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Contro la povertà si recita ancora a soggetto

Il Consiglio dei ministri ha varato il piano nazionale di contrasto alla povertà. Ma forse è presto per dire che finalmente anche l’Italia si è data una misura strutturale di sostegno al reddito dei più poveri. Perché le risorse sono troppo esigue e a beneficiarne saranno ben poche famiglie.

Poche risorse per essere una buona notizia

Sembra una buona notizia. Il Consiglio dei ministri ha varato il piano nazionale di contrasto alla povertà, mettendo a regime un provvedimento di sostegno al reddito integrato da misure di attivazione. L’Italia sembrerebbe finalmente entrata nel novero dei paesi civili che offrono ai propri cittadini una rete di protezione di ultima istanza. Peccato che si tratti di una rete piccolissima, sia in termini di copertura, sia in termini di capacità di sostegno.
Gli 800 milioni di euro stanziati per il 2016, per altro suddivisi in due diverse misure (assegno di disoccupazione – Asdi; e sostegno per l’inclusione attiva – Sia) che fanno riferimento a criteri diversi per individuare i potenziali beneficiari, sono solo una piccola frazione dei 7 miliardi circa che le stime più conservative valutano necessari per venire incontro alle famiglie e agli individui in povertà assoluta. E infatti il governo pensa di poter dare un sussidio solo a 280mila di quel 1.470.000 famiglie stimate essere in povertà assoluta. Ovvero ne beneficeranno un milione circa di persone (la metà dei quali minori) rispetto ai quattro milioni di poveri assoluti, di cui un milione di minori. Nonostante la platea dei potenziali beneficiari sia costituita da famiglie con almeno un figlio minore – sono escluse quindi le famiglie di soli adulti -, circa la metà dei minori in povertà assoluta non riceverà nessun sostegno dalla misura.
Per operare la drastica riduzione dei potenziali beneficiari, il governo ha definito una soglia di Isee bassissima: 3mila euro. Anche con questa restrizione, l’importo medio del sussidio sarà molto esiguo, non arrivando in molti casi a coprire la distanza tra il reddito famigliare disponibile e la pur bassissima soglia individuata.
Certo, c’è la questione delle risorse. Ma è innanzitutto una questione di priorità. È stato deciso di eliminare la Tasi sulla prima casa, una scelta che porterà pochi o nessun vantaggio ai poveri assoluti, mentre drena importanti fondi che avrebbero potuto essere loro destinati (l’anno in cui il governo Letta sospese l’Imu sulla prima casa andarono in fumo 4 miliardi). Gli 80 euro di detrazione fiscale per i lavoratori dipendenti a basso reddito, ma fiscalmente capienti, costano più del doppio di quanto stimato necessario per coprire tutta la platea dei poveri assoluti. Altri interventi a pioggia più o meno di facciata e di utilità scarsa o nulla, come i 500 euro per i diciottenni, avrebbero potuto essere spesi in modo più efficace per contrastare quella povertà minorile che diventa anche indebolimento delle capacità individuali. L’elenco potrebbe continuare.

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I rischi

Sul provvedimento del governo manca ancora il decreto attuativo, che dovrà individuare sia i beneficiari, sia come calcolare l’importo da erogare: potrebbe essere in somma fissa, o, come sarebbe più giusto e senza creare ulteriori disparità, una somma commisurata alla distanza del reddito famigliare rispetto alla soglia dei 3mila euro Isee.
Stante l’insufficienza dei fondi messi a disposizione, il decreto dovrà purtroppo individuare anche criteri per la definizione di una graduatoria tra i potenziali aventi diritto, quindi restringendo ulteriormente il carattere universalistico della misura. Come è già successo con la sperimentazione della nuova carta acquisti, di cui questo provvedimento rappresenta la messa a regime, c’è il rischio che, di restrizione in restrizione pensata a tavolino, alla fine gli “aventi diritto” diventeranno un numero esiguo, dando ragione a chi dice che i poveri in realtà sono “finti tali” e perciò non dobbiamo preoccuparcene.
C’è anche un altro rischio, connesso alla esiguità delle risorse: accanto alle graduatorie del bisogno, potrebbe valere anche il principio che a venire assistiti siano solo coloro che sono sufficientemente “fortunati” da trovarsi nelle condizioni richieste per essere inseriti in graduatoria nel momento in cui si aprono gli sportelli. Chi, pur avendone i requisiti, fa domanda in ritardo o matura i requisiti necessari in un periodo successivo, rimarrà a bocca asciutta, perché i fondi saranno finiti. A meno che a qualcuno non venga in mente di far “ruotare” periodicamente i beneficiari, con buona pace dell’universalismo, sia pure selettivo, e del sostegno strutturale. Insomma, aspetterei a dire che finalmente in Italia abbiamo una misura strutturale di sostegno al reddito per chi si trova in povertà.

