La “manovrina” vende patrimonio pubblico per ridurre il disavanzo, anziché per abbassare il debito. È un grave precedente, che la Ragioneria non dovrebbe certificare. Speriamo in una manovra ben diversa, che riduca in modo consistente il cuneo fiscale.
IL DEBITO E LA CRESCITA
Negli ultimi due anni, nonostante la pressione fiscale sia aumentata da 42,5 per cento nel 2011 a 44,3 per cento nel 2013 e la spesa pubblica primaria sia diminuita in termini nominali, il rapporto tra debito pubblico e Pil è aumentato di oltre 12 punti. Le entrate nel 2013 saranno inferiori di circa 30 miliardi alla previsione che il Governo Monti presentò al Parlamento all’atto del suo insediamento, prima quindi di intervenire con la manovra del dicembre 2011. La recessione, insomma, ha quasi interamente vanificato quella manovra e ci consegna addirittura un quadro peggiore di quello che allora sembrava pessimo al punto da indurre, come si ricorderà, il governo appena insediato a intervenire pesantemente. Ciò dimostra che i problemi dei nostri conti pubblici sono dovuti a lustri di bassa crescita seguiti da due pesanti recessioni. Se l’economia non cresce, per quanti sforzi si facciano dal lato delle spese e delle entrate, la sostenibilità della finanza pubblica -misurata sinteticamente dal rapporto debito/Pil– non migliora.
L’esigenza più urgente è in questo momento sostenere la domanda di beni per portarci fuori dalla recessione, mentre si portano avanti quelle riforme strutturali che aumenteranno, nel giro di qualche anno, il tasso di crescita potenziale della nostra economia. Per intercettare la domanda che viene dall’estero, bisogna migliorare la competitività delle nostre imprese, abbassando il costo del lavoro per unità di prodotto, ancora nettamente più alto di quello di altri paesi dell’area euro, Spagna compresa. Per rivitalizzare la domanda interna bisogna migliorare le condizioni del mercato del lavoro. Una riduzione immediata e consistente della pressione fiscale sul lavoro permette di perseguire simultaneamente entrambe le strade.
BASTA NAVIGARE A VISTA
Le regole europee e il funzionamento dei mercati finanziari rendono molto stretti i margini di intervento. La reazione sin qui del Governo è stata quella di vivere alla giornata. L’emblema di questa visione di brevissimo periodo è nella manovrina varata giovedì per dimostrare che stiamo facendo di tutto per centrare l’obiettivo di contenere il rapporto deficit/Pil sotto al 3 per cento. Oltre a nuovi tagli lineari sulla spesa si destinano vendite del patrimonio pubblico alla riduzione del disavanzo anzichè all’abbattimento del debito. Questa operazione, che la Ragioneria dovrebbe bloccare, crea un grave precedente.
Bene che la legge di stabilità che il governo si avvia a varare lunedì prossimo sia ben diversa. Solo nell’ambito di un orizzonte pluriennale, almeno da qui al 2016, è infatti possibile ampliare i margini per condurre politiche di bilancio più espansive, convincendo l’Europa e i mercati della credibilità di un’operazione che deve cercare di attingere il più possibile a fondi europei e può anche prevedere un temporaneo aumento del disavanzo per stimolare la ripresa dell’economia e rendere così più sostenibile anche la finanza pubblica. In altre parole, non dovrebbe essere solo una manovra “lorda”: devono aumentare le risorse messe a disposizione dell’economia. In concreto si tratterebbe di far partire subito un pacchetto di stimolo fiscale, con la riduzione del cuneo e possibilmente anche investimenti pubblici (che restano la voce di bilancio con il moltiplicatore più alto) nella manutezione delle scuole.
COME E DI QUANTO RIDURRE IL CUNEO
In un paese in cui si continuano a ripetere gli stessi errori, bisogna fare tesoro delle esperienze con riduzioni del cuneo fiscale varate dai governi (sempre di centro-sinistra in passato). Il grafico qui sotto – tratto dalla relazione Banca d’Italia del 2009 – le richiama.
