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I consumi elettrici ripartono da casa

Da tempo i consumi italiani di energia elettrica segnano il passo. E non basta la crisi a spiegare il fenomeno, che coinvolge terziario e utenze domestiche oltre all’industria. Come la riforma della struttura tariffaria per i consumatori finali dovrebbe portare a un incremento della domanda.

Inversione di tendenza nell’elettricità
L’Italia sembra essere tornata a crescere. E tuttavia un indicatore che tradizionalmente dà il polso della salute economica mostra segnali di debolezza persistente. Si tratta della domanda elettrica.
Storicamente, l’andamento del Pil e della domanda elettrica erano correlati: al crescere dell’uno cresceva l’altra, benché non ci sia accordo unanime sul nesso causale tra le due dimensioni.
Negli ultimi trent’anni, invece, nel nostro paese la domanda elettrica è cresciuta molto più del Pil (circa 30 punti percentuali in più). L’economia si è elettrificata: dal 1980 al 2013 l’incidenza dell’energia elettrica nei consumi finali è aumentata di 7 punti percentuali, con un significativo accrescimento del settore servizi (figura 1).
E se negli ultimi anni il settore domestico ha mostrato una sostanziale stabilità, dal 2006 la domanda dell’industria è invece notevolmente calata. Grosso modo ciascuno dei tre settori assorbe un terzo dei consumi.
Figura 1 – Domanda elettrica per settori (dati annuali, numero indice 2002=100)
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Fonte: elaborazioni su dati Terna bilancio elettrico, 2014
 
Proprio dalla fine del 2006, complice la contrazione della domanda industriale – e più recentemente anche di quella del settore terziario e domestico – i consumi elettrici hanno cominciato a crescere meno (o diminuire di più) del Pil. Dal 2012 lo scollamento sembra essersi ulteriormente accentuato.
Figura 2 – Domanda elettrica e Pil (variazione percentuale rispetto a periodo corrispondente un anno prima)
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Fonte: elaborazioni su dati Terna Rapporto mensile, Eurostat, 2015
 
Un bene o un male?
Le conseguenze della minor crescita dei consumi elettrici sono senz’altro positive per l’ambiente, ma restano più incerte sul piano economico.
Sono positive se la ridotta crescita dei consumi è dovuta a un aumento dell’efficienza. Sono negative se derivano da minore produzione e impianti irreversibilmente chiusi.
La crisi non sembra spiegare da sola il fenomeno. I consumi industriali, infatti, iniziano a diminuire già nel 2006, peraltro l’anno d’avvio del mercato europeo dei titoli di emissione di CO2 e di approvazione della direttiva 2006/32/Ce sull’efficienza energetica. Certamente, hanno contribuito gli alti prezzi di materie prime ed energia, su cui ha inciso anche l’impennata degli oneri di sistema (legati soprattutto all’incentivazione delle fonti rinnovabili) e della fiscalità.
A vederla in modo positivo, queste azioni hanno avviato un ciclo virtuoso che ha spinto le imprese a innovare ed essere più efficienti. Oppure, più “semplicemente”, l’economia italiana si sta terziarizzando sempre più (l’aumento dei consumi dei servizi è costante, tranne nel 2013 in cui si è registrato un primo calo). Letta al contrario, la politica ambientale – facendo aumentare il costo dell’energia – avrebbe portato a delocalizzare le produzioni a maggior intensità energetica.
Una riforma graduale
L’evoluzione del legame tra domanda elettrica e Pil suggerisce dunque che va considerato con più attenzione l’impatto che le politiche ambientali ed energetiche hanno in generale sul sistema economico e non solo sul settore elettrico.
Cosa fare, ad esempio, dei circa 22mila megawatt di potenza installata tra il 2000 e il 2013 di soli impianti termoelettrici (peraltro ben finanziati dalle banche) a cui si aggiungono gli altri circa 31mila megawatt da impianti rinnovabili?
E quali saranno gli effetti della riforma, in fieri, della struttura tariffaria applicata ai clienti domestici di energia elettrica? Nelle intenzioni dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, dovrebbe contribuire a un rilancio dei consumi domestici.
Si tratta infatti di una riforma di ampia portata, che coinvolge tutte le famiglie italiane (oltre 23 milioni di abitazioni di residenza e circa 6 milioni di altre unità abitative), intervenendo su aspetti fondamentali come la progressività o la limitazione di potenza impegnata per contratto, oggi ancorata ai 3 chilowatt. Lo scopo dichiarato è quello di eliminare le distorsioni indotte dalla struttura tariffaria progressiva, che rende meno conveniente il ricorso al vettore elettrico e rende così più difficili i miglioramenti in termini di efficienza energetica.
Ma perché i consumi elettrici riprendano il consumatore finale dovrà investire in modo significativo su apparecchiature come pompe di calore per riscaldarsi o piastre a induzione per cucinare, che dovrebbero sostituire gli apparecchi a Gpl o gas naturale.
È quindi fondamentale che il processo avvenga con gradualità, in maniera coordinata a livello nazionale e regionale e con grande attenzione all’equità – chi oggi consuma e paga meno avrà un aggravio in bolletta. Anche per evitare di penalizzare iniziative recenti di incentivazione o che aspirano a essere (ulteriormente) incentivate, come ad esempio la metanizzazione della Sardegna.
Il grande caldo di luglio ha poi ribadito quanto possano crescere le punte di consumo elettrico e ha messo in evidenza, da Nord a Sud, una diffusa debolezza delle reti di distribuzione: nonostante la strozzatura dei 3 chilowatt non sono mancati, infatti, i blackout.

