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Neanche l’Adi cattura la povertà assoluta

Le famiglie che percepiscono l’Adi non hanno le stesse caratteristiche dei nuclei poveri assoluti individuati dall’Istat. Dipende in larga parte dalle differenze tra il metodo di calcolo della povertà assoluta e le regole di attribuzione del sussidio.

L’Adi a un anno dall’introduzione

L’Assegno di inclusione (Adi), la misura che ha preso il posto del Reddito di cittadinanza (Rdc), compirà tra poco un anno. In attesa che l’Inps aggiorni i dati dell’Osservatorio statistico relativi al primo semestre 2024, può essere utile confrontare il profilo di povertà dei beneficiari della nuova misura con quello che risulta dalle statistiche Istat sulla povertà assoluta in Italia nel 2023, pubblicate il 17 ottobre scorso: le caratteristiche dei poveri assoluti coincidono con quelle dei beneficiari dell’Adi o vi sono differenze rilevanti?

Il confronto tra la platea di famiglie beneficiarie dell’Adi e l’insieme delle famiglie povere assolute stimate dall’Istat conferma, e in alcuni casi accentua, la divaricazione nella composizione delle due popolazioni già emersa ai tempi del Rdc relativamente ad alcune caratteristiche, come la ripartizione geografica e la cittadinanza dei componenti della famiglia. Minore rispetto al passato è invece lo scostamento tra i due profili di povertà, se valutato relativamente alla presenza o no di minori.

Dove sono i poveri e dove arriva l’Adi

Le famiglie Adi si concentrano nelle regioni del Sud e nelle Isole, dove raggiungono il 69 per cento del totale, mentre nel Nord risiede solo il 18 per cento dei nuclei beneficiari della nuova misura, una quota minore anche di quella (21 per cento) registrata a dicembre 2023 ai tempi del Rdc. Secondo le stime Istat, nel 2023 risiedeva in Meridione il 39 per cento delle famiglie povere assolute, contro il 45 per cento nel Settentrione. Il numero di famiglie in povertà assoluta che vivono nelle regioni del Nord supera quindi quello delle famiglie povere che risiedono nel Sud.

La forte differenza geografica tra distribuzione dei poveri e dei beneficiari Adi dipende dal fatto che non si prende in considerazione il maggior costo della vita al Settentrione ai fini della prova dei mezzi e della determinazione dell’importo dell’Adi. 

Qual è la cittadinanza dei richiedenti

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Solo il 9 per cento dei nuclei che beneficiano dell’Adi ha come richiedente un cittadino non italiano (europeo, extracomunitario in possesso di permesso di soggiorno Ue o altro), mentre secondo l’Istat il 31 per cento delle famiglie povere assolute include anche componenti stranieri. Il dato Adi coincide con quello stimato per i beneficiari del Rdc nel dicembre 2023. L’allentamento del criterio della residenza in Italia (da 10 a 5 anni) non sembra quindi aver prodotto un’estensione della platea dei nuclei percettori dell’Adi tra i non italiani. Come sarebbe viceversa auspicabile, se si considera che l’incidenza della povertà assoluta tra i nuclei dove sono presenti stranieri (30,4 per cento nel 2023) è la più alta dal 2014, contro un valore del 6,3 per cento per le famiglie di soli italiani. Non è chiaro perché la presenza di stranieri tra i beneficiari non sia aumentata. Forse la ragione principale è che, nel passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione, si è ridotta la soglia di reddito per chi vive in affitto, da 9.360 a 6mila euro, un calo che ha penalizzato di più gli stranieri, perché più spesso degli italiani abitano in affitto. 

Una misura per famiglie con minori

I vincoli categoriali dell’Adi contribuiscono a spiegare l’alta quota (42 per cento) di nuclei Adi in cui sono presenti minorenni, in crescita rispetto al 34 per cento per il Rdc. Difficile dire se il risultato dipende anche dalla revisione della scala di equivalenza. Come fa notare il rapporto del 9 luglio 2024 dell’Osservatorio statistico Adi dell’Inps, la singolarità della nuova scala è infatti che può assumere valori minori, maggiori o uguali a quelli della scala di equivalenza Rdc, a seconda della composizione per età e per condizione di fragilità (disabilità, minore età, o altro) dei membri della famiglia.

