Oggi quasi la metà delle famiglie in povertà assoluta non percepisce alcun trasferimento monetario. Mentre un quarto della spesa assistenziale nazionale va a nuclei familiari con redditi nettamente superiori. Serve dunque un nuovo sistema di politiche per chi è in difficoltà. Risorse e resistenze.
Il piano del governo
La relazione al disegno di legge 3594, collegato alla legge di stabilità 2016 e relativo alle norme a contrasto della povertà, afferma la necessità di verificare le prestazioni assistenziali esistenti in relazione all’effettivo bisogno dei beneficiari, in un’ottica di maggiore efficacia ed equità. L’articolato delega il governo ad adottare provvedimenti legislativi per:
- introdurre dal 2017 una nuova misura nazionale unica di contrasto alla povertà e quindi sostitutiva di quelle già esistenti;
- razionalizzare su criteri di equità, appropriatezza ed efficacia le attuali prestazioni di natura assistenziale e previdenziale;
- riordinare la normativa in materia di sistema degli interventi e dei servizi sociali.
La coerenza fra distribuzione sociale delle prestazioni assistenziali e condizione di bisogno economico delle famiglie è attualmente molto limitata. Basti pensare che quasi la metà delle famiglie in povertà assoluta e un terzo delle famiglie del primo decile Isee non percepiscono alcun trasferimento monetario. Questo mentre un quarto della spesa assistenziale nazionale va a famiglie con redditi superiori anche di tre o sette volte. Inoltre, disabili e non autosufficienti ricevono una indennità di accompagnamento di uguale ammontare, senza alcun rapporto con l’intensità del loro fabbisogno assistenziale. Su questo fronte, c’è anche un’assoluta prevalenza delle erogazioni monetarie e delle detrazioni fiscali nazionali (per un totale di 60 miliardi) rispetto alle prestazioni di servizi finanziati dai Comuni (neanche 7 miliardi).
Non si può sanare una situazione tanto carente affiancando nuove singole misure, per quanto valide, a quelle esistenti. Troppe timidezze e timori per perseguire le finalità dichiarate dal governo.
La proposta
Assumendo gli stessi obiettivi del governo e partendo dalla revisione critica delle misure esistenti, abbiamo provato a configurare un nuovo sistema di politiche per le famiglie in maggiore difficoltà, che ottimizzi l’efficacia sui bisogni, l’equità distributiva e l’efficienza nell’uso delle risorse. Prevede strumenti come:
- un reddito minimo di inserimento, che per le famiglie in povertà unisce l’integrazione dei redditi fino alla soglia di povertà assoluta a progetti personalizzati di promozione e inserimento sociale e lavorativo;
- un assegno per i figli, che, sostituendo le detrazioni fiscali per figli e gli assegni del nucleo familiare, fornisce sostegno economico – con prova dei mezzi – a famiglie con figli minori o studenti fino a 25 anni;
- una dote di cura, che sostituisce l’attuale indennità di accompagnamento e assicura a tutte le famiglie con persone non autosufficienti o disabili un sostegno economico o di servizi, di entità rapportata alla intensità del fabbisogno assistenziale, senza alcuna selettività economica;
- una pensione unica per invalidi, per dare sostegno economico progressivo, sempre sottoposto alla prova dei mezzi, alle famiglie con invalidi in condizione economica media o bassa;
- un budget di inclusione, quale nuovo modello di presa in carico delle persone con disabilità e opportunità di vita autonoma, che mette a sistema tutti gli interventi.
Tali misure sono accompagnate da uno sviluppo quantitativo e qualitativo dei servizi territoriali per adeguarli alla loro nuova centralità e ai loro nuovi compiti. Tutto tramite finanziamenti aggiuntivi e liberazione di risorse comunali dedicate.
Inoltre, intervengono su tutte (universalismo) e solo le reali situazioni di bisogno socialmente riconosciute (economicità, efficienza della spesa), integrando risorse personali e familiari gravemente carenti e sostenendo potenzialità presenti nelle persone e nel contesto (welfare comunitario). Il sostegno è insomma proporzionato e appropriato al bisogno (equità sociale e efficacia).
