulino, Bologna, 2002)

  2. Per fortuna la Lombardia si è opposta al piano statalista ISEE. E per ragioni validissime: il costo della vita (abitazione in particolare) è metà a Palermo rispetto a Milano; il problema della denatalità al nord è ben più drammatico che nel sud; i papà separati lombardi sono tre volte quelli campani. Ma più di questo è la concezione di fondo che differenzia Milano da Roma: la sussidiarietà (ti restituisco ciò che ti ho tolto e quindi ti tolgo l’impedimento che ti ho messo ad essere produttore di ricchezza) dalla elargizione (ti do così te ne stai buono, non ti dai da fare e rimani immobile con tutta la tua società). Costa troppo? Ma dai…Regione Lombardia vuole portare la spesa sociale a livello europeo; lo stato, di sovra-europeo, vuole solo la tassazione.
    Entrambi, tuttavia, escludono ancora e troppo la singola popolazione più rilevante ai fini ISEE: i 2 milioni di papà separati, nel cui ISEE c’è la casa “confiscata” per decenni ed il 50% dello stipendio versato ai figli che non vedono più. L’esclusione sociale creata dallo stato è un ossimoro, che non può evidentemente essere riconosciuto. E intanto la popolazione maschile separata/divorziata muore, con un tasso di mortalità pre-60 anni del 20% superiore all’atteso. E’ anche così che si riducono i costi ISEE.

  3. sandra beltrame

    Patrimonio immobiliare nuovo ISEE:

    Leggendo alcuni articoli relativi alla nuova modalità di calcolo dell’ISEE ho notato che, per coloro che beneficiano del diritto di abitazione (art.540 e successivi del c.c.), l’immobile anche se di proprietà di altro soggetto fisico e non convivente, ,viene conteggiato come proprio e pertanto come ricchezza economica.
    Ma se queste persone non possono vendere l’immobile nè affittarlo per trarre utili, come può essere considerata ricchezza spendibile?
    Agli aventi diritto di abitazione la normativa prevede il carico delle imposte gravanti sull’immobile ma non il possesso come proprietario.
    Per la casa gravata da mutuo è prevista la sottrazione della quota di mutuo in essere al 31.12, come mai per il caso sopracitato non è previsto nulla?

    Grazie Sandra Beltrame

  4. Gianmaria Martini

    Interessante l’analisi, suggerisco però di considerare le variazioni in percentuale non in valore assoluto altrimenti non sono confrontabili

    • Daniela Mesini

      I valori dell’esempio sono equivalentizzati, cioè standardizzati sulla base dei differenti coefficienti della scala di equivalenza e dunque resi omogenei per il confronto.

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