In sintesi, le caratteristiche delle famiglie percettrici di Adi sono ancora piuttosto diverse da quelle dei nuclei poveri assoluti individuati dall’Istat:

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– sono più spesso residenti in Meridione;

– hanno in gran parte cittadinanza italiana;

– hanno più spesso membri minorenni.

L’incompleta sovrapposizione tra i due gruppi dipende in buona parte da tre differenze tra il metodo di calcolo della povertà assoluta e le regole di attribuzione dell’Adi:

  1. i poveri assoluti vengono individuati in base alla spesa per consumi, i beneficiari Adi in base a reddito disponibile e patrimonio (con l’Isee);
  2. la stima della povertà assoluta tiene conto del fatto che il costo della vita e le spese per riscaldamento sono maggiori al Nord, mentre le regole di calcolo dell’Adi sono uniformi sull’intero paese;
  3. l’Adi non è universale, esclude le famiglie in povertà che non hanno familiari minorenni, anziani o invalidi.

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  1. Gaetano Proto

    Dato che il confronto con il RdC si limita ai termini relativi, trascurando quelli assoluti che sarebbe stato interessante riportare nelle tabelle, chi legge l’articolo ne può ricavare l’impressione che in fondo l’AdI non rappresenti una novità. Il RdC è stato pienamente in vigore dal 2019 all’agosto del 2023, quando ne è stata abolita l’universalità, per cui i dati di dicembre 2023 citati dagli autori non sono del tutto rappresentativi. A parte questo, è vero che in termini di composizione percentuale dei beneficiari, AdI e RdC sono entrambi dissimili rispetto al termine di riferimento dei poveri assoluti. Ma la questione più rilevante è che si è passati da un milione di nuclei beneficiari a maggio 2023 ai 624 mila di maggio 2024 (ultimo dato mensile pubblicato!), diminuendo nettamente la copertura rispetto ai 2,2 milioni di nuclei in povertà assoluta. Il cui numero a sua volta non potrà che risentirne, anche se non sarà immediato isolare l’effetto della riduzione delle risorse destinate alla lotta alla povertà sul dato del 2024.
    Non solo “l’Adi non è universale, esclude le famiglie in povertà che non hanno familiari minorenni, anziani o invalidi”, come ricordano giustamente gli autori in chiusura, ma per la prima volta esclude dal calcolo della scala di equivalenza i componenti (escluso il primo) che non sono minorenni, anziani o invalidi, non considerandoli ai fini della prova dei mezzi della famiglia – eppure si tratta a tutti gli effetti di “bocche da sfamare”! Di conseguenza, la famiglia risulta avere un “reddito equivalente” più alto, con l’effetto di ridurre l’AdI che spetta o addirittura di escludere la famiglia dal beneficio, trattando diversamente nuclei in condizione simile con una evidente violazione dell’equità.
    Rispetto al RdC, questo effetto restrittivo trasversale si aggiunge alla riduzione del parametro della scala relativo ai minori (-0,05 p.p., -0,1 a partire dal terzo): l’effetto combinato prevale certamente sull’effetto espansivo che deriva dall’aumento del parametro della scala relativo ai disabili (+0,1 p.p., +0,3 se minori). Quindi in termini concreti è una mezza verità quella che gli autori riprendono dall’INPS, secondo cui la scala può assumere valori minori, maggiori o uguali a quelli della scala di equivalenza RdC.
    A proposito di effetti restrittivi trasversali, gioca sicuramente un ruolo di primo piano l’eliminazione ingiustificata della soglia di reddito maggiorata per i nuclei in affitto disposta dall’AdI. Ma a oggi l’impatto negativo risulta indistinguibile da quello delle altre modifiche apportate rispetto al RdC, anche perché l’INPS continua a non fornire informazioni sulla ripartizione tra le risorse destinate al reddito minimo vero e proprio e quelle destinate al rimborso dell’affitto, lacuna già rilevata in passato rispetto al RdC.

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