Un sistema di questo tipo consegue il tendenziale azzeramento della povertà assoluta, ora al 7,2 per cento, e la concentrazione dei benefici sui più bisognosi per reddito (tavola 1). Certo, il numero dei beneficiari si contrae, ma le penalizzazioni medie sul reddito degli esclusi dai benefici, grazie alle salvaguardie eventualmente previste, risultano nulle fino al quarto decile Isee e modeste (fra l’1 e il 3 per cento) per i decili successivi. Il vantaggio sociale risulta quindi evidente.
Il costo a regime di questa riforma sarebbe di 79,8 miliardi, il 7 per cento in più di quanto già impegnato per il 2017 (tavole 2 e 3), da raggiungere con un percorso pluriennale, con tappe già configurate. Il costo aggiuntivo (5,5 miliardi) potrebbe essere coperto da ulteriori finanziamenti pubblici o anche, in tutto o in parte, con una scelta redistributiva più accentuata, prelevando una parte dei 7,5 miliardi di euro delle attuali erogazioni per contrasto alla povertà e sostegno alla famiglia che per gli attuali distorti criteri di selezione vanno alle famiglie, benestanti o addirittura ricche, dei quattro decili Isee superiori.
La riforma generale e coordinata proposta conseguirebbe dei significativi benefici sociali, con costi aggiuntivi contenuti. Come ogni cambiamento incontrerà resistenze. Toccherà alla politica gestirle per ricercare la maggior coerenza fra le finalità enunciate e le azioni poste in atto per perseguirle.
Tavola 1 – Ripartizione percentuale dei trasferimenti delle politiche sociali alle famiglie, per decili di Isee, prima e dopo la riforma
Modello di microsimulazione Mapp-Capp su dati Eu-Silc
Tavola 2 – Spesa assistenziale al 2014
Tavola 3 – Il finanziamento della riforma compiuta
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Matteo
La lettura dell’articolo, considerando il peso specifico degli autori, lascia un pò spiazzati: tutto giusto, tranne lo scarto enorme tra proposta e sua reale fattibilità. Pur considerando i limiti di spazio redazionali concessi, relegare alla sola ‘politica’ il peso della gestione del cambiamento (in qualche modo epocale) che la proposta implica, significa non voler tenere in considerazioni le reali difficoltà applicative di una politica pubblica di grande portata. Credo che se la proposta fosse supportata non solo da una microsimulazione ma anche da un ‘piano di azione’ altrettanto solido scientificamente per raggiungere gli obiettivi della proposta, il tutto acquisterebbe maggiore credibilità.
Davide
Molto interessante. Dimostra che tutto ciò che non verrà fatto sarebbe comunque fattibile.
Henri Schmit
Articolo interessante, ottime proposte. Bisognava probabilmente approvarle 18 mesi fa, prima degli 80 € e prima dell’eliminazione della tassa sulla prima casa (tuttalpiù ci stava una franchigia progressiva per numero di persone a carico). La somma delle due misure “sbagliate” permetterebbe di finanziare una parte di quelle giuste. Ormai il binomio R-P è associato a quello che hanno fatto malgrado le proteste dei “burocrati” di Bruxelles. Un programma come quello proposto dagli autori ora sembrerebbe un inseguimento del programma M5*. Se lo può permettere l’attuale squadra di governo? O bisogna cambiare i cavalli? Dove trovare i cavalli freschi?
Neviana Salomone
E pensare invece, da economisti, a qualcosa che favorisca il venire meno di tanta diffusa povertà?
Siamo certi sia solo un problema di “servizi territoriali”? O che non sia meglio promuovere l'”azzeramento della povertà assoluta” con l’inserimento lavorativo dei poveri e con l’innalzamento delle politiche salariali in generale, laddove le famiglie monoreddito sono oggi in condizione di povertà mentre i nostri padri (sempre monoreddito) hanno ampiamente sostenuto le nostre spese mediche, dentistiche ed universitarie e ci hanno persino pagato mesi di vacanze estive, senza “servizi territoriali” di sorta?
