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Lezione inglese sul voto dei giovani

Il voto degli elettori più anziani è stato determinante per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Ma a sopportarne le conseguenze saranno soprattutto i giovani, che in prevalenza volevano rimanere nella Ue. Come dare più peso al voto delle giovani generazioni e il problema dell’astensione.

Le conseguenze del referendum

Il 23 giugno 2016 il popolo britannico si è espresso a favore dell’abbandono dell’Unione Europea. Un risultato ottenuto con meno del 2 percento di scarto. Un margine ridotto, in termini elettorali, ma con conseguenze certamente storiche. Ovviamente, l’esito di un voto non è mai giusto o sbagliato in sé e la decisione va semplicemente accettata e rispettata. Ci sono, tuttavia, alcune questioni che questo referendum mette in evidenza rispetto alla spaccatura che si è determinata nel paese sulle dimensioni territoriale e generazionale, oltre che su quella sociale.

Un voto che spacca

Una delle divisioni più evidenti e più immediate è quella geografica: Scozia e Irlanda del Nord – più la città di Londra – si sono espresse a maggioranza per il “remain”, mentre Inghilterra e Galles per il “leave”. Il distacco della Gran Bretagna dall’Unione potrebbe quindi avere come conseguenza una divisione interna del paese. Scozia e Irlanda del Nord hanno espresso una propria volontà che però è stata annullata da una volontà opposta altrui. Assecondando le mai sopite spinte indipendentiste, potrebbero volersi mettere nella condizione di decidere da sole per il proprio futuro. Le affermazioni della premier scozzese vanno già in questa direzione.
Una seconda dimensione, ancor più delicata e complessa da maneggiare e interpretare, è quella generazionale. Da un lato, confermando una tendenza abbastanza consolidata, la partecipazione al voto è stata maggiore per le fasce più anziane (i dati provvisori danno un’affluenza sensibilmente minoritaria sotto i 25 anni, sopra il 50 per cento tra i 25-34, per poi salire via via sin oltre l’80 per cento per gli over 65). D’altro lato, l’orientamento di voto ha visto il prevalere del “leave” per le fasce più anziane della popolazione (over 50) e invece del “remain” per quelle più giovani.
Perché tutto ciò è particolarmente interessante? Perché qualunque siano le conseguenze del voto, chi dovrà subirle maggiormente sono proprio coloro che non avrebbero voluto lasciare l’Unione Europea. Come varie indagini e ricerche evidenziano, esiste un atteggiamento ambivalente delle nuove generazioni nei confronti dell’Europa. Da un lato, i giovani sono molto critici su come è stato sinora realizzato il progetto europeo, d’altro lato si identificano in valori comuni, riconoscono potenzialità e opportunità di mobilità. Secondo i dati del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo, riferiti a un approfondimento internazionale condotto a luglio 2015, quasi il 60 per cento degli inglesi tra i 18 e i 30 anni considera favorevolmente la possibilità di spostarsi liberamente per fare esperienze di studio e lavoro in altri paesi europei.
Insomma, il ritratto è quello di una generazione che più che veder smantellato il progetto europeo lo vorrebbe rilanciato e migliorato. Un’alta astensione, ma con prevalenza del “remain”, esprime coerentemente questa posizione: il desiderio di non uscire, ma dando anche un segnale di forte insoddisfazione e incertezza su questa Europa. Il “sì” non entusiasta dei giovani è stato però spazzato via dal “no” pieno e convinto delle generazioni più anziane.

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Un voto da ponderare bene

Al di là del caso Brexit, proviamo a valutare la questione in termini più generali. Pensiamo a una situazione in cui si deve votare su un tema che tocca soprattutto il futuro delle nuove generazioni e che vi sia un orientamento diverso tra giovani e anziani. Va bene che prevalga l’esito voluto dagli anziani? Si può rispondere “sì” solo se si è convinti che le vecchie generazioni conoscano meglio ciò che è bene per il futuro dei giovani. Si può rispondere “no” se si considera che a beneficiare o a subire le conseguenze delle scelte di oggi sul domani saranno soprattutto le nuove generazioni. In quest’ultimo caso, va favorita la possibilità che il loro peso eserciti il giusto rilievo sulla decisione finale. Questo peso, però, si sta indebolendo sempre di più nelle società moderne avanzate per l’invecchiamento della popolazione.
Una possibile proposta (che garantisce comunque il principio di uguaglianza tra cittadini sul voto) è assegnare allo stesso elettore un voto con peso maggiore quando è giovane e più ridotto quando è anziano. Ne abbiamo fornito una simulazione in un nostro precedente articolo, dove si mostra anche come il meccanismo consentirebbe solo in parte di contenere la perdita di peso giovanile dovuta all’invecchiamento.
Da tener separato è invece il tema dell’astensione che può essere dovuta ai motivi più diversi. Possiamo interpretare il fenomeno come indifferenza rispetto ai possibili esiti. Oppure come ignoranza sul quesito posto. O ancora, possiamo pensare che per i giovani le strategie diverse da quelle degli anziani: potrebbero preferire spostarsi (“exit”) al votare (“voice”). Ci può essere sfiducia nelle istituzioni o anche nel potere che il proprio singolo voto possa davvero cambiare le cose. Rispetto a tutto questo, il voto ponderato potrebbe avere effetti benefici, chiarendo in maniera esplicita che sarà esclusivamente una responsabilità generazionale quella di farsi sovrastare o meno dalle scelte degli elettori più maturi.
È doveroso ridurre le condizioni di svantaggio delle nuove generazioni, ma se non saranno i giovani stessi a chiarirsi le idee sul proprio futuro e sulle decisioni da prendere, nessuna ponderazione potrà aiutarli.