Fonte: Relazione Banca d’Italia 2009; elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali.
Quella varata dal Governo Prodi con la Finanziaria del 2007 prevedeva uno sgravio sulla carta di 5 punti del cuneo fiscale, ma da realizzare in modo graduale nell’arco di tre anni. Il primo intervento fu di circa 2 miliardi e mezzo attuato, per quanto riguarda i lavoratori, mediante un incremento delle deduzioni Irpef e, per gli imprenditori, con un alleggerimento dell’Irap. Eppure gli imprenditori sembrano non essersi neanche accorti della misura di Prodi. I lavoratori, forse a maggior ragione, ancora meno. Forse perchè sono al contempo aumentate le addizionali locali dato che il provvedimento era stato finanziato anche con i soliti tagli lineari alla spesa locale e perchè il taglio era molto contenuto. Nella relazione Banca d’Italia del 2008, si legge che “l’entità della flessione, a seconda del comune di residenza, è compresa per la quasi totalità dei comuni tra 0,3 e 0,7 punti percentuali del costo del lavoro per un lavoratore senza carichi familiari”. Fatto sta che l’occupazione, ancora prima dell’inizio della recessione, dal 2007 ha cominciato a diminuire. E non ha smesso di farlo da allora.
NON RIPETERE GLI ERRORI DEL PASSATO
Oggi non bisogna ripetere gli errori. Il Governo sembra intenzionato a fare la stessa cosa di Prodi: manovra graduale, inizialmente di 2-3 miliardi, a crescere negli anni successivi e attuata tramite Irap e deduzioni Irpef. I tagli alla spesa pubblica locale sono già stati varati con la manovrina e sono lineari. Premessa di aumenti di tasse a livello locale. Invece la riduzione del cuneo fiscale dovrebbe essere consistente, ben visibile da lavoratori e imprese e non finanziata con altre tasse manovrate dal centro o a livello locale. Riteniamo che per essere incisivo il taglio deve valere almeno 15-16 miliardi. Può consistere in una riduzione generalizzata dei contributi sociali che potrebbe, ad esempio, portare i contributi previdenziali dal 32,7 al 30 per cento del salario. Altrimenti può concentrarsi sui salari più bassi, sotto forma di incentivi condizionati all’impiego che permettano di ottenere salari netti più alti, ad esempio, a chi esce dalla disoccupazione pur con lavori part-time e meno remunerativi di quelli che aveva in precedenza.
Il vantaggio di operare sui salari bassi è che si avrebbero effetti più importanti sulla domanda interna, data la più alta propensione al consumo di chi ha redditi più bassi. Dal punto di vista tecnico, ciò si può ottenere in vari modi: riducendo di una somma fissa (dell’ordine di grandezza di 1000 euro su base annua) i contributi previdenziali di tutti i lavoratori, oppure introdurre un sussidio condizionato all’impiego (ad esempio tale da portare a 5 euro all’ora ogni lavoro pagato meno di quella cifra).
Per gli investimenti pubblici è fondamentale concentrarsi su progetti di manutenzione di strutture come le scuole evitando di imbarcarsi in nuove opere dai tempi di realizzazione incerti. La priorità è, comunque, la riduzione del cuneo fiscale.
COME FINANZIARLA
La riduzione del cuneo fiscale dovrebbe decorrere dal primo gennaio 2014. Il pacchetto verrebbe inizialmente finanziato, almeno in parte, con i fondi europei e in disavanzo oltre che con riduzioni di spesa rese possibili dalla spending review, a crescere fino a garantire la completa copertura dei provvedimenti nel 2016. Per rendere la manovra credibile agli occhi dell’Europa e dei mercati, il Parlamento dovrebbe comunque approvare subito una serie di misure di taglio della spesa, alcune di efficacia immediata e altre che entreranno in vigore nel 2016 se la spending review non dovesse portare ai risultati sperati.