Io non so a chi vadano i trasferimenti, ma so che di quanto pago (parecchio, in valore assoluto, come nucleo familiare) personalmente non ho indietro nulla e mi converrebbe ampiamente pagare privatamente tutto (come già faccio per la sanità): se far parte di uno Stato significa mettere a disposizione le proprie risorse per abbattere la povertà altrui e non avere in cambio nulla, ca va sans dire che questo Stato presto tracollerà, quando gli abbienti si stancheranno di mantenere un sistema di distribuzione a senso unico.
Chi si occupa di povertà oggi ha il dovere di indagarne le origini e trovare delle soluzioni, affinché si torni ad un contesto sociale più integro, che abbatta le disuguaglianze e che favorisca il progresso culturale e scientifico della nostra società: solo così ci potremo sentire parte di un progetto che abbia un senso, che non sia sterile assistenzialismo.
Henri Schmit
Lei ha ragione: Prima della spesa pubblica, specchio delle tasse, bisogna pensare all’economia, cioè all’investimento e all’impresa e quindi alla crescita e all’occupazione. Ma dopo bisogna pure decidere come stabilire le tasse per coprire quali spese e come spendere: bisogna far funzionare le infrastrutture, l’ordine pubblico, l’educazione e la ricerca, la giustizia, la sanità, la salute, lo sport, l’ambiente, lo spazio pubblico, il territorio. Bisogna pure ASSISTERE chi merita assistenza: le neo-mamme, i giovani, i malati, gli anziani e i poveri sfortunati estromessi dal ciclo produttivo. Gli autori dell’articolo non difendono l’assistenzialismo come tale, ma misure sociali eventualmente a parità di costo più efficienti di quelle finora adottate dal governo.
sandro
papa Giovanni Paolo II diceva che la priorità è la dignità dell’uomo, e che il diritto alla vita è il fondamento di ogni altro diritto. Principi che non dovrebbero mai venire meno.
Se la povertà non può diventare conveniente, nemmeno però può uccidere. E uno Stato moderno che è uno Stato di diritto non può affidarsi esclusivamente al volontariato e al terzo settore: una cosa è un reddito per diritto, e ben altra cosa è una forma di assistenza legata alla libera volontà di qualcuno (che può benissimo essere sempre negata anche senza un valido motivo).
In uno Stato di diritto o è un diritto il lavoro, oppure è un diritto un reddito minimo per i più poveri. In uno dei modi, i poveri pure andranno garantiti. E invece di diritti, si parla solo di tutele.
tutto cade dall’alto, tutto è grazia, niente è dovuto. nemmeno ai più poveri fra i poveri.
Paolo
…che dire… Pur non priva di fascino, la microsimulazione proposta credo costituisca una delle (purtroppo) frequenti testimonianze della frattura esistente tra mondo accademico e vita reale. L’esercizio realizzato dagli autori è assolutamente inutile per qualsiasi decisore politico, e dal mio punto di vista costituisce un’aggravante la pilatesca frase “Come ogni cambiamento incontrerà resistenze. Toccherà alla politica gestirle per ricercare la maggior coerenza fra le finalità enunciate e le azioni poste in atto per perseguirle”. Il complesso processo relativo al disegno, all’implementazione e alla valutazione delle politiche pubbliche avrebbe bisogno di apporti accademici forse più responsabili e meno autistici.
Bruno Jiménez Reyes
Non capisco tutte le critiche a questo articolo, che non è un nuovo progetto politico, ma una simulazione accademia di cosa si quanto si potrebbe effettivamente fare, praticamente a parità di budget, in condizioni ideali.
Parlare di strategie politiche di come implementare questo piano esulerebbe totalmente da questo articolo, inoltre le eventuali idee proposte sarebbero necessariamente semplicistiche, a meno di non trasformare l’articolo in un tomo da 400 pagine.
Matteo
Mi perdoni ma credo sia una funzione importante della rivista permettere proprio che anche le ‘simulazioni accademiche’ attraverso critiche più o meno fondate possano calarsi un pò meglio nella realtà. Non può infatti essere che una simulazione perchè ‘accademica’ e perchè ben fatta non possa essere criticata nel momento in cui mette al centro temi importanti e complessi: oltre all’accademia esiste poi chi quotidianamente si sporca le mani e deve mettere le pezze a interventi pubblici nati da modelli e simulazioni bellissimi… ma di fatto irrealizzabili….