Otto anni fa un decreto legislativo prevedeva il passaggio della competenza sulla sanità nelle carceri dal ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale. Ma la sperimentazione non si è mai conclusa. E’ una questione di democrazia prima ancora che di costi. La tutela della salute delle persone recluse non può essere limitata da esigenze di sicurezza e confinata nei documenti di programmazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma deve procedere su un binario unitario insieme a quella del mondo libero . Potrebbe apparire come il “paradosso della Giustizia” quello del diritto universale alla salute, che ancora oggi a distanza di più di otto anni dalla norma che disciplina il riordino della medicina penitenziaria continua a viaggiare a velocità diverse. Una questione di responsabilità, prima ancora che di costi. Al di là del muro che divide il mondo libero da quello prigioniero si sta male. Un processo di riforma davvero singolare Che fine ha fatto il decreto legislativo 230/99? È lecito chiederselo considerando che la sanità penitenziaria, “corpo” a sé ancora dipendente dal ministero della Giustizia, continua ad essere regolata da norme alquanto antiche, che di fatto risalgono agli anni Settanta. (1) Norme antecedenti listituzione del Servizio sanitario nazionale, che definisce un sistema di diritto alla salute universale, più volte interessato da grandi processi di riforma. Una questione di costi? I dati più aggiornati relativi alla spesa per la sanità penitenziaria sono contenuti nellindagine conoscitiva condotta dalla Corte dei Conti relativamente al periodo 2002-2004. Di essi si dà conto nellarticolo a fianco. In breve, riflettono una diminuzione sensibile della spesa procapite, una forte incidenza dei costi del personale (più di quattro quinti del totale), in larga parte convenzionato, dei quale non si conosce però quanta parte sia imputabile al numero di ore lavorate e quanta ai compensi orari. Lindisponibilità di dati sul personale sanitario, insieme a quella sullentità e sulle caratteristiche dei soggetti da assistere, configura nel complesso un sistema preoccupantemente privo di trasparenza. O una questione di responsabilità? Il 30 luglio 2003 viene deliberata unindagine conoscitiva parlamentare in commissioni riunite Giustizia-Affari sociali per approfondire lo stato di attuazione della riforma. Le testimonianze che si susseguono nel corso del 2004 fanno emergere valutazioni discordanti sulla nuova normativa, ma anche la complessità e lemergenza della questione “sanità nelle carceri”. Cè chi rivendica lautonomia della medicina penitenziaria, e chi ne ricorda i limiti (“un medico non può far uscire un detenuto dall’istituto. Può solo avanzare una proposta in tal senso ma, in realtà, è il direttore che decide”); cè chi, tra le associazioni di volontariato, porta lesempio della Francia, dove il passaggio delle competenze dalla Giustizia alla Sanità è avvenuto in modo repentino e denuncia le resistenze interne allamministrazione penitenziaria; cè chi invita a verificare le spese spropositate affrontate per i medici parcellisti. Su una cosa tutti concordano: il taglio dei finanziamenti, a fronte di una accresciuta domanda dei bisogni di salute e assistenza, contribuisce a determinare un livello di degrado al limite dellincostituzionalità. Le commissioni riunite giungono alla conclusione che le testimonianze dovranno essere completate con i dati ufficiali sulleffettiva situazione riscontrata presso gli istituti carcerari, effettuando sopralluoghi programmati. Allo stato attuale, a quanto risulta, lindagine conoscitiva continua a restare priva di un documento conclusivo. Benvenuti allinferno, dalla parte di chi non ha voce in capitolo Le lettere dal carcere delle persone recluse, e i pochi soggetti cui è consentito oltrepassare il muro e guardare “dentro ogni carcere”, ci descrivono una realtà sempre caratterizzata dallemergenza: i frequenti episodi di autolesionismo e di suicidio; la diffusione di malattie infettive, come le epatiti, la tubercolosi, la scabbia, e lAids. Sono i rapporti di Antigone che ci informano delle assurde condizioni igieniche in cui si è spesso costretti a vivere nelle prigioni italiane: in violazione del regolamento penitenziario, in alcune carceri la tazza del water è a fianco ai letti e non in vani separati, mentre là dove ci sono i bagni è difficile che siano forniti di docce o di bidet per le detenute, non è insolito che manchi lacqua calda. Più in generale, in carcere non esiste una medicina preventiva ed è estremamente difficile ottenere ricoveri ospedalieri nei casi di urgenza. (1) L. 730/70 e L. 345/75, che restano in vigore “fino alla completa attuazione del decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230”.
Nasce dal presupposto di universalità lesigenza di ricondurre, con il Dlgs 230/99 (riforma Bindi), anche la sanità nelle carceri sotto la responsabilità del Ssn, il quale, per mezzo delle Regioni e delle Asl, deve assicurare a tutte le persone detenute e internate, a prescindere dalla nazionalità e, per i migranti, dal permesso di soggiorno, livelli di prestazioni analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi. Il passaggio di consegne dal ministero della Giustizia al ministero della Salute, con contemporaneo trasferimento delle risorse finanziarie e umane, sarebbe dovuto avvenire in via immediata per i servizi delle tossicodipendenze affidati ai Sert di competenza territoriale, e in via sperimentale, cominciando da alcune Regioni, per le altre funzioni sanitarie.