Nel caso di interventi concentrati sui salari più bassi, la riduzione del cuneo potrebbe essere finanziata inizialmente tramite il Fondo sociale europeo, che richiede per intervenire sgravi fiscali concentrati sui gruppi più vulnerabili anzichè interventi generalizzati. Nel negoziato con Bruxelles si potrà fare riferimento al precedente della Spagna o della Repubblica Slovacca. Anche gli investimenti pubblici possono essere finanziati dai fondi europei.
I tagli della spesa approvati per entrare in vigore nel 2016 dovrebbero essere necessariamente selettivi, dato che anni di tagli lineari ci dimostrano che questi sono spesso più virtuali che effettivi e colpiscono per definizione anche componenti della spesa pubblica (come la scuola e le infrastrutture) che richiederebbero in questo momento maggiori risorse. I tagli selettivi potrebbero incentrarsi sui trasferimenti alle imprese (tra 5 e 10 miliardi), la formazione professionale affidata alle regioni (7 miliardi), gli interventi sulle pensioni d’oro (1 miliardo) ed eventualmente spingersi a considerare una riduzione della copertura del Servizio sanitario nazionale (ad esempio, il medico di base) per chi ha redditi elevati. Possibile anche ridurre le disparità territoriali nelle remunerazioni nel pubblico impiego, dove non si tiene minimamente conto delle grandi differenze presenti nel costo della vita, quindi nel potere d’acquisto dei salari, fra diversi mercati del lavoro locali.
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Luca
“L’esigenza più urgente è in questo momento sostenere la domanda di beni per portarci fuori dalla recessione”.
Un aumento dei consumi non causerebbe un maggior disavanzo delle partite correnti?
“Riteniamo che per essere incisivo il taglio deve valere almeno 15-16 miliardi. Può consistere in una riduzione generalizzata dei contributi sociali che potrebbe, ad esempio, portare i contributi previdenziali dal 32,7 al 30 per cento del salario”.
Ma con il sistema pensionistico contributivo, una riduzione dei contributi, non corrisponde ad una pensione più bassa?
Franco
I concetti espressi in questo articolo mi sembrano (e lo dico con il massimo rispetto per i due professori) quasi “elementari” e di un buon senso (“non ripetere gli errori del passato”) che avrebbe neanche bisogno di di essere espresso. Come mai quegli alti burocrati del Ministero dell’Economia, del Lavoro, ecc finora non li hanno attuati? Visto che sono così semplici, mi viene qualche dubbio sulla capacità di recepirli, oppure…
antonello
Sono d’accordo su varie cose, a partire dal “basta lavorare nel giorno per giorno”, anche se la durata di questi governi, viste anche le non-maggioranze chiare che si creano in parlamento implicano dei provvedimenti “patchwork” che fanno più bene che male…
Un dubbio: è vero che nell’articolo sviluppate il discorso sulla riduzione del costo del lavoro per i redditi bassi, ma almeno come ipotesi fate anche quella, a valere per tutti i lavoratori dipendenti, di riduzione dei contributi previdenziali. Però come la metteremmo, poi, con il regime pensionistico contributivo? Meno versi, meno accumuli, per pensioni che già sappiamo saranno abbastanza povere.
Grazie
Brancaleone Da Norcia
“Come finanziarla…”
A parole è facile. Per fare tutto questo ci vuole un governo con gli attributi.
Andrea
Non vorrei essere troppo polemico ma siamo sempre li’: spending review, tagli selettivi “sui trasferimenti alle imprese (tra 5 e 10 miliardi), la formazione professionale affidata alle regioni (7 miliardi), gli interventi sulle pensioni d’oro (1 miliardo) e .. la copertura del Servizio sanitario nazionale per chi ha redditi elevati.”
Non si capisce perche’ queste cose non siano state fatte in passato (della spending review si parla dalla notte dei tempi) se sono cosi’ positive e semplici.
Possibile che nessuno spieghi mai chi ci rimetterebbe con questi tagli?
Rispondendo a questa domanda “banale” si capirebbe il perche’ ci troviamo ancora qui a parlare di revisione della spesa.