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2016, anno zero del patto di stabilità interno

  1. Paolo Montanari

    Non lo ho neanche letto mi è bastato il titolo per commentare : son finiti da un pezzo i tempi del tutto e subito

  2. Enrico Motta

    Parlando di sostegno al reddito bisogna sempre specificare i contenuti delle varie proposte. Ad esempio cosa significa “universalistico”? Capisco la bellezza dell’Universalismo, e dell’Universo, ma la Prof. Saraceno a chi vorrebbe dare il sostegno: a tutti? Al di sotto di quali redditi? Ai poveri assoluti? I miei dubbi aumentano visto che, secondo Lei, “il decreto dovrà purtroppo individuare anche criteri etc.”. Perché, forse il sostegno andrebbe dato senza criteri? E’ questo l’universalismo? Mai vista prima tanta genericità.

  3. I.C.

    Nella lotta alla povertà si debbono fare distinzioni. Innanzitutto fra i poveri presenti in Italia e quelli del resto del mondo. Secondariamente anche fra i poveri presenti in Italia si devono distinguere i cittadini italiani dagli stranieri e fra questi ultimi fra gli immigrati regolari e quelli irregolari

  4. Daniela Risi

    Gentile Professoressa, l’irrilevanza che ha nelle coscienze degli italiani il tema della povertà dei propri stessi connazionali, il loro cieco egoismo, e sottolineo cieco, si può ben vedere dai pochi commenti (e dalla loro qualità) ai sui articoli sul tema, e aggiungo, purtroppo non solo ai suoi: negli ultimi mesi ho letto e scritto ovunque sull’argomento e sulla necessità di provvedimenti governativi e non ho avuto mai la solidarietà di nessuno, qualcuno si è spinto fino all’insulto. In qualità di cittadina italiana 58enne disoccupata da quattro, senza alcun reddito, dopo aver lavorato quasi trent’anni senza delinquere mai, con lo sfratto esecutivo tra pochi giorni, malata seriamente ma senza bollino Inps, mi ritrovo a finire (questione di giorni) letteralmente in strada, perché non esiste per le persone come me nessuna protezione sociale. Il cosiddetto piano nazionale di contrasto alla povertà è pura presa per i fondelli, un ulteriore sfregio nella vita di chi per ragioni che stanno sotto gli occhi di tutti (disoccupazione) si ritrova ad essere tra gli ultimi.
    I tanti arzigogolisti a sfavore di un reddito minimo per chi non ne ha o ce l’ha insufficiente per poter vivere senza terrore e con dignità, sono quasi sempre gli stessi che hanno usufruito dei provvedimenti presi dal governo Renzi da lei menzionati, e se anche così non fosse non ho notato mai alcun segno di dubbio o protesta a seguito della loro attuazione. Dove sta il baco, nelle teste o nelle coscienze?

    • Enrico Motta

      Il suo caso rientrerebbe tra quelli per cui Tito Boeri ha suggerito il reddito minimo, cioè ultracinquantenni che hanno perso il lavoro. Chiara Saraceno, in un precedente articolo, si schiera contro questa proposta (“La povertà non si combatte per categorie”), e ribadisce le proposte universalistiche; in base alle quali un caso come il suo rientra nella stessa categoria di un giovane di 25 anni che non ha reddito né lavoro.

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