Il 25 marzo si celebrano a Roma i 60 anni della firma del Trattato Cee. Il presidente della Commissione ha preparato un Libro bianco sul futuro della Ue. Cinque scenari su quello che può succedere. E anche sul fatto che non sarà la ri-nazionalizzazione a risolvere i problemi.
Cinque scenari per l’Europa
Il 1° marzo Jean-Claude Juncker ha presentato, con il Libro Bianco sul futuro dell’Europa. Juncker consegnerà ufficialmente il documento ai capi di stato e di governo che si riuniscono il 25 marzo a Roma per celebrare i sessanta anni dalla firma del Trattato Cee. Il documento individua le principali criticità dell’Unione: mercato unico e commercio, Unione monetaria, Schengen e migrazioni, politica estera e di sicurezza, bilancio dell’Unione e, più in generale, la capacità di ottenere risultati. Vengono poi illustrati, tenendo conto di queste, cinque possibili scenari per l’Unione europea, i quali sono per certi versi estremi, anche se si chiarisce che ulteriori percorsi potrebbero derivare dalla loro combinazione.
Il primo scenario (“Avanti così”) prevede un modesto approfondimento dell’integrazione attuale in tutti i settori considerati: l’UE avanzerebbe a piccoli passi, in un clima di “ordinaria amministrazione”, sempre che gli stati trovino, di volta in volta, il consenso. Il secondo scenario (“Solo il mercato unico”) combina l’approfondimento di alcuni aspetti del mercato interno con la parziale ri-nazionalizzazione di alcune politiche, in particolare circolazione di persone e servizi, immigrazione, politica estera. Questo scenario assomiglia per certi versi all’Europa “all’inglese”. In alcuni settori implicherebbe un salto indietro di trent’anni, che però non porterebbe a un ritorno ai “tempi aurei” del mercato unico di Jacques Delors, ma a un’integrazione estremamente squilibrata, certo non in grado di assicurare una crescita economica all’Unione nel suo insieme. Il terzo scenario (“Chi vuole di più fa di più”) è quello dell’integrazione differenziata, in cui chi vuole prosegue a passo deciso verso l’integrazione in tutti i settori, lasciando gli altri nella palude dell’“avanti così”. Il quarto scenario, nonostante il nome attraente (“Fare meno in modo più efficiente”) prevede un’integrazione molto avanzata in certi settori (commercio internazionale, stabilità dell’euro, difesa, asilo e gestione frontiere), ma un alleggerimento dell’intervento europeo in aree come gli aiuti di stato e le politiche sociali e di occupazione. La ratio è quella che l’Unione rinunci alle competenze attualmente più “deboli”, che non riesce a fare rispettare. Questo scenario, però, considerati i vincoli del patto di stabilità (che sarebbero probabilmente rafforzati), potrebbe creare una situazione molto difficile per i paesi più indebitati. Il quinto scenario (“Fare molto di più tutti insieme”) è un’idea di Unione federale, più coesa, che parla con una voce sola, in cui si attiva anche una funzione di redistribuzione. È l’ipotesi più efficace per risolvere i problemi sopra elencati, ma oggi anche la più irrealistica perché richiede una forte determinazione politica e la disponibilità a un sacrificio di sovranità che nessun governo sembra mostrare.
Un invito a riflettere
Il Libro bianco è stato molto criticato: chi si aspettava proposte diverse per uscire dalla crisi è rimasto deluso, perché alcuni degli scenari prospettati finirebbero invece per acuirla. Nonostante il tono apparentemente neutrale con cui sono descritti, emerge chiaramente che non tutte queste strade portano a risultati soddisfacenti. Il primo scenario è evidentemente inadeguato, il secondo e il quarto rischiano di accentuare conflitti e disparità e il quinto può apparire un’utopia. Rimane il terzo, quello dell’integrazione differenziata. È ragionevole, perché chi non vuole avanzare non può bloccare gli altri, ma ha senso solo se riesce a innescare un più profondo processo di integrazione: se diventa, insomma, una preparazione allo scenario numero cinque.
Ci si può chiedere dunque che senso abbia avuto, per un politico di grande esperienza e sicuro europeismo come Jean Claude Juncker, presentare un ampio numero di scenari, la maggior parte dei quali non offre soluzioni vere alla crisi in atto. Credo che il vero scopo del Libro bianco non fosse quello di offrire formule risolutive, quanto piuttosto di costringere i capi di stato e di governo – ma anche l’opinione pubblica – a riflettere non solo sulle inadeguatezze dell’Europa attuale, che quindi non può limitarsi ad “andare avanti così”, ma anche sull’inadeguatezza di tante soluzioni di ri-nazionalizzazione che vengono sbandierate da molti politici. Se alcune delle soluzioni indicate sembrano assurde o inefficaci, forse è perché lo sono davvero. Il Libro bianco fa dunque emergere l’inadeguatezza di certe tesi politiche e accademiche e costringe a una riflessione che vada al di là degli slogan. Il suo valore, più che propositivo, è provocatorio. E se riuscirà a smuovere l’inerzia sorda e ipocrita di chi continua a fingere che vada tutto bene così, o la malafede di chi scarica tutte le colpe dei governi sull’Unione, sarà questo il vero lascito politico di Jean-Claude Juncker.
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Henri Schmit
Il libro bianco è una delusione perché, come dice l’autrice, nessuno osa parlare apertamente delle vere criticità, ossia della ‘divergenza’ delle politiche nazionali dopo l’auspicata ‘convergenza’ celebrata alla fine degli anni 90, né tantomeno proporre soluzioni coercitive per contrariarla. I rischi della crescente divergenza sono aumentati da quando l’UE si è allargata a dismisura prima di essersi data gli strumenti per poter funzionare (‘convergere’) diciamo in 15, fra i quali comunque c’erano già l’Italia, la Grecia, il Portogallo, economie non proprio convergenti. Da molti l’UE è vista come un semplice tornaconti. I politici nazionali che fanno questi conti dimenticano i vantaggi meno visibili, come la riduzione dei tassi debitori. L’inettitudine dei governi nazionali di far ‘convergere’ le loro economie viene utilizzato per girare le colpe a Bruxelles. Questo gioco al massacro (dei governi nazionali che sono anche l’autorità suprema delle istituzioni UE) è la concausa del famigerato populismo, della protesta legittima contro un élite incapace di affrontare i problemi e di trovare soluzioni. Un UE a geometria variabile è l’unica soluzione per mettere in riga chi finora ha fatto il furbo: chi non rispetta le regole, aspetti fuori dalla porta. L’unico vantaggio per l’Italia sarà forse una politica europea dell’immigrazione più coerente e più equa. A parte questo tema, sarà un brutto risveglio, indipendentemente dallo scenario che il Consiglio Europeo sceglierà a Roma.