StormBringer
Non sono d’accordo con il taglio del cuneo fiscale, esperienza fallimentare di Prodi. A parer mio bisogna da subito riordinare tutti gli ammortizzatori sociali e introdurre immediatamente e senza indugio il reddito minimo. Come faranno a campare e acquistare beni tutti quei lavoratori e famiglie a cui sono scadute o scadranno le disoccupazioni ordinarie (badate bene non sto parlando di Cig o Cigs), i precari senza alcun reddito? Per produrre le aziende hanno bisogno di vendere, se ci sono tre o quattro milioni di acquirenti in meno come fa a riprendersi il mercato interno? E poi smettiamola di usare la statistica dei disoccupati che si dimentica dei cassaintegrati, almeno 300 o 400 mila, che non avranno più un posto di lavoro? Per non parlare dei cinquantacinquenni ormai alla canna del gas…!!!
A cosa serve dare trenta euro mensili a persone che hanno già un salario quando ce ne sono forse 4 milioni senza??? E’ finalmente ora di entrare in Europa…
Se possibile gradirei una risposta, grazie.
Piero
Il problema per la competitività al di fuori dei paesi euro va risolto solo con la svalutazione dell’euro, non ha senso la rivalutazione del 40% negli ultimi 10 anni, rivalutazione voluta dalla Germania che è fissata con la nozione di moneta forte. In fin dei conti loro, i tedeschi, hanno avuto surplus della bilancia dei pagamenti con i paesi euro, ciò ha compensato le minori esportazioni al di fuori dei paesi extra euro; naturalmente se la Germania ha avuto un surplus nei rapporti tra i paesi euro, altri hanno avuto deficit, come nel caso dei paesi meridionali.
Ricordo che gli stipendi dei lavoratori italiani sono tra i più bassi dell’Europa: il Cuneo e un falso problema, il Cuneo e previdenza e fisco, se si diminuisce la previdenza si devono diminuire le pensioni anche sui diritti acquisiti, se si diminuisce il fisco ai lavoratori lo dobbiamo aumentare alle imprese.
L’unica cosa che può fare il governo italiano e’ lo smagrimento della pubblica amministrazione (anche sulle partecipate) e la riduzione dei costi della politica, per il primo si potrebbe pensare di ridurre gli enti locali, oppure aggregarli normativamente con un minimo di 10.000 abitanti. Potrebbe essere il numero minimo degli abitanti per la gestione associata dei servizi comunali, dall’anagrafe alla raccolta dei rifiuti, per gli enti partecipati, con la norma esistente si avrà una notevole riduzione, ricordiamoci che abbiamo oltre 8000 comuni, si potrebbe arrivare a max 4000 comuni. Per la riduzione dei costi della politica e’ sufficiente fare una legge che al parlamentare max 5000 euro mese, al consigliere regionale max 2500 euro mese, si possono prevedere i rimborsi spese documentati che spettano a tutti i lavoratori dipendenti, eliminazione finanziamento pubblico ai partiti, da sostituire con contribuzioni volontarie deducibili nei limiti di 2500 annui. Da documentare con bonifico bancario su conto intestato al partito, in questo modo vi è traccia del denaro e dell’utilizzo che ne fa il partito.
Maurizio Cocucci
La rivalutazione dell’euro del 40% (sul dollaro immagino) deriverebbe da una decisione/imposizione dei governi tedeschi? E riguardo ai vantaggi che non rileva è perchè non ha mai preso in considerazione le materie prime (di cui siamo sprovvisti) che si pagano in molti casi in dollari USA.
giancarlo
Sì, in effetti, come dicono i precedenti commenti, si discute da anni di misure più o meno eque per rilanciare produzione e consumi. Quindi la generale impressione è che ci troviamo in un impasse politico insuperabile: chi paga la crisi? Nessuno…dato l’equilibrio politico che si è venuto a determinare. Io credo che noi dovremmo gestire equamente l’impoverimento: se i consumi riprendessero, a trarne beneficio sarebbero prodotti importati. Nella globalizzazione i nostri livelli di vita sono insostenibili. Allo stesso tempo, alcuni dati dimostrano che i profitti crescono. E allora, abbassiamo pure il costo del lavoro, ma abbattiamo anche i tassi di profitto.