Al Dlgs 230/99 ha fatto seguito un corposo Progetto obiettivo a valenza triennale volto ad affrontare sia questioni generali del sistema carcerario (igiene degli ambienti, stato delle strutture sanitarie, assistenza farmaceutica, medicina durgenza, eccetera), sia priorità specifiche (tossicodipendenze, assistenza ai migranti, patologie infettive, tutela della salute mentale). Il Progetto è rimasto in attesa dei risultati della sperimentazione per poter pervenire a un compiuto modello organizzativo del sistema.
Ma la sperimentazione non si è mai conclusa e ciò è “testimoniato tra laltro dal fatto che la Giustizia ha dichiarato formalmente di non essere in grado di fornire elementi sullevoluzione e sullesito della sperimentazione”, come si enuncia nellapposita indagine conoscitiva condotta nel 2005 dalla Corte dei Conti, che continua: “i fatti che hanno determinato una anomalia tanto rilevante risultano privi di una spiegazione ragionevole”.
Le vicende che hanno caratterizzato una sperimentazione, che nella realtà ha finito per interessare solo i servizi per le tossicodipendenze (che non dovevano essere oggetto di sperimentazione) sono davvero singolari. La Corte dei Conti riferisce di aver appurato che “nel medesimo periodo in cui (
), presso il ministero della Salute, erano in corso i lavori del “Comitato misto Salute-Giustizia” (insediato per monitorare i risultati della sperimentazione), è stata costituita e ha iniziato lattività (
presso il ministero della Giustizia) una “Commissione mista Giustizia-Salute”, con il compito di elaborare uno schema di disegno di legge diretto tra laltro a ricondurre il servizio presso lamministrazione penitenziaria”. Il comitato, a distanza di due anni dallapprovazione del Progetto obiettivo prende atto che i dati epidemiologici relativi alla “sanità penitenziaria” non sono disponibili e nella riunione finale del 27 giugno 2003 non riesce a pervenire a una relazione conclusiva unica: la differenza di vedute fra i rappresentanti della Salute, propensi a proseguire lattuazione della riforma, e della Giustizia, intenzionati a rivedere nella commissione mista il Dlgs n. 230/99 nella forma di sistema sanitario misto che coinvolga a livello locale le direzioni degli istituti e le direzioni delle Asl, induce a presentare due documenti distinti.
Nonostante gli sforzi fatti da poche Regioni, che senza aspettare il passaggio delle competenze, stanno provvedendo con proprie risorse alla fornitura dei farmaci o alla gestione della salute mentale attraverso i Dsm territoriali, per evitare linternamento negli ospedali psichiatrici giudiziari, le persone ristrette nelle carceri italiane continuano a rimanere escluse dalla programmazione sanitaria del nostro paese, e dal riconoscimento dei livelli essenziali di assistenza.
Quella della sanità penitenziaria è una questione di democrazia prima ancora che di costi: attribuire le responsabilità a chi di dovere. Dopo più di otto anni, è ora di procedere al passaggio delle competenze al Ssn: la tutela della salute delle persone recluse non può essere limitata da esigenze di sicurezza e confinata nei documenti di programmazione del Dipartimento dellamministrazione penitenziaria, ma deve procedere su un binario unitario insieme a quella del mondo libero. È necessario uscire dal limbo in cui è sospesa la sanità penitenziaria e dare soluzione a questo singolare “paradosso della Giustizia”.
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Chiara Boeri
Giustissimo l’articolo. Volevo segnalarvi cartebollate online, http://cartebollate.splinder.com/, il blog del giornale Cartebollate, della casa di reclusione di Bollate. Diretto e fortemente voluto dal dr.Gianfranco Modolo, giornalista de La Repubblica, e da lui diretto, Cartebollate è interamente redatto, pensato e scritto da chi appunto è dietro alle sbarre.
Ve lo segnalo per l’interesse sia dei contenuti, che dell’iniziativa, certamente non facile, portata avanti da tutta l’Equipe del giornale. Cordiali saluti, Chiara Boeri
uomo senza sogni
Non c’entra col tema della salute, ma c’entra col tema dei detenuti.
Se un detenuto ha moglie e 2 bambini piccoli;
la moglie è senza lavoro(e non lo troverà vivendo in un territorio dove vige il degrado) e nullatenente;
hanno un affitto da pagare;
devono mangiare;
pagare le tasse;
avere uno straccio di vestiti;
come deve vivere la famiglia di questo detenuto???
Mirella
Ho assunto un detenuto nella mia Cooperativa e nei documenti che hanno accompagnato l’assunzione , il carcere , mi chiede in caso di infortunio di riportare il lavoratore in carcere… Adesso capisco il perchè! Comunque io ho dato indicazioni, se dovesse capitare, di accompagnarlo al Pronto Soccorso e poi chiamare il carcere….