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Non esiste una sola povertà

La povertà non è un fenomeno univoco, ma il reddito di cittadinanza non ne tiene conto. Le soglie che la definiscono cambiano infatti da Nord a Sud, perché diverso è il costo della vita. Ignorate pure le esigenze specifiche delle persone con disabilità.

Reddito di cittadinanza e soglie di povertà

La povertà in Italia si misura con un indicatore di situazione economica equivalente, l’Isee. A parità di Isee, però, i poveri del Nord sono più poveri perché devono sostenere un costo della vita più elevato, affitti e generi alimentari più cari, spese di riscaldamento maggiori, a cui si aggiungono minori aiuti di familiari e di vicini.
L’Isee viene costruito sulla base dei redditi e dei patrimoni mobiliari denunciati e degli immobili posseduti e censiti al catasto: in alcune regioni del Sud molte abitazioni non sono accatastate e quindi non aumentano l’indicatore. Così come i redditi da lavoro nero, che è sicuramente più diffuso al Sud. Il reddito di cittadinanza può essere un’ulteriore spinta per aumentare il lavoro nero, perché sia i lavoratori sommersi che i loro datori sono interessati a nascondere il rapporto di lavoro. Non sono certo credibili le minacce di punizioni esemplari per i “furbetti” proferite da Luigi di Maio e da Matteo Salvini. È difficile pensare che nelle regioni dove non si riesce a fare rispettare l’obbligo del catasto delle case (visibilissime dalle foto satellitari) si riuscirà a verificare e punire il lavoro nero. Il lavoro nero è diffuso anche al Centro-Nord, dove però funzionano meglio il servizio ispettivo e il ricorso alla magistratura del lavoro.
Nel definire il reddito di cittadinanza, sarebbe perciò giusto tenere conto delle differenze del costo della vita, sia per determinare con maggiore equità il numero dei poveri sia per quantificare il corretto importo mensile dell’assegno di ciascun richiedente, poiché con gli stessi 780 euro in alcune zone si comprano più beni e servizi che in altre. Il costo della vita si differenzia da regione a regione, ma anche all’interno di una stessa regione: ad esempio è più elevato nelle grandi città rispetto al resto del territorio. L’Istat offre un calcolatore della soglia della povertà.
Così, nel 2017 una famiglia composta di due adulti e un figlio in età compresa fra i 4 e i 10 anni, residente in una città del Nord che supera i 250 mila abitanti, è povera se dispone di meno di 1.390 euro al mese, mentre se risiede nel Sud la famiglia è povera se ha meno di 1.087 euro: 303 euro di differenza. Per il nucleo familiare con eguali dimensioni che risiede in una città con meno di 50 mila abitanti nel Nord la soglia si abbassa a 1.275, ancor più al Sud, dove è pari a 1.013 euro al mese: 262 euro di differenza.
La definizione degli aventi diritto all’assegno di cittadinanza e quella dell’ammontare dell’assegno dovrebbero rispettare le differenze del potere di acquisto e non indicare una soglia unica per tutti. E l’Inps potrebbe facilmente tenerne conto.

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Il caso delle persone con disabilità

Oltre alle differenze del costo della vita, il rispetto del principio elementare dell’equità vorrebbe che si considerasse la differente condizione delle persone: per quelle con disabilità dovrebbero essere introdotti criteri diversi da quelli approvati dal governo con il decreto del 17 gennaio, come spiegano bene Carlo Giacobini e Daniela Bucci.
Gli indici di povertà come l’Isee familiare non riescono a cogliere in modo adeguato l’effettivo tenore di vita delle famiglie con una o più persone con disabilità e sottostimano il loro reale disagio economico, aggravato dalle difficoltà di accesso al mondo del lavoro, dalla necessità di disporre di un caregiver e dai costi sociosanitari privati per supplire alle carenze dei servizi pubblici di assistenza sociale e sanitaria.
L’insoddisfazione dei nuclei familiari con persone con disabilità sul decreto del 17 gennaio è stata espressa dai presidenti di Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) e Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili), che hanno rilevato come i nuclei in cui sono presenti persone con disabilità, titolari di pensione di invalidità civile (considerata come reddito), verranno inequivocabilmente trattati meno favorevolmente delle altre famiglie, proprio perché le stesse pensioni di invalidità vengono considerate alla stregua di un reddito.
La permanenza della persona con disabilità all’interno del nucleo familiare, dovuta spesso alla mancanza di adeguati servizi residenziali, diventa un enorme ostacolo all’ottenimento del reddito di cittadinanza, che si basa sull’Isee familiare invece che su quello personale.
Queste ed altre criticità presenti nel decreto potrebbero essere corrette accogliendo i suggerimenti proposti dalla Fish e ribaditi nell’incontro col ministro Lorenzo Fontana.