Piero
Il nostro governo e’ imbrigliato dalla politica europea dettata dalla Merkel, basta vedere le raccomandazioni della Commissione all’Italia: oltre alle cose da raccomandare a tutti i paesi, ridurre l’evasione e migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione (che in Italia a mio avviso è il settore, oltre al costo della politica, dove si deve intervenire pesantemente, vedi il mio precedente commento), raccomanda di spostare la tassazione dal lavoro e dal capitale ai consumi e agli immobili. Si capisce che si vuole attuare la svalutazione fiscale invece di quella monetaria, ciò per aumentare l’esportazione, manovra che non è riuscita nemmeno alla Germania nel 2005. Ma oggi si vuole imporre tale manovra all’Italia, qui vi è il paradosso: aumento i salari e aumento le imposte sui consumi che alla fine sterilizzano l’aumento del salario, quindi l’effetto è nullo. Non è questa la soluzione del problema, lo spostamento della tassazione dovrà avvenire dal lavoro e dalle imprese alla rendita e al capitale, qui ciò può essere effettuato con la tassazione oppure con l’inflazione, di ciò oggi ha bisogno l’Italia e tutti gli altri paesi indebitati, non si può pagare questo fardello di debito con manovre di austerità (con moneta buona), ma deve essere pagato con la moneta cattiva.
giancarlo
Mi farebbe piacere un taglio del cuneo. Sono lavoratore dipendente. Ma penso che, coma la volta scorsa, non me ne renderei conto. Ma penso che l’Italia tutta avrebbe un miglioramento effimero anche con quindicimila euro, che poi sarebbe interessante sapere dove reperire le risorse…
Effimero perché?
Per comprenderlo occorre domandarsi perché fare una manovra sul cuneo. Lo scopo è ridurre il gap di competitività? Bene allora occorre colpire la causa che crea il deficit di competitività. Qual è la causa? Il cambio rigido con il core europe causato dall’euro, che non ci consente di svalutare come accadeva in passato, quando eravamo a cambio flessibile. Attenzione anche la gabbia Sme era deleteria per noi, ma siccome periodicamente il cambio poteva essere modificato nel paniere delle monete oppure svalutato tout court, questo era sempre meno peggio di come stiamo ingessati oggi. Le prove di quel che ci dico sono belle evidenti nel vostro stesso grafico. Come erano la nostra bilancia, la disoccupazione, l’andamento PIL fino al 1997? La disoccupazione era più bassa. La bilancia era in attivo. Il PIL cresceva a botte del 2-3-4 percento. Eppure il cuneo era al 32%, mentre oggi è al 26%. Quindi mi sembra che ci sia qualcosa che non torna: il problema non è solo la riduzione del cuneo.
Piero
Per i lavoratori che hanno uno stipendio fisso va reintrodotta la scala mobile, magari in una forma diversa, non si può lasciare che il compenso dei lavoratori non venga tutelato dall’inflazione. A prescindere dai risvolti sociali, a livello macroeconomico, prima o poi il sistema va in crisi: i consumi interni scendono, aumentiamo le importazioni dei cinesi che annullano le maggiori esportazioni conseguenti al calo dei consumi interni. Nel medio e lungo periodo non si può fare scendere il consumo interno, infatti i paesi più sviluppati non hanno mai ridotto il consumo interno per aumentare l’export.
Flepar Inail Assoc. avv.
La riduzione del carico fiscale e previdenziale sul lavoro dipendente dovrebbe essere generale. Potrebbero essere aggiunti dei parametri selettivi che, dal lato delle imprese, potrebbero maggiorare il vantaggio in relazione all’incremento occupazionale e delle condizioni di prevenzione e sicurezza sul lavoro, mentre, dal lato dei lavoratori dipendenti, il vantaggio potrebbe essere maggiorato per i rapporti subordinati a termine, part-time e similari.
