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I padri restano al lavoro e i figli rischiano la disoccupazione

Le riforme pensionistiche sono la causa dell’alta disoccupazione giovanile in Italia? L’innalzamento dell’età per la pensione ha avuto effetti negativi sull’occupazione giovanile, almeno a livello locale. Il discorso è diverso quando l’economia cresce.

Riforme delle pensioni e occupazione dei giovani

Negli ultimi vent’anni, l’occupazione giovanile in Italia si è ridotta in modo sostanziale. I dati dell’Indagine sulle forze di lavoro mostrano che il numero di occupati in età 16-34 anni si è ridotto da 7,5 milioni nel 1996 a 4,9 milioni nel 2015. Il declino è cominciato prima della crisi del 2008. Nello stesso periodo, l’occupazione nella classe di età 50-70 è aumentata da 3,8 a 7,3 milioni.

Candidata naturale a spiegare il contemporaneo aumento degli occupati senior e la riduzione dei giovani occupati è la sequenza di riforme pensionistiche che dal 1996 al 2011 hanno innalzato l’età minima pensionabile da 52 a più di 65 anni. In seguito alle riforme, la quota di individui in età 50-70 che riporta di essere in pensione è diminuita dal 40 per cento nel 1996 al 27,6 per cento nel 2015. Alcuni sostengono che, costringendo i lavoratori a ritirarsi più tardi, le riforme abbiano aumentato l’occupazione senior con possibili effetti negativi su quella giovanile.

Un aumento dell’occupazione senior genera per forza una riduzione dell’occupazione giovanile se il numero totale di posti di lavoro in un’economia è fisso. E non è sorprendente che gli economisti abbiano contrastato questa idea. Ma se anche consentiamo che il numero di posti non sia fisso, qual è l’evidenza empirica a sostegno del punto di vista che riforme pensionistiche che allungano la vita lavorativa danneggiano l’occupazione giovanile?

Rispondere alla domanda non è semplice, perché le riforme pensionistiche toccano tutti. È quindi difficile distinguere i loro effetti da quelli di altri eventi macroeconomici, come ad esempio l’innovazione tecnica che influenza il livello e la composizione dell’occupazione.

Dati e stime sulle province

Le riforme pensionistiche, tuttavia, non toccano tutti allo stesso modo. In particolare, il loro effetto sull’offerta di lavoro locale (ad esempio provinciale o regionale) varia a seconda della composizione per classi di età della popolazione locale. Per intenderci, indichiamo con PT la popolazione locale in età compresa tra 50 anni e l’età minima pensionabile.

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La figura 1 illustra come sia cambiata PT dal 2004 al 2015 nelle province italiane a seguito delle riforme pensionistiche avvenute in quegli anni. Le aree in blu scuro sono quelle dove il cambiamento percentuale è stato maggiore e le aree chiare sono invece quelle dove il cambiamento è stato minore.

Mentre il “trattamento” rappresentato dalle riforme pensionistiche è stato lo stesso nell’intero paese, la sua intensità è stata diversa tra mercati del lavoro locali diversi. È possibile utilizzare questa variabilità per stimare l’effetto causale delle riforme pensionistiche sull’occupazione locale giovanile.

Usando dati di 102 province italiane per il periodo 2004-2015, troviamo che un aumento a livello provinciale della popolazione tra i 50 anni e l’età minima pensionabile pari a mille unità induce una riduzione dell’occupazione giovanile in età 16-34 pari a 189 unità e una riduzione dell’occupazione degli individui in età 35-49 pari a 86 unità. D’altro canto, l’occupazione per la classe di età 50-70 aumenta di 149 unità. Nel complesso, l’effetto totale è negativo e l’incremento dell’occupazione senior non è tale da compensare la riduzione dell’occupazione giovanile.

Ciò può dipendere in parte dal fatto che il periodo 2004-2015 è stato caratterizzato da occupazione complessiva stagnante e tasso di crescita del Pil vicino a zero o negativo. Per capire se gli effetti stimati valgano anche per un lasso di tempo più lungo, che contiene una fase di crescita economica e occupazionale moderata, abbiamo stimato l’effetto causale delle riforme pensionistiche sull’occupazione regionale per il periodo 1996-2015. In questo caso, l’effetto di un incremento di mille unità della popolazione locale tra i 50 anni e l’età minima pensionabile sull’occupazione giovanile è negativo, ma decisamente minore in valore assoluto. Mentre l’occupazione locale in età 16-34 e 35-49 diminuisce rispettivamente di 68 e 28 unità, l’occupazione in età 50-70 aumenta di 304 unità. Complessivamente, se si considera un periodo in cui l’economia registra anche una fase di crescita, l’effetto delle riforme sull’occupazione complessiva è positivo.

