Dalla versione presentata ad ottobre a quella approvata a dicembre la manovra è rimasta sostanzialmente immutata e con essa anche il giudizio: una manovra poco incisiva che dà l’impressione di una navigazione a vista. E le previsioni sull’aumento di Pil e avanzo primario vanno riviste al ribasso.

LE MODIFICHE AL TESTO ORIGINALE DELLA LEGGE DI STABILITÀ

Qual è lo stato dei nostri conti pubblici dopo l’approvazione, a fine dicembre, della legge di stabilità. Cosa è successo nel corso dell’iter parlamentare?
Dalle proiezioni ufficiali diffuse in questi giorni, si ricava che per le grandezze più importanti il testo approvato produce una situazione pressoché identica a quella del testo presentato in ottobre. Del resto, almeno per il disavanzo non poteva essere altrimenti, in quanto per i regolamenti parlamentari emendamenti che modificassero i saldi rispetto alla proposta del governo non sarebbero ammissibili. Bisogna dire che da oltre un quarto di secolo (dalla riforma delle procedure di bilancio del 1988) questa prescrizione è stata sempre rispettata.
Il Parlamento può, naturalmente, modificare la composizione della manovra tra entrate e spese e spesso lo fa. In questo caso, ha aggiunto, nell’insieme, maggiori spese per circa un miliardo l’anno, finanziandole con maggiori entrate per la stessa cifra. Modifiche di entità modesta se le si confronta con la dimensione della manovra lorda (il totale delle misure di aumento delle entrate e di riduzione delle spese che vanno a finanziare interventi di segno opposto su entrate e spese e la correzione del disavanzo) che nel progetto originario era compresa tra i 12,4 miliardi per il 2014 e i 18,3 miliardi per il 2016. Le tabelle 1 e 1bis mettono a confronto la composizione della manovra nella versione iniziale e in quella finale.

Tabella 1 –  Legge di stabilità 2014

Variazioni di entrate, spese e disavanzo nel progetto presentato il 20 ottobre 2013

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Tabella 1bis –  Legge di stabilità 2014

Variazioni di entrate, spese e disavanzo nel progetto approvato il 23 dicembre 2013

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*Per il 2014, la manovra lorda include anche il maggiore disavanzo.

La struttura della manovra è insomma rimasta grosso modo la stessa proposta dal governo. Gli interventi più importanti (la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro attraverso l’aumento delle detrazioni Irpef per i lavoratori, la riduzione dei premi Inail pagati dalle imprese e l’ampliamento della deducibilità dei salari dall’Irap per i nuovi assunti; la deindicizzazione delle pensioni; l’incremento dell’imposta di bollo sui depositi titoli; l’aumento una tantum delle imposte pagate dalle banche; i tagli lineari alle spese di Ministeri ed enti territoriali; le clausole di salvaguardia sulle imposte) sono quelli già presenti nel progetto iniziale. Nel corso dell’esame parlamentare si sono aggiunte un paio di misure di un qualche rilievo quantitativo: uno stanziamento aggiuntivo di circa 300 milioni a favore dei lavoratori esodati e uno sgravio fiscale per un centinaio di milioni per i fabbricati rurali nell’ambito Imu. Poi numerose misure meno importanti che portano, come abbiamo detto, il totale delle spese e delle entrate aggiuntive ciascuno a circa un miliardo l’anno. Per questo c’è chi ha parlato di assalto alla diligenza ma sembra un’enfasi eccessiva su un fenomeno (ineliminabile se si accetta la possibilità per il Parlamento di emendare la manovra) che questa volta si è manifestato in termini contenuti. Il fenomeno davvero deprecabile di questa sessione di bilancio (la grottesca giostra sull’Imu) ha poco a che fare con i rapporti Governo-Parlamento e non si riflette nelle cifre della manovra.
Insomma il giudizio complessivo non cambia rispetto a quello che si poteva esprimere ad ottobre: una manovra modesta che incide poco o nulla sulle prospettive dell’economia. D’altra parte, la dimensione complessiva della manovra era obbligata dati i vincoli esterni e le risorse messe in campo per perseguire entrambi gli obiettivi strutturali che ci si era dati (sostegno della domanda e riduzione del cuneo fiscale) erano davvero modeste. Si può criticare una certa dispersione degli interventi, ad esempio nella politiche sociali, ben presente comunque fin dal progetto iniziale. Nell’insieme, l’impressione è quella di una navigazione a vista, guidata dalla bussola della tenuta del disavanzo entro la soglia del 3 per cento, nell’attesa di buone notizie dall’economia mondiale.

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LE PROSPETTIVE

La legge di stabilità 2014 corregge marginalmente le tendenze in atto: in termini di Pil si tratta di qualche decimale. Il quadro sintetico dei conti, dopo la legge di stabilità, è esposto nella tabella 2. Le prospettive di medio periodo vedono una sostanziale stabilità delle entrate in quota di Pil (la pressione tributaria nel 2016 resterebbe sul livello del 2013). La spesa primaria, corrente e in conto capitale, dovrebbe diminuire di 3,2 punti in tre anni, producendo così un significativo miglioramento dell’avanzo primario che tornerebbe ai livelli registrati alla fine degli anni ’90. La diminuzione della spesa in quota del prodotto è quasi interamente dovuta alle spese correnti diverse da pensioni e sanità che resterebbero costanti in termini nominali (pensioni e sanità aumenterebbero, invece, di circa 26 miliardi di euro). Raccontata così, la situazione dei conti pubblici è sotto controllo e  le prospettive buone. In realtà, anche negli ultimi due anni abbiamo avuto pressione fiscale a livelli record e spesa primaria stabile o in diminuzione in termini nominali. Ciò non ha impedito, a causa di una recessione peggiore del previsto, un aumento di 12 punti del rapporto debito/Pil. Le proiezioni ufficiali per i prossimi tre anni sono basate sul quadro macroeconomico presentato ad ottobre 2013 e incorporano un Pil nominale in crescita di 3/3,5 punti l’anno e una crescita reale dell’1 per cento nel 2014 e dell’1,7/1,8 per cento nel 2015 e 2016. Sono previsioni ormai poco realistiche. Le proiezioni più recenti (21 gennaio) del Fondo monetario danno per l’Italia una crescita reale dello 0,6 per cento nel 2014 e dell’1,1 per cento nel 2015. Potrebbe ripetersi, insomma, lo scenario degli ultimi due anni, con una sequenza di revisioni al ribasso delle previsioni di crescita che manterrebbe in stato precario il quadro dei conti pubblici.

Tabella 2 – Il conto delle amministrazioni pubbliche dopo la legge di stabilità

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