Gianp2
Reminiscenze di studi fatti mi ricordano la classica funzione di produzione per cui P= f(LK) cioè le variabili in gioco sono K=capitale e L=lavoro in costanza di altre variabili. Quando si parla di riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto si può agire su una della variabili o su ambedue. Quando si parla di riduzione del costo del lavoro si pensa sempre ad una riduzione dell’incidenza del fattore lavoro (almeno nel pensiero della divulgazione di massa) e troppo poco all’altro fattore che invece nel nostro paese è di fondamentale importanza anzi forse è quello centrale. Esempio banale: costo del lavoro per unità di prodotto. Scavo di una buca 2x2x2 m. Tre operai con piccone e badile ore 5 in totale. Un operaio munito di scavatore: ore 1. Come cambia il costo del lavoro per unità di prodotto?
Luca
Evidentemente c’è qualcuno che crede che in Italia si debba iniziare a scavare buche con le mani, con un rapporto di lavoro precario, e mal pagato.
Solo così potremo essere competitivi.
DAVIDE
Un rilancio dei consumi può essere utile se si consumeranno merci prodotte in Italia, da aziende nazionali, in modo da sostenere l’occupazione interna. Altrimenti…
Francesco Keynesiano
La riduzione del cuneo fiscale viene spesso agitata ai 4 venti come la panacea di tutti i mali; ma è realmente così? Se mi si dice che le tasse sul lavoro in Italia sono più alte che negli altri paesi, questo è senz’altro vero; ma allora perché non ridurre quelle e aumentare quelle sui capitali e le rendite che invece sono scandalosamente più basse? Se invece mi si viene a dire che il costo del lavoro totale in Italia è più alto che altrove (cioè salari netti + tasse + contributi + quota tfr) beh allora mi dispiace ma il dato è falso: negli altri paesi europei il costo del lavoro è più alto semplicemente perché salari e stipendi sono molto più alti di quelli italiani, dunque non è certo di qui che si può pensare di far recuperare competitività alle nostre aziende! A meno che non ci mettiamo a fare come la Germania, che usa i minijobs! Come poi correttamente si è fatto notare in un post precedente, dato il nostro sistema pensionistico ormai completamente NDC, una riduzione dell’aliquota contributiva non avrebbe alcun effetto sull’economia reale a meno che in futuro non si abbiano pensioni ancora più magre di quelle che ci aspettano; infatti i soldi recuperati dal lavoratore andrebbero tuttavia comunque investiti in un fondo pensione privato, invece che pubblico, dunque non si tradurrebbero in un aumento di consumi; dalla parte dell’azienda poi non vedo affatto come si possa sperare che qualche spicciolo risparmiato possa portare a maggiori assunzioni, cari economisti liberisti, ancora non l’avete capito che il tasso di occupazione è determinato dalla domanda effettiva? Finché i magazzini resteranno pieni, scordatevi che le aziende assumano!
La realtà è che questa crisi non la potremo mai superare con questo tipo di interventi perché sono granelli di polvere: l’unico modo è cambiare profondamente il sistema europeo, cioè la macroeconomia dell’Unione Monetaria: la Bce deve assolutamente diventare prestatore di ultima istanza, bisogna abolire queste assurde regole di fiscal compact, deficit del 3%, ecc ecc che solo una mente malata può aver concepito; bisogna introdurre semmai dei limiti ai deficit e ai suprlus delle partite correnti, per evitare situazioni di squilibrio come quelle attuali, l’europa deve viaggiare sul coordinamento delle politiche economiche dei vari stati non sulla competizione, altrimenti è meglio che ognuno ritorni sovrano con la propria moneta e la propria politica valutaria e fiscale…
Maurizio Cocucci
Guardi che il Fiscal Compact non è altro che la rigida applicazione dei parametri di Maastricht, sottoscritti da tutti i Paesi aderenti ancora negli anni ’90. Il fatto che non si riesca a vedere una soluzione per l’uscita della crisi se non sforando il rapporto deficit/Pil significa non aver capito nulla dell’origine dei nostri problemi e la presunzione di proseguire con la logica da bancomat con credito illimitato: man mano che serve prelevo. Riguardo poi il perchè si è deciso il 3% c’è una logica finanziaria, o meglio di equilibrio finanziario, non è stata decisa a caso. Naturalmente si possono cambiare questi parametri e nella fattispecie è possibile anche che la UE ci conceda una deroga, ma in cambio si chiedono riforme e impegni di riduzione della spesa (e degli sprechi) che la nostra politica non vuole adottare per non perdere i privilegi acquisiti.