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Le stime suggeriscono due cose. Da una parte, anche senza assumere che il numero di posti di lavoro sia costante, le riforme pensionistiche che hanno alzato l’età minima pensionabile hanno avuto effetti negativi sull’occupazione giovanile, quanto meno a livello locale. D’altra parte, i costi occupazionali delle riforme sono minori quando l’economia nel suo complesso cresce.

Figura 1 – Variazione provinciali di PT tra il 2004 e il 2015. Dati Istat sulle forze di lavoro.

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16 commenti

  1. Savino

    Trovo davvero assurdo continuare a dare la croce addosso alla Prof.ssa Fornero, che, finalmente, ha chiuso i rubinetti dello spreco pensionistico, e non a quei personaggi che hanno consentito le pensione sproporzionata al versamento dei contributi effettivi, le baby pensioni, le pensioni d’oro e d’argento senza sostanziose solidarietà tra ceti sociali e tra generazioni e le pensioni d’invalidità e di reversibilità a pioggia.
    La riforma Fornero è l’unica nella storia repubblicana ad aver dato risultati concreti di risparmio della spesa.
    Piuttosto, la Corte Costituzionale ha effettuato un’interpretazione non autentica della Costituzione italiana (non nello spirito dei Padri Costituenti) quando, con le indicizzazioni, ha creato ulteriori disuguaglianze.
    Dopo quella sciagurata decisione, quei guidici si sarebbero dovuti dimettere.

    • giorgio brunello

      Grazie per il commento. Stimare l’effetto delle riforme pensionistiche sull’occupazione giovanile non vuol dire dare la croce addosso alla Prof.ssa Fornero. Non è certo questa la nostra intenzione. Forse però lei concorda che sia importante valutare sia i costi che i benefici delle politiche pubbliche. Il nostro è un modesto contributo in quella direzione

      • Savino

        Concordo con le buone intenzioni e le buone pratiche di raffronto costi-benefici. Ma qualcuno le ha applicate in passato, realizzando i privilegi acquisiti? E, qualcuno, le sta applicando oggi, aprendo improbabili ventagli di concessione?

  2. Alessandro

    Siete sicuri che state stimando l’effetto causale? Leggendo l’articolo, che trovo interessante, mi domando se stiate solo osservando la correlazione. Per esempio, avete considerato che la direzione di causalità potrebbe andare nella direzione opposta, ossia una diminuzione dell’occupazione giovanile potrebbe causare un aumento dell’occupazione in età 50-70 anni. Questo effetto si potrebbe osservare nel caso in cui i giovani decidano di spostarsi per lavorare nelle province italiane con una crescita economica più forte, diminuendo così l’occupazione giovanile nella provincia e aumentato l’occupazione in età 50-70 anni (I giovani sono solitamente più mobili degli anziani). Insomma, mi domando se abbiate considerato un problema di sorting che in questo caso potrebbe essere rilevante. Grazie

    • giorgio brunello

      Concordo con la preoccupazione. Infatti le stime sono basate sulla tecnica delle variabili strumentali al fine di individuare relazioni di causalità. Se è interessato ai dettagli, può vedere il working paper nel sito IZA (http://ftp.iza.org/dp10733.pdf)

  3. Arduino Coltai

    Bisognerebbe cominciare ad affrontare questo argomento in modo del tutto nuovo: e se per aumentare l’occupazione si pensasse ad una riduzione dell’orario di lavoro? In linea di principio sarebbe possibile barattare una parte dello stipendio (la riduzione dell’orario dovrebbe essere infatti accompagnata da una corrispondente riduzione dello stipendio, se non vogliamo raccontare favole) con maggior tempo libero, soprattutto per i lavoratori un po’ avanti con l’età. Siamo sicuri che molti non ci starebbero? Se poi ci fosse un po’ di coraggio, attraverso sgravi sul costo del lavoro, la riduzione degli stipendi potrebbe essere un po’ mitigata rispetto alla riduzione di orario. In questo modo garantiremmo a costo zero più lavoro senza bisogno di ricorrere ad improbabili redditi di cittadinanza, tra l’altro moralmente molto più inaccettabili (oltre che economicamente inattuabili).