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  1. Giorgio Pezzuto

    Sinceramente non ho capito in cosa consista la riforma della struttura tariffaria. Se pero’ lo scopo è solo di consumare più corrente in modo da giustificare gli investimenti in nuovi impianti fatti dalla banche, non mi sembra una grande motivazione. Penso che in un paese con economia avanzata (e quindi meno industria pesante) il legame tra consumi elettrici e PIL non sia così proporzionale.

    • Nicolò Rossetto

      Beh l’elettricità inquina ancora meno negli usi finali del gas e sotto certe condizioni è più sicura (non esplode). Detto questo mi pare evidente che Assoelettrica si auspichi scelte di policy che facciano tornare a crescere i consumi, magari inducendo comportamenti meno parsimoniosi nel pubblico.

  2. sauro

    L’elettrificazione è sicuramente il simbolo del progresso, rispetto all’uso diretto di combustibili. Ma l’incentivo a usare più energia elettrica ha senso solo se il bilancio del sistema da come risultato un risparmio energetico. Faccio un esempio banale: il processo di trasportare gas, bruciarlo in centrale elettrica, trasportare energia elettrica, usare energia elettrica per lo scaldabagno è forse la più folle delle scelte dal punto di vista energetico, in quanto si distrugge il potenziale di lavoro iniziale a zero. Il secondo principio della termodinamica ci indica che se vogliamo veramente essere efficienti, dobbiamo trasformare quante meno volte possibile. Ciò significa produrre localmente ove si consuma ed estrarre la massima energia da ogni processo. Il declino dei consumi elettrici degli ultimi anni è dipeso anche da questo fattore: la produzione distribuita è aumentata e la qualità delle sorgenti di produzione sono migliorate (in primis quella fotovoltaica)

    • Nicolò Rossetto

      Caro Sauro, non sono molto sicuro sul tuo ultimo commento. In realtà gli impianti di piccole dimensioni (gen distribuita) sono spesso meno efficienti di quelli grandi. Uno dei loro vantaggi, semmai, è che la corrente deve fare meno strada e ci sono meno perdite di rete (solo sotto certe condizioni peraltro). Ma dato che questa ammontano al 6-8% della richiesta totale di elettricità dalla rete, una riduzione delle perdite non può certo giustificare un calo della domanda di elettricità di circa il 7-8% dal picco del 2006-07.

      • Sauro

        Caro Nicolò, la generazione distribuita va divisa fra quella termica e quella “fredda”. Quella fredda, per esempio il fotovoltaico, non beneficia dell’effetto di scala: un pannello ha la stessa efficienza di 100000 pannelli.
        Quella termica invece, ha il vantaggio che quanto piu grande è l’impinato, quanto piu è efficiente. Tutto cio tuttavia, è vero solo se l’impianto lavora a massimo carico. Se una centrale termica funziona a carico parziale, la sua efficienza scende di molto. Gli impianti di piccola taglia distribuiti hanno il vantaggio quindi di: 1) generare secondo l’esigenza locale 2) produrre calore in cogenerazione 3) avere perdere di trasporto vicine allo zero 4) dare la possibilità a piccoli produttori di far parte del mercato dell’energia, oramai totalmente nelle mani di un oligopolio. Mi piace ricordare il famoso Totem FIAT come un esempio di questa generazione distribuita

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