Un’ ultima annotazione: non è stata la UE a chiederci l’anticipo di pareggio di bilancio, potevamo seguire le scadenze previste.
Enza Caruso
Arrivare ad affermare “eventualmente spingersi a considerare una riduzione della copertura del Servizio sanitario nazionale (ad esempio, il medico di base) per chi ha redditi elevati” rappresenta un attacco all’universalismo che contraddistingue il nostro SSN. Cominciare ad escludere qualcuno dal SSN è il presupposto per il suo scadimento e la sua distruzione.
Francesco Keynesiano
Appunto: i “rigidi” parametri di Maastricht che, proprio in quanto rigidi, non hanno alcun senso economico, non sono solo io a dirlo ma tantissimi economisti; vi è largo consenso che le misure di austerità abbiano decisamente peggiorato la recessione (basta che si riguardi le stime di Blanchard, non precisamente un bolscevico, sui moltiplicatori fiscali). La informo che la spesa pubblica in Italia è il terzo anno di fila che si riduce in termini nominali, nemmeno reali, quindi riusciamo persino a ridurla al lordo dell’inflazione. Abbiamo 300.000 dipendenti pubblici in meno rispetto al 2006 col blocco del turn over; la riforma delle pensioni adottata è la più severa di tutta Europa col sistema completamente contributivo e le più alte età di pensionamento; il mercato del lavoro italiano è uno dei più flessibili al mondo e il costo del lavoro, contrariamente a ciò che si dice confondendolo con le tasse sul lavoro, è uno dei più bassi in Europa (semplicemente perché gli stipendi netti sono bassissimi); mi spiega quali altre riforme bisognerebbe fare? L’unico modo per uscire dalla recessione è lo stimolo della domanda aggregata, in particolare degli investimenti, anche pubblici (e ce ne sarebbero da fare eccome, dalla rimessa in sesto del territorio, al cablaggio delle reti, alle ristrutturazioni edilizie). Le do invece ragione sull’ultima cosa, infatti Berlusconi prima e Monti poi sono autori di quell’ignominia del pareggio di bilancio in costituzione, che nessuno ci aveva mai imposto in effetti.
Maurizio Cocucci
Rispondo prima di tutto alla sua domanda dicendole che di indicazioni su come tagliare la spesa pubblica c’è solo l’imbarazzo della scelta. Sono stati scritti molti libri e praticamente ogni giorno, anche oggi di Sergio Rizzo, c’è un articolo che mette in evidenzia gli sprechi del sistema pubblico. I dati che lei ha scritto fondamentalmente sono corretti, ma le sottopongo anch’io qualche dato che a mio avviso mette in evidenza alcune distorsioni circa la composizione della spesa. L’Italia ha una spesa pubblica complessiva maggiore della Germania, però la Germania spende di più in rapporto al PIL in sanità, istruzione, cultura e welfare. Allora dov’è che l’Italia concentra la sua spesa?
Da noi solo l’1% dei contribuenti denuncia redditi superiori di 100mila euro e la pressione fiscale è concentrata sui redditi da lavoro dipendente, ergo medio bassi.
Per quanto riguarda la rigidità dei parametri guardi che non è proprio così. Se andassimo a Bruxelles con un piano strategico (alla pari di una qualsiasi impresa che si reca in banca con un piano industriale al seguito a fronte di una richiesta di fido/prestito) con riforme strutturali credibili sono convinto che ci concederebbero una deroga, così come avvenuto con Francia e Olanda. Invece ci presentiamo con una moltitudine di sprechi, una evasione fiscale e una corruzione che valgono miliardi di euro, un importante leader politico condannato per frode fiscale (reato più grave dell’evasione fiscale) e senza un piano industriale. E ci si meraviglia che ci neghino ogni possibile richiesta?