  4. bob

    leggere l’articolo e sentire i commenti mi viene da pensare a quei temerari che aprirono un bar nel deserto e disquisivano di strategie, numeri, statistiche e previsioni…..senza rendersi conto che in quel deserto non passava un’ anima. E’ classico di un Paese non più Paese pensare di aumentare gli occupati ricorrendo a escamotage tipo il gioco delle tre carte. Signori in questo Paese non esiste più una politica nazionale, sono scomparsi interi settori industriali: chimica- elettronica- non si fa uno straccio di ricerca…Un sistema Paese con minime strategie di politica industriale quanto meno potrebbe affrontare il problema, non dico risolverlo ma almeno attenuarlo. Come si fa con le nuove tecnologie a parlare di anziano per una persona di 50 anni.

  5. Marco

    L’esercizio di stima proposto è molto interessante, ma mi chiedo come si sia tenuto conto della demografia: gli over 50 fanno parte dei babyboomers più numerosi della generazioni successive (Y, X, millenials…), in maniera naturale, anche in assenza di politica, si dovrebbe trovare un effetto negativo. Per eliminare questo effetto credo sia necessario avere tra i mercati del lavoro locali casi con una molto elevata quota di giovani così da poter misurare cosa sarebbe successo a queste coorti a prescindere dal trattamento, infatti potrebbero essere diminuite, oltre che per la demografia, anche a causa di altre riforme, per esempio quelle che favoriscono la presa di titoli di studio più alti. Esistono questi casi nei dati? Anche in caso affermativo bisognerebbe ipotizzare che questi mercati del lavoro si comportano come quelli in cui sono presenti quote maggiori di lavoratori maturi, ipotesi non implausibile ma nemmeno scontata.

  6. Massimo

    Con le varie controriforme pensionistiche si è raggiunto il bel risultato di tenere sul posto di lavoro gente anziana che (presumibilmente) non ha più voglia nè energie e di tenere fuori giovani che invece avrebbero tutta la voglia e le energie necessarie (per tacere dei ben diversi costi del lavoro). Dopo anni di dinieghi e narrazioni circa ipotetiche “torte (occupazionali) che crescono per tutti”, la verità comincia a farsi strada. Speriamo bene.

  7. Stefano

    Ma nella stima presentata nell’articolo avete considerato la distribuzione in coorti di età della popolazione italiana e il suo progressivo invecchiamento?
    Perchè se negli ultimi 20 anni è aumentata (come credo) la popolazione con età compresa tra 50 e 70 anni e diminuita quella con meno di 35, è ovvio che saranno aumentati anche gli occupati (in numero assoluto) di questi due gruppi di popolazione.

  8. Leonardo Bargigli

    non mi è chiaro se e come si tenga conto della dinamica demografica cui è sicuramente imputabile una porzione significativa del calo occupazionale nella fascia giovanile

  9. gian paolo fasola

    Non serve una laurea in Economia per capire che se non crescono i posti di lavoro e si allunga l’età pensionabile, i giovani rimangono penalizzati. Una soluzione però esiste. Occorre avere il coraggio di ammettere che esiste un conflitto generazionale e che i diritti acquisiti ormai sono dei veri e propri privilegi. Non si può far pagare il costo delle riforme delle pensioni solo e sempre a chi in pensione ci deve ancora andare. Io lavorerò almeno 10 anni in più, ( e non sono poca cosa) avrò una pensione che non sarà calcolata sugli ultimi 5 o 10 anni di lavoro, andrò in pensione più vecchio di 10 anni,ma non vìvrò 10 anni in più di chi è andato in pensione cinquantenne. I sacrifici vanno fatti fare a coloro che hanno lavorato solo 35 anni o anche meno e a coloro che percepiscono pensioni decisamente superiori ai contributi versati o agli anni per i quali hanno contribuito. Occorre il coraggio della politica per restituire equità tra le generazioni. Io sto facendo sacrifici per pagare le pensioni a chi in pensione già c’è andato e farò sacrifici per i miei figli che il lavoro chissà quando lo troveranno. Ma coloro che sono in pensione da diversi anni e con una pensione superiore a ciò che hanno versato, quali sacrifici stanno facendo? In Costituzione esiste la possibilità di intervenire per cancellare la regola dei Diritti acquisiti. Ci vuole il coraggio e la volontà politica di farlo. Ma chi ha il coraggio di mettersi contro milioni e milioni di pensionati?
    gian paolo

    • bob

      ..per un Comune si sono presentate 12 liste per l’ elezione del Sindaco con un mare di consiglieri. Ci sono liste con papà, mamma e figlia. Altre dove la moglie sostituisce il marito. Il detto ” il pesce puzza dalla testa” non vale per questo Paese…qui il pesce puzza dalla coda

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