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15 commenti

  1. Bice

    Un elemento da valutare nella discussione dell’astensione dei giovani UK dal voto e’ il meccanismo di registrazione degli elettori. I Britannici non possono votare all’estero se non per procura, e per questa e’ necessaria una ri-registrazione. Infatti (a differenza dell’Italia), non si e’ automaticamente registrati una volta raggiunta l’eta’ prevista, ovunque si abiti. A naso, direi che questo meccanismo rende il voto dei residenti all’estero piu’ complicato di quanto succeda con la nostra AIRE (che pure non censisce tutti). Quanti giovani (e, in generale, quanti Britannici residenti all’estero, UE inclusa) non si sono premurati di registrarsi per il voto per procura? Piu’ in generale: quanti giovani, persino dentro il Regno Unito, non si sono ri-registrati in tempo per votare da dove effettivamente sono (universita’, posto di lavoro – il voto al giovedi e’ facile soprattutto per i pensionati!)? Insomma, quanto il meccanismo per l’accesso all’elettorato attivo spiega i voti mancanti dell’elettorato giovane, soprattutto di quello residente all’estero?

  2. Alessandro Leipold

    Quale sarebbe il risultato “ponderato” del voto Brexit?

  3. Stefano Matteucci

    Facciamo così:
    Prima togliamo il voto ai vecchi
    Poi a chi non ha una laurea
    Poi ai poveri
    Poi agli omosessuali
    Poi alle donne
    Poi ai neri
    Poi a quelli del sud
    Poi a quelli del centro
    Poi a quelli del nord

    Portarono via gli ebrei e non feci nulla
    Poi gli zingari, e non feci nulla
    Poi portarono via me

  4. Stefano Matteucci

    Viste le referenze non proprio positive degli ultimi 20 anni, mi permetto di consigliare a chi si occupa di marketing e finanza di stare lontano dalle istituzioni e dai fondamenti della nostra civiltà

  5. pierrot

    Premetto che, se anglosassone, avrei votato “Remain”.
    Ciò detto, se per pura ipotesi la maggioranza degli anziani anglosassoni avesse votato “Remain” e i giovani (dei quali mi si dice peraltro abbiano partecipato al voto in misura infima = under 25 votanti: 36% – fonte @Skydata) avessero votato “Leave” si dovrebbe allora capovolgere la vostra ipotesi ?
    “Una possibile proposta (che garantisce comunque il principio di uguaglianza tra cittadini sul voto) è assegnare allo stesso elettore un voto con peso maggiore quando è anziano e più ridotto quando è giovane.
    Splendida ipotesi di voto a geometria variabile.
    A quando il ritorno al voto in base al censo o al numero di lauree e di Masters collezionati ?
    Dio ce ne scampi e liberi se questi sono i risultati.

  6. Savino

    Non c’è più la classe dirigente visionaria che pensa ai giovani e al loro futuro.
    La storia giudicherà le bugie e la propaganda di Farage, Le Pen, Grillo, Di Maio e Salvini.
    Non c’è cosa peggiore che profittare della condizione disagiata delle persone per strumentalizzarla contro la costruzione di un modello sicuro pace e prosperità.

  7. slobodan

    Torvo la ponderazione del voto pericolosissima. La democrazia rappresentativa, per forza di cose, semplifica: chi si astiene accetta il risultato. Punto. Altrimenti si potrebbe argomentare che, siccome aumenta la popolazione urbana, il voto della popolazione rurale deve pesare di più perché sia tutelato il suo interesse. Oppure che siccome i ricchi sono pochi (e in più pagano più tasse) il loro voto deve valere di più o, al contrario, siccome hanno già troppo potere deve valere di meno. E così via per ogni minoranza possibile e immaginabile (immigrati, disoccupati, lavoratori autonomi, omosessuali, atei e buddisti, vegetariani, locatari di casa, tirolesi, disabili, ecc.?!). Peraltro, chi dovrebbe decidere le minoranze da considerare e il valore di ponderazione del loro voto e le occasioni in cui farlo valere? Se i giovani vogliono contare, votino e, meglio ancora, si impegnino politicamente in prima persona. I giovani britannici 18-24 in larghissima parte sembra non abbiano votato (64%, il doppio del dato generale, 32% di astenuti) , di quelli che lo hanno fatto 3/4 era per il “remain”, corrispondente al 27% degli aventi diritto. Un po’ pochino per determinare l’esito di un referendum così importante, qualunque risultato ne fosse uscito.