Un compito per i comuni

Sono dunque diversi i fattori individuali di cui si deve tener conto nella assegnazione reddito di cittadinanza e nella determinazione dell’assegno. Per questo, l’ottica migliore per valutare la povertà e gli interventi per superarla è quella dei comuni. A loro dovrebbe essere delegato il compito di distribuire anche i sussidi monetari legati al reddito di cittadinanza, che dovrebbero far parte del “budget globale di spesa” consentendo, a parità di risorse, di offrire alla persona la scelta del miglior progetto individuale di vita secondo l’articolo 14 della legge 328 del 2000. Già ora i comuni si assumono il compito di fare perequazioni individuali rispetto all’indennità di accompagnamento erogata dal governo centrale e hanno operatori dedicati allo scopo, costretti a diventare agenti del fisco per la scarsità delle risorse di cui dispongono.
Si dovrebbe evitare di costruire un sistema parallelo, che costituirebbe solo uno spreco delle risorse destinate ai poveri, soprattutto viste le difficoltà del paese e delle finanze pubbliche. Sarebbe anche fondamentale finanziare tirocini lavorativi studiati appositamente per le persone con disabilità, che esigono un accompagnamento ben diverso da quello che possono offrire improvvisati “navigator”.

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  1. Savino

    Chi non se ne intende di povertà, non può toccare quell’argomento. Gli italiani non sono poveri nel senso che loro credono di essere e Di Maio non se ne intende di povertà, ma di come speculare per ottenere voti.

    • Gianni

      Se un povero del nord ritiene vantaggioso spostarsi a sud può farlo liberamente.

      • Luca Neri

        Certo, qualunque percettore di reddito di cittadinanza può trasferirsi al Sud per aver maggiori benefici assistenzialistici senza lavorare. Se gli aventi diritto al RdC seguissero il suo consiglio in massa, la pressione demografica farà aumentare i prezzi degli affitti e con essi i prezzi dei beni al consumo. In altre parole, farà aumentare al Sud il costo della vita, avvicinandolo a quello del Nord, ma senza la medesima produttività e qualità dei servizi che lo sostenga. Avremo un Sud ancora più imbrigliato nella trappola della povertà, pieno di gente con scarso capitale umano e scarsi incentivi a produrre. Ottima soluzione, Gianni! Giggino dovrebbe chiamarla come consulente.

        • Gianni

          Se si trasferissero in massa verso sud ed oppressi degli affitti salissero a livello tale da rendere conveniente tornare a nord, avremmo una inversione del flusso migratorio, fino al raggiungimento della soluzione pareto efficiente. Ma non vorrei parlare troppo difficile per lei.

  2. Angelo

    Se non erro alcuni anni addietro qualche forza politica propose quelle che venivano chiamate “gabbie salariali” con l’idea di differenziare gli stipendi fra nord e sud Italia, adducendo le motivazioni che compaiono anche nell’articolo. La polemica non portò a nulla e mi sembra che principalmente le varie organizzazioni sindacali si schierarono contro la proposta. Riproporre la misura per il reddito di cittadinanza dovrebbe portare a riaprire il dibattito anche sui salari ed eventualmente anche sui redditi di altre categorie. Può essere una strada percorribile?

  3. Marco Di Marco

    Il primo commento spiega perché in Italia non si può tener conto, nel disegno delle politiche sociali, delle differenze territoriali del costo della vita: si opporrebbero i sindacati, nel timore che queste vengano estese anche alla legislazione sui salari. Il governo, per il Reddito di Cittadinanza, ha già contro Confindustria e altri difensori del passato, in cui i governi erano sostanzialmente disinteressati alla lotta alla povertà.

  4. Gennaro

    Nell’articolo ci sono molte considerazioni di buon senso e proprio per questo, non saranno tenute in nessun conto in sede di conversione del decreto sul RdC. Il ceto politco di ieri e di oggi, purtroppo, è accomunato dalla stessa insensibilità nei confronti dei disabili. Ho un unico appunto da muovere, quando viene affermato che la permanenza dei disabili nel nucleo familiare è dovuta all’assenza di strutture redidenziali. Queste ultime devono essere l’estrema ratio nel progetto di vita di un cittadino disabile, che deve avere il diritto di vivere a casa sua, nel suo ambiente, come qualunque altro essere umano.

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