Concludo con una nota curiosa che mi sovviene leggendo il suo nickname. Lo sa quant’era la spesa pubblica statunitense negli anni ’20 quando ci fu la grande depressione a seguito della quale Keynes formulò la sua teoria che chiama il causa il settore pubblico quale incentivatore dell’economia al posto del settore privato in periodi di crisi? Il 14%. Non il 50%!
Francesco Keynesiano
D’accordissimo sulla lotta all’evasione fiscale e alla corruzione (anche se quantificare l’impatto economico di quest’ultima è un esercizio assai più difficile di quello che sembra, in Germania si dicono fra l’altro le stesse cose della corruzione) e che ci siano molti privilegi da tagliare senz’altro; ma qualche precisazione è d’obbligo.
Quando Keynes (che non era statunitense ma inglese e le sue ricette erano rivolte all’Inghilterra)suggerì le sue ricette, il debito pubblico inglese sfiorava il 200% del PIL, a causa dei debiti di guerra sopratutto, quindi mi pare tutt’altro che peregrino il paragone con la situazione attuale. In ogni caso le ricette di austerità made in Europe non hanno fatto che aggravare anche le finanze pubbliche: questi sono i dati sui quali non si può discutere. In un periodo di recessione come questo, sperare che le aziende investano, anche dopo aver abbassato le tasse, è pia illusione perché non c’è domanda, questa sconosciuta. L’unico modo per ripartire è un intervento diretto in investimenti pubblici, specialmente ora che i tassi sono bassi e siamo in una situazione di trappola della liquidità. La teoria dell’austerità espansiva è stata del tutto confutata dai dati (si legga in proposito lo studio di De Grauwe http://www.ceps.eu/book/legacy-austerity-eurozone ). E poi ancora con la solita solfa delle riforme strutturali: mi spiega cosa intendete sempre con questo termine? Precarizzare ulteriormente il lavoro? Tagliare ancora di più le pensioni e lo stato sociale? (Anche se poi dice che noi spendiamo meno in Welfare: allora come la mettiamo?) E’ un pò sfuggente questa cosa delle riforme strutturali non si capisce mai di cosa si parli realmente.
Piero
Basta leggere il libro “Morire di austerità’ di Lorenzo Bini Smaghi: vi sono scritte molte verità che fanno comprendere le ragioni dell’attuale crisi. Tutti sono d’accordo sul rigore e qualità della spesa pubblica sulla lotta all’evasione, ma i problemi sono altri e più seri, con la scusa dell’evasione e dei costi della pubblica amministrazione non si vogliono risolvere, non capisco perché questo governo non vuole fare quello che può con politiche interne su cui siamo tutti d’accordo. Però sulla crescita un governo nazionale può fare molto poco, qui occorre un cambio di passo dell’Europa e della sua politica monetaria, sono problemi che i paesi del nord dell’Europa non vogliono risolvere perché in questa situazione stanno gestendo la situazione a loro favore con la compiacenza dei nostri governanti che, propinandoci false misure per la crescita ci fanno solo sperare: L’ultimo provvedimento ne è la prova.
Andrea Costa
Scusate ma non credo di aver trovato cenno alla liberalizzazione dei mercati: taxi, farmacie, professioni, trasporti, assicurazioni, banche.
Rosario Leone
Si sostiene che per intercettare la domanda che viene dall’estero, bisogna migliorare la competitività delle nostre imprese, abbassando il costo del lavoro per unità di prodotto, ancora nettamente più alto di quello di altri paesi dell’area euro, Spagna compresa.
Dispiace che non sia adeguatamente considerata anche l’altra possibilità, ossia quella di incrementare la produttività del lavoro tramite massicci investimenti in innovazione tecnologica, nuove tecnologie e investimenti in formazione della forza lavoro…