  8. Lorenzo

    Una proposta che non mi trova affatto concorde.
    L’unica proposta accettabile, anzi auspicabile, è che per consultazioni così importanti ci sia una maggioiranza più qualificata (66.7%?) che indichi il risultato (del resto anche nei condomini è così)

  9. giovane arrabbiato

    Beh dopo un’intera settimana di ”i giovani britannici hanno votato per l’Europa” sui media nazionali, era ora che qualcuno si accorgesse dell’elefante nella stanza.
    Il 64% non ha votato proprio.
    Chi ha votato sono i giovani della medio alta borghesia, con il futuro già preparato dalla ricchezza e dai contatti dei genitori.
    Ovvio che chi ha la vita facile è favorevole all’UE.

    Il giovane ”chav” non ci guadagna nulla.

  10. ms

    la mia opinione è che (a) la proposta violi il principio di eguaglianza e (b) la voice non sia riducibile al voto.
    E’ sorprendente (questa frase è una protesta espressa) che un articolo di due accademici su questa rivista on line sia di così bassa qualità.
    Se scrivo e protesto, invece di “lasciar perdere”, uso una opzione che non è di mercato (non è exit). Se cambio subito rivista on line, considerando lavoce.info di qualità insufficiente a soddisfare un bisogno di dibattito pubblico di qualità minima decente e intellettualmente onesto, è una exit. E’ sin troppo facile pensare (e quindi è probabilmente anche un po’ sbagliato) che la voice, per avere forza, sia preferibilmente collettiva. Sulla protesta individuale Albert Hirshman ha espresso chiaramente la sua opinione in una frase memorabile: la frase è dentro il libro, non in copertina nè ad inizio di un paragrafo. Gli esempi che Hirshman offre non fanno pensare mai ad una protesta proceduralizzata. E’ quindi possibile che si resti soli nella protesta (che non è un calcolo di convenienza) sopratutto in sistemi acccademici o sociali soggetti a forte deterioramento della loro qualità o delle loro basi morali.
    Il mio invito è al dare peso alle parole che un intellettuale (qualcosa di meglio di un docente universitario) usa. Si può usare un dizionario on line (su google non è male), se non si ha il tempo di leggere subito un libro o un articolo. Voice non è riducibile nè ad una crocetta nè ad una bomba o ad uno sparo. Chiaro?

  11. massimo M

    Ma, ma … da quando essere giovani significa far parte di un ceto svantaggiato, destinatario di apposite norme di favore mentre, da che mondo è mondo, sono sempre stati i vecchi, se mai, gli svantaggiati da tutelare ? Risposta:da quando è iniziata ad infuriare la Grande Controriforma (fine dello stato sociale =potente elemento di mobilità sociale, proletarizzazione dei ceti medi, restringimento di ogni prospettiva per gli individui mediani ecc.) Evidentemente, non avendo potuto per ovvie ragioni di consenso togliere tutto quanto acquisito agli anziani, la Controriforma si è accanita sui più giovani “privandoli del futuro”, come si dice ridicolmente a proposito del referendum. Forse occorrerebbe pensare a “riformare la controriforma” e ricreare per i giovani le condizioni di 30 anni fa, più che cercare di “risarcirli” sul piano politico con proposte tanto artificiose quanto antidemocratiche.

  12. Pierpaolo Di Dato

    Anche per me questa proposta non è accettabile: al massimo come sosteneva qualcun altro avrebbe più senso elevare la soglia della maggioranza per consultazioni elettorali con riflessi così forti e differiti sulle generazioni successive

  13. Un pochino di sana autocoscienza e di vergognosa reticenza prima di scrivere tali panzane non guasterebbe. A Roma si dice: “E nn ce vojono sta!” Ma fate il favore…

  14. Lucio Tamagno

    Credo che una riflessione su una diversa valutazione del voto in funzione dell’età dell’elettore e del tema su cui si vota non sia una cosa fuori dal mondo.
    il mondo (occidentale) procede con una velocità mai vista prima e certe scelte, condizionanti il futuro dei più giovani, non sempre possono essere valutate nello stesso modo da chi ha 40 anni di più.

  15. Marco

    In base all’art. 48 della Costituzione non mi pare che al momento sia possibile un voto “ponderato” deve essere infatti uguale (Il voto è personale ed eguale, libero